L’inizio del 2008 non è stato dei migliori alpinisticamente parlando; tanta neve e inusuali sbalzi di temperatura hanno consentito sci da pista e nulla d’altro; per di più le slavine hanno mietuto parecchie vittime e precluso la possibilità di salite diverse, cosicché domenica abbiamo optato per una meta tranquilla: il monte Baldo. Rivedere quel monte procurerà ricordi non molto belli, giusto due anni fa Samuele si rompeva una gamba scendendo da quei pendii, ma dentro di me sono sicura che non capiterà nulla di spiacevole nella giornata che sta per iniziare. Partenza alle 6,30 e via nella nebbia più fitta verso Montichiari a recuperare Giovanni; siamo una bella compagnia, oltre lui, Carlo, Marco, Stefano, Stefano Jr. ed io, tutti con la voglia di compiere una bella salita. Sempre nella nebbia, che ci lascerà solo in prossimità del lago, arriviamo a Prada Alta, sono le otto e trenta del mattino, siamo a mille metri di altitudine, il sole è già abbastanza alto e forte, e prima delle nove siamo in marcia. Lasciamo gli impianti di risalita, infiliamo il bosco rado privo di neve e poi su per i ripidi un poco ghiacciati sotto ai cestelli della seggiovia fino all’attacco del canalone che conduce all’arrivo del primo tratto degli impianti. La vista si apre, i declivi candidi che ci si presentano sono quasi tutti intonsi, poca gente si incammina verso l’alto, perlopiù sci alpinisti, e quando anche il resto del panorama è visibile notiamo che il lago è un poco coperto da nuvole a ciuffi che si stanno dirigendo verso nord . Il sole ora è molto caldo, prendiamo per il rifugio Chierico ma poi tagliamo verso nord salendo diretti alla prima punta ed oltrepassiamo quella specie di fortino costruito di pietra viva ricordo tangibile di come la guerra sia stata presente su quelle montagne. Dopo una lunga camminata sotto al sole che spunta, abbagliandoci vivido, in cima a quella parete ripida, interminabile ed abbastanza faticosa da costringerci a qualche fermata, siamo alla cresta. E’ il punto dove sostano gli sciatori prima di intraprendere le godibili discese che il monte offre; è affollata, dopo molteplici saluti a tutti, proseguiamo sulla cresta oltrepassandoli; Oliver allegro ci precede sempre con Carlo, Giovanni e Stefano che sono avanti e guardandoci attorno ci accorgiamo di come gli iniziali piccoli e solitari ciuffi di nebbia si siano moltiplicati ed abbiano praticamente coperto il lago di Garda; è una bizzarra visione e ci accompagnerà per tutto il percorso. Dopo un centinaio di metri di discesa arriviamo ad una selletta che preannuncia la seconda parte della cresta, Marco e Stefano Jr. hanno purtroppo degli impegni e dopo aver raggiunto un piccolo risalto della cresta ci salutano e tornano sui loro passi. Ora che si fa, Giovanni pare determinato a proseguire e noi lo approviamo, si avanza lungo la cresta finalmente solitaria; giungiamo al punto dove la volta precedente ci eravamo fermati; ammiriamo il lontano rifugio Telegrafo appollaiato sotto all’ennesima cima di quella montagna che ne possiede ben otto e sostiamo un poco, giusto il tempo per mangiare qualche cosa sotto al cielo blu scuro. Le nubi sotto di noi intanto si sono fatte talmente fitte da somigliare ad un letto di piume segnato solamente dalle scure creste dei monti un poco più alti che le bucano ed hanno buffe sembianze di animali e di oggetti; poi gli altri rimasti visibili all’orizzonte e che fanno corona alle nubi, sono quasi tutti innevati e la limpidezza ci consente la visione di altri ancora, lontanissimi, tra cui i miei compagni identificano perfino gli Appennini. Stupiti da tutto questo proseguiamo sulla cresta tanto ben innevata da sembrare fatta di panna montata ; di frequente la troviamo molto affilata e ci si sente equilibristi sulla corda con ai fianchi strapiombi rocciosi dove solo rade piante di mugo crescono temerarie e spuntano dal manto nevoso. Adesso è da scordare il percorso facile, si scende e non è banale riuscire ad arrivare su di uno stretto intaglio della cresta; poi ancora una serie di sali scendi, una continua sorpresa per il tracciatore di turno che affronta gli ostacoli con tranquilla calma ma senza un attimo di sosta. Oltrepassiamo talvolta piccole selle, ci regalano improvvisi scorci di panorama con ritagli di rocce e declivi innevati su sfondi di vette lontane nel cielo blu e pare di essere nel mezzo di un film naturalistico. Chi più si diverte nella compagnia è sicuramente Oliver, il cane alpinista, che non perde occasione di rotolarsi nella neve in preda a raptus di felicità che ci fanno stare col fiato sospeso soprattutto se lo prendono sul filo della cresta; è un continuo correre tra di noi cercando la vista del suo Giovanni, e non è certo un peso, lo vediamo infatti superare ogni ostacolo senza problemi e ci procura, come sempre, un poco di invidia. Dopo l’ennesima piccola discesa di misto siamo in vista al rifugio Telegrafo, non che si sia avvicinato di molto, solamente lo si può ammirare meglio, è un edificio bianco incastonato in una parete altrettanto candida e solcata da lunghi spigoli rocciosi che la neve non ha saputo coprire, una grande croce lo sormonta più in alto; è li che dobbiamo arrivare e mi pare veramente un tragitto lunghissimo. Ancora avanti sulla cresta, con Carlo che svelto conduce il gruppo tra un piccolo panettone roccioso e l’altro, ci tocca scendere e fare un traverso parecchio innevato che costringe a dribblare ciuffi di pino mugo che spuntano dalla neve alta, e poi ancora su, non si può certo lasciare intonsa quella bella cresta che pare aspettare solo noi. Quindi camminare sotto al cielo fiammeggiante di nubi candide che rendono ancora più violento quel blu improbabile; troviamo salendo piccole cime costruite a picchi acuminati che quando guardo giù mi chiedo come diavolo riuscirò ad arrivare alla sella; ma gli altri sono già arrivati in fondo e mi chiamano allegri. Ed io, minuscola ed inesperta mi incammino, seguita dallo sguardo e dalle parole di Stefano; cerco le tracce, il punto è scosceso, sento la paura, quel sentimento mi aveva abbandonato e riaverlo dentro mi scalda il cuore; sto bene con me stessa, ho riacquistato una cosa importante, l’attaccamento alla vita, elemento necessario per poter amare me ed il prossimo; intanto, passo dopo passo percorro pure io il breve ripido che mi preoccupa e ritrovando il sorriso giungo da loro. Il semicerchio del percorso osservato inizialmente è quasi terminato, vediamo dal basso spuntare sull’ennesimo dosso una croce di semplice legno scuro, non è la nostra vetta finale, ma è vicina. Ancora una mezzora di cresta facile e, quando siamo proprio sotto la vetta, i ragazzi mi spingono a proseguire avanti a loro, tocca a me raggiungerla per prima ed è una inattesa felicità. Ecco la nostra cima, c’è una croce metallica composta da belle volute ampie parzialmente incrostate di neve e ghiaccio che la rendono ancora più particolare, ci riuniamo li sotto e sono mille i complimenti, le risate e le foto che immortalano noi ed il bizzarro panorama che ci è attorno. Siamo a 2200 metri circa di quota, non ci si può attardare, sono le due meno un quarto, ci sono volute cinque ore per portare a termine quella salita, partiamo veloci ripercorrendo la cresta, ci aspetta un lunghissimo percorso. Tutto già visto, quindi il passo è deciso, Carlo parte rapido, so che difficilmente riuscirò a raggiungerlo; ricalchiamo l’esile filo della cresta innevata e poi le rocce che temo molto ma, come sempre nei rientri, so che troverò tutto più semplice e agevole. Un continuo su e giù molto divertente di dossi tondi ed aguzzi con Carlo che cerca delle varianti per aumentare le difficoltà fino ad arrivare ad una parete che all’andata non avevano considerato fattibile; c’è una specie di targa metallica con una grande aquila che sormonta scritte ed animali, Carlo deciso afferra la roccia e sale in alto, anche io voglio provare; molti gli appigli a sinistra mentre a destra solo roccia ghiacciata e scivolosa. Sono in difficoltà, Giovanni dietro mi apostrofa con un energico “non toccare l’aquila!”, io lo guardo, acchiappo l’ala dell’aquila e controbilanciandomi svelta su quella mano salgo veloce. Molti mugugni di disapprovazione mi accompagnano ma si trasformano subito in risate, non ho fatto danno, l’ala è ancora li ed io sono già in alto mentre mi scuso per la disobbedienza. Si procede, affrontiamo un minuscolo canalino in salita stretto tra due alti muri di roccia, vedo Oliver che mi guarda dalla sella, è sempre un passo avanti, la salita è ripida ma la neve solida ci da una mano e troppo presto siamo nuovamente sull’ampia cresta conosciuta. Attorno a noi l’inconsueta coltre di nubi è ancora più fitta ed in lontananza i ritagli di monti che regrediscono fino all’orizzonte spuntano al di sopra offuscati da una nebbia sottile che li fa apparire come dipinti giapponesi su di una scenografia teatrale. Ammiro affascinata quella tavolozza di grigi ed azzurri che portano lontano i pensieri e una grande quantità di emozioni mi arruffa la mente; sono felice, la salita è stata stupenda, attorno ho i miei amici e mi sento “completa”. Si prosegue, camminando abbiamo la fortuna di fotografare un grande stormo di corvi che per un bel tratto ci tiene compagnia oscurando una parete candida e lanciando una grande quantità di richiami; lungo la cresta il vento gioca sollevando lunghissime folate che portano con se nuvole di neve ghiacciata che si sollevano creando contrasti con il sole abbagliante. Dopo una piccola sosta al rifugio Chierico terminiamo la discesa soffermandoci ad immortalare la magia di un minuscolo laghetto gelato ed illuminato dal sole obliquo che avvicinandosi lentamente al crepuscolo lo tramuta in uno specchio color piombo. Verso le cinque siamo alle auto, la luna tonda e bianca è già sorta, i ragazzi calcolano di aver percorso all’incirca 15 km. di sviluppo lungo la cresta ma non sentiamo molta stanchezza. Chiacchierando ci ritroviamo a progettare la possibilità di tornare un’altra volta su quel monte così panoramico per tentare di far nostre anche le cime non ancora visitate e dentro di me spero che presto questo accada. Alla prossima.Marina Livella
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