Giovanni, sempre alla ricerca di “escursioni alpinistiche” non troppo frequentate, un giorno mi propone la cima del Corno Gioià. La relazione, piuttosto vecchia, parla di alcuni passaggi di 4°grado ma complessivamente non sembra troppo difficile. Il sabato successivo, a pomeriggio inoltrato, io Ezio e Giovanni partiamo per il Rifugio Prudenzini. Il tempo non promette niente di buono, manteniamo un  passo veloce con la speranza di sfuggire alla pioggia,  ma è tutto inutile e arriviamo al rifugio fradici, per fortuna troviamo però da dormire al morbido.
 Al mattino il cielo è sereno; partiamo non troppo presto per dare il tempo alla roccia di asciugarsi e riscaldarsi un po’… arrampicare sul bagnato non è per niente piacevole. Ci vogliono più di 2 ore per arrivare sotto la cresta camminando su rocce e sfasciumi. Sulla via incontriamo alcuni stambecchi che, per niente impauriti, ci osservano perplessi quasi a chiederci che cavolo andiamo a fare nel loro territorio. Osservo la cresta finale e mi sembra una lama, mi convinco però che sia solo un effetto della prospettiva e che sicuramente sull’altro lato la cosa sarà più semplice.
Per arrivare alla selletta di sinistra ci arrampichiamo una sessantina di metri su rocce abbastanza solide e appigliate e quando sbuchiamo sull’altro versante lo spettacolo è veramente bello ma nello stesso tempo impressionante. Da lontano si vede la terminale del ghiacciaio dell’Adamello coprire tutta la testata della valle e le pareti compatte e levigate sia in discesa che in salita lasciano solo un corridoio di qualche metro che ci permette di arrivare al “presunto” attacco della via che, ancora oggi non so se fosse quello giusto. Ezio decide di godersi un po’ di sole e poi rientrare con l’intento di fare qualche foto ai molti stambecchi.
Già sul primo tiro di corda mi accorgo che se quella è la via le cose non saranno semplici. Sul secondo tiro metto tre chiodi, dal momento che non ho trovato nessun segno di passaggio, nessuna fessura o spuntone per mettere un cordino. Finalmente col terzo tiro arriviamo sulla cresta a lato del Corno Gioià, scendiamo arrampicando fino alla selletta di destra. 
Quando finalmente mi fermo a guardare quello che ci rimane della via mi accorgo che dopo il primo strapiombo la cresta  è veramente una lama: probabilmente la si può percorrere con i piedi in aderenza e le mani sul filo della cresta; rabbrividisco solo a pensarci, penso che gli alpinisti di un tempo che hanno raggiunto la vetta con scarponi e corde di canapa dovevano essere veramente in gamba. 
Cerco invano di scorgere dei chiodi o dei cordini che mi indichino dove effettivamente passa la via. Infine dico a Giovanni che non me la sento di proseguire. Non so con quanto rammarico abbia iniziato ad allestire la sosta per fare la discesa in corda doppia, ma poi conviene anche lui che quella che ci sta davanti non è certo una via di quarto grado.
Anche adesso quando ripenso a quel giorno sono convinto di aver fatto la cosa giusta.
 Raggiungere la vetta non deve essere prioritario; la montagna in tutti i suoi aspetti è bellissima,  ma anche pericolosa e se la si sottovaluta non sempre perdona. Ogni persona deve conoscere i propri limiti e nell’incertezza deve saper rinunciare.
 In  un’escursione impegnativa o in un’arrampicata spesso ci si mette alla prova e diventa a volte una sfida con noi stessi, ma alla fine andare in montagna deve essere un piacere e un divertimento e mai una forzatura.

Davide
                          
Gruppo Alpinisti Lumezzane

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