Questa mattina sveglia alle 3.00 (ennesima partenza intelligente). Preparo tutto, si parte. Siamo pieni di speranze e questa volta miriamo molto in alto. Arriviamo nella bellissima Valle d’Aosta, rigogliosa di verde e di castelli, ma delle altissime montagne non c’è traccia. Finalmente, dopo decine di gallerie, le vediamo all’orizzonte. Siamo al cospetto del Monte Bianco e lo spettacolo è impressionante, facciamo una sosta per fotografarle e riconoscerle: Dente del Gigante, Grandes Jorasses, Aiguilles Blanches e, maestoso come una piramide, l’Aiguille Noire che si eleva a sfidare il cielo in una mattina cristallina; in fondo il tormentato ghiacciaio della Brenva che culmina con la vetta del Bianco, domani saremo lassù?! Arriviamo in Val Veny e si aprono nuovi scenari altrettanto belli e suggestivi. Il verde degli alberi contrasta con il rosso della roccia e con la neve. Ci incamminiamo e dopo un’ora sbuchiamo sulla Morena del Miage e resto affascinato ed inorridito: affascinato da un enorme fossato coronato ai lati da alte e superbe pareti dalle quali ogni tanto trabocca un ghiacciaio tormentato da seracchi. È un ambiente inospitale, ma stupendo. Certo che la natura sa fare bene il suo mestiere. Inorridito perché vedo quello che ci aspetta nel futuro prossimo, 5 km di ghiacciaio completamente ricoperto da massi. Con un guadagno “considerevole” di quota (circa 300 mt) ci avviamo rassegnati al nostro destino. A metà intravediamo il puntino giallo del rifugio Gonella là in alto, ancora inesorabilmente lontano, abbiamo anche la compagnia di uno stambecco che ci osserva e dà dimostrazione della sua abilità arrampicatoria. Finalmente ci alziamo a destra, ora sì che si sale. Per rocce e cavi metallici arriviamo all’agognato rifugio il quale ci accoglie con i profumi dei suoi servizi non troppo igienici, ma visto dove siamo non c’è nessun reclamo. Sistemiamo la roba e ci godiamo la vista del ghiacciaio del Dome che dovremo salire stanotte, sarà un percorso un po’ complesso in mezzo ai seracchi. Sul versante opposto del Miage svetta bellissimo Anguille De Trelatète, un nome impossibile per una montagna maestosa. La sua parete di ghiaccio è costellata da seracchi pensili enormi che sembrano sfidare la legge di gravità. Il cielo è blu intenso e poco dopo godiamo di uno spettacolare tramonto che arrossa all’inverosimile la roccia. In breve i dati della salita: 1°giorno dislivello 1400 mt dell’interminabile morena e del sentiero attrezzato, 2° lunghissimo giorno 1800 mt in su e poi 3200 mt di discesa da far tremare le gambe. Andiamo a letto alle 21.30 e alle 23.45 stiamo facendo colazione, dormito praticamente quasi niente. Ci avviamo in 3 con solo 2 lampade frontali; il percorso sul ghiacciaio non è difficile, ogni tanto saltiamo piccoli crepacci che sotto di noi si allargano a dismisura. Saliamo ancora qualche rampa ed arriviamo in cresta, si vede qualche luce giù in Francia e niente più, percorriamo un tratto roccioso ed una crestina di neve dove circa a meta bisogna scavalcare per passare sull’altro versante; tutto bene, è buio, non si vede dove siamo e cosa c’è sotto di noi, quindi passiamo tranquilli. Non siamo soli, alcune luci sopra di noi ci indicano il cammino da seguire mostrandoci nel contempo quanto lunga e ripida è la salita che ci sta davanti. Dopo l’ennesimo dosso ci

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appare uno spettacolo curioso e bellissimo, miriadi di lucciole si snodano nel pianoro sottostante e si inerpicano dall’altra parte dirette al Bianco; sono le cordate che salgono dalla Francia e a decine tentano la salita nei giorni favorevoli . Dal Dome du Gouter scendiamo al Col du Dome e nella luce del crepuscolo ci appare come un’oasi nel deserto la Capanna Vallot, unico ricovero prima della salita finale. Mi chiedo a quante centinaia di alpinisti avrà permesso di ritornare a casa sani e salvi. Lentamente la raggiungiamo e decidiamo di sostarvi un po’. L’interno è piccolo ed il pavimento è cosparso di corpi dall’aspetto un po’ allucinato, qualcuno salirà ancora, altri forse rinunceranno sopraffatti dalla stanchezza. Per non addormentarmi, con un sovrumano sforzo di volontà, esco per riprendere e fare foto e chi ti trovo? Un giapponese vestito di tutto punto con una tuta dai colori sgargianti e una sigaretta in bocca a 4400 mt, incredibile. Comunque, dopo averlo osservato a lungo, non sono riuscito a trovargli la macchina fotografica , che fosse un coreano? Dopo circa un’ora ripartiamo col solito passo lento, ora vediamo la vetta che è ancora molto distante. Per raggiungerla dobbiamo percorrere una cresta articolata con vari saliscendi e cornici. È comunque esteticamente molto bella ed i raggi del primo sole accrescono il fascino di quel luogo e tingono la neve di un delicato rosa. Il cielo è assolutamente sereno, non una nuvola che possa rovinare questa intensa giornata, per di più non c’è vento e non è poco a questa altezza. A 4500 mt uno spagnolo ci chiede un passaggio, mi sfilo la corda dallo zaino e così ora siamo in quattro verso la vetta, quello che si dice una cordata internazionale. La quota si fa sentire ed il passo rallenta, ma ormai siamo vicini e pregusto già l’arrivo in cima; un’ultima cresta nevosa e siamo in vetta.  È fantastico, incredibile, stupendo, siamo a  4810 mt. Nel raggio di migliaia di chilometri siamo le persone più in alto, sopra di noi solo il cielo. I complimenti si sprecano, si filma  e si fotografa, riprendiamo lo stemma del nostro gruppo cucito su una maglietta appesa alle picozze. Ancora non ci credo, siamo sul Bianco. Dopo aver tanto letto e visto sono sulla montagna più alta delle Alpi, finalmente l’ho scalata con le mie sole forze. La giornata è bellissima, ma fa freddo, purtroppo bisogna scendere; ci rimettiamo in fila, salutiamo lo spagnolo che cercherà un altro passaggio; passiamo dalla Vallot e da qui in avanti vediamo il percorso di questa notte. Al buio l’attraversamento della cresta nevosa era stata una bazzecola, ma di giorno è diverso visto che i due versanti precipitano molto ripidi per centinaia di metri; la pista stretta e la neve ghiacciata costringono a stare molto attenti, comunque sgranando il rosario passiamo e poco dopo ci ritroviamo alla fine del ghiacciaio, i crepacci con la neve molle si sono allargati e costringono a salti da olimpiade. Dopo aver sudato sette camicie finalmente ci riposiamo al rifugio. Altri 1400 mt di discesa mostruosa e come un miraggio ci appare l’auto ponendo fine alle nostre sofferenze. Questa è la cronaca di un’altra gita riuscita magnificamente come tante ne abbiamo fatte, ma salire il Bianco ha un sapore speciale sia perché è il più alto delle Alpi ed è obiettivo di molti alpinisti, ma anche perchè dal punto di vista personale è una prova fisica e di carattere che dà grande gioia e sicurezza in sè stessi, quindi in ultimo dico, grazie Bianco.
                                                     
Giovanni

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