IL CASTELLO DELLE STREGHE

Pizzo Camino       3 Febbraio 2008        

E’ tarda notte, guardo le fotografie al portatile e mi soffermo su di una in particolare.

            La campanella che vedo dovrebbe essere sovrastante noi invece occhieggia bizzarramente accanto ai nostri scarponi fra i cumuli di neve, siamo su una vetta, quella di Pizzo Camino.

            Al terzo tentativo l’abbiamo finalmente raggiunta, e dire che non ci contavamo proprio quella mattina alle sei e mezza quando ci siamo ritrovati all’appuntamento.

            Molte le adesioni per quella gita che durante la settimana si sono dissolte nel nulla per cui il gruppo GAL è rimasto all’osso, Carlo, Davide ed io; non importa, abbiamo voglia di una bella salita e quando arriviamo, per le otto di mattina, al parcheggio sopra Borno presso l’acquedotto a 940m metri di altitudine, la temperatura mite e un’aria leggera di primavera ci spingono a partire veloci e motivati.

            Dopo un tratto di strada un poco noioso deviamo prendendo per il bosco di abeti e larici dove notiamo una moltitudine di stelle di natale; entusiasti ci ripromettiamo di fotografarle al rientro.

            La mattina è già aperta ed il cielo azzurro promette una giornata soleggiata; seguiamo il sentiero per il rifugio Laeng passando alti sopra al Lago di Lova che nemmeno scorgo distratta ed assonnata come sono.

            E, come in un sogno percorro, dopo una piccola sella, un lunghissimo traverso in ombra dove troviamo la prima neve un poco consistente per poi arrivare ad una piccola malga dove i ragazzi si fanno raggiungere per poi ripartire subito attaccando una ripida variante che sale dritta verso l’alto. Io li seguo cercando meticolosamente di non schiacciare con i miei scarponi i piccoli crochi bianchi e violetti che colorano il lungo pendio di alberi spogli ed erba bruciata dal gelo.

            Camminando ascolto i dubbi dei miei compagni circa la neve non assestata ed il sole troppo caldo, io penso egoisticamente che mi basta andare mentre al resto si occupano loro; già si scorge tra gli alberi la grossa montagna rocciosa che rappresenta la nostra meta e notiamo quanto sia poco innevata.

            La neve non da grossi problemi, si sprofonda molto meno del previsto, dopo una fermata per indossare le ghette si prosegue lungo una china candida e piuttosto faticosa che si srotola tra pini sempre più bassi e radi.

            Il cielo blu e nitido ci fa proseguire fiduciosi, sappiamo che il tempo clemente può aiutare molto anche se sicuramente peggiora lo stato della neve.

            Io resto indietro, riprendo i miei compagni mentre su di un piccolo dosso stanno valutando la salita, poi ripartiamo cercando di evitare gli inganni della neve.

            Siamo in vista del rifugio, lo ricordavo, con il suo tetto basso e le ante rosso vivo, semplice ed ordinato, ritrovo le lunghe tavole con la cerata a quadri bianca e rossa coperte dalla neve ed il vecchio paiolo dipinto di rosso usato da posacenere appeso al cornicione, siamo a 1700 metri di altitudine, non fa freddo ed la giornata è perfetta.

            Dopo una piccola divergenza di opinioni che porta Carlo e Davide a seguire brevemente due diversi percorsi, ci ritroviamo a seguire la valle in piano per portarci sotto al Pizzo Camino.

            Il sole è fiammeggiante ed è divertente fotografare quella palla luminosa fissa sopra al pendio candido sulla sinistra ed i miei compagni poco più avanti che lasciano una lunga traccia di orme nella neve intonsa della mattina: in alto nuvolette solitarie sporcano l’azzurro omogeneo del cielo e larici solitari fanno da sfondo sul fianco delle pareti rocciose.

            Ora si sale nuovamente ed il ripido è pesante; ben faticoso per Carlo tracciare la via cercando di evitare i buchi profondi che si aprono continuamente sotto ai piedi nella neve alta; l’obiettivo è preciso, trovare il sentiero che dovrebbe portare più agevolmente alla vetta.

            Quel tratto pare interminabile ed ho il respiro affannoso, Carlo cede il passo a Davide e, pure io, per un breve traverso, mi cimento nel duro ruolo del tracciatore.

            Deviamo spostandoci accanto alle rocce sul lato destro del costone ed è una mossa azzeccata poiché il sentiero è subito trovato; lo seguiamo quindi, proseguendo lungo il ripido, perdendo la neve e trovando ciottoli e rocce tanto friabili da rendere il passo insicuro.

            Valutando di frequente quanto manca alla fine della salita mi ritrovo a pensare che è uno dei sentieri più duri che mi sia mai capitato di percorrere.

            Mi riposo un attimo e mi guardo attorno, alle nostre spalle la valletta in basso pare una torta di panna, a sinistra lo sbarramento del Pizzo Camino percorso da sottili canali innevati tra le rocce e noi solitari tra il sentiero ed i pendii di prato secco e scivoloso che puntiamo i bei pinnacoli rocciosi della cresta, una meraviglia.

            I miei amici si dirigono verso un costone roccioso, pochi passi e sono sopra, buffa l’immagine dei loro visi che spuntano tra l’erba e le rocce a piccoli pinnacoli; li raggiungo, al di là prati ripidi e poca neve, ci riposiamo un attimo e poi ripartiamo; non essere certi della distanza che manca alla vetta ci dà urgenza.

            Ora vediamo la prima cima, per raggiungerla non c’è altra possibilità che sottostare ad un traverso abbastanza lungo su roccia ed erba. Carlo avanti mentre Davide mi controlla da vicino, le rocce non sono proprio solide ma, tra un mio brontolio e l’altro, giungiamo ad un nuovo traverso; questo è innevato e dopo la roccia mi pare facilissimo anche se parecchio ripido.

            Passo dopo passo, con la calma che incute la neve scarsa e dura, arriviamo ad un altro costone da cui scorgiamo un canale. Carlo rapidamente è già sceso in avanscoperta per un tratto arrampicando sulla roccia, ci grida che la direzione è giusta e lo seguiamo per raggiungerlo fin dentro il canale.

            Arrivare alla neve del canale è un divertimento che mi fa scordare la tensione appena provata, una piccola sosta per indossare i ramponi e via; eccolo, lo ammiriamo dal basso, è ben innevato ed abbastanza ripido, punta dritto al cielo con un paio di deviazioni molto dolci e in prossimità della sella si ramifica formando due diverse uscite frammezzate dalla roccia.

            Senza molte difficoltà arriviamo alla sella e, prendendo il ramo di destra, ci portiamo infine su delle rocce da dove riusciamo a scorgere quella che pare proprio sia la vetta.

            Scendiamo di un tratto, percorriamo un nuovo traverso ben innevato ed imbocchiamo un altro canale, i miei compagni sono certi che dopo quest’ultima fatica saremo veramente in vista della meta.

            Ecco la sella, mi volto e vedo rotolare ai miei piedi il lungo canale che abbiamo percorso solo per l’ultimo tratto, sono un poco affaticata, mi ritrovo a pensare che quella vetta forse non esiste nemmeno; vuoi vedere che è solo l’immaginazione a trascinarci su e giù per gli anfratti, i canalini e le creste di quella montagna! E poi, pensandoci bene, forse pure lei è frutto della nostra fantasia! Mah!

            Nel frattempo l’ottimo Carlo si è portato sulla cresta, ne dobbiamo percorrere un tratto, sale svelto ed io lo seguo con Davide alle spalle. Afferro le rocce e pare tengano bene, ancora pochi metri e siamo su, mi appoggio con la mano destra ed alzando il piede sinistro mi sollevo verso l’alto; in una frazione di secondo la situazione cambia, la grossa roccia alla mia destra, sollecitata dal mio movimento, si muove e scivola indietro sfiora Davide e gli strappa la piccozza dal polso, i nostri occhi stupiti la vedono volare lungo il canalone seguita dalla picca.

            E’ un momento di spavento che mi fa rammollire le ginocchia, lancio un grido, Carlo si ferma preoccupato ma Davide ci assicura che non ha subito danni e sorride per nulla inquieto, io riprendo la salita pensando che una delle moltissime vite del nostro amico Davide è andata persa con quel roccione.

            Ancora avanti, siamo agli sgoccioli, la vetta è identificata, li davanti ai nostri occhi; un facile saliscendi lungo la cresta innevata ed ecco che l’alta struttura metallica della cima è a portata di mano.

            Mi spingono a salire per prima ed arrivo accanto alla croce con Davide e Carlo, le mie due insostituibili guardie del corpo e grandi amici, che mi tallonano, siamo alla vetta di Pizzo Camino a 2491 metri di altitudine ed ancora non ci credo.

            Mi sento affaticata ed un poco scossa dal mancato incidente ma la gioia di aver raggiunto la meta mi fa ritrovare il sorriso, è l’una ed un quarto, il vento è molto forte e freddo ma riusciamo a scattare immagini alla nostra felicità, all’orizzonte infinito di monti nel cielo blu, alla croce senza un braccio ed alla campanella nel ferro di cavallo quasi sommersa dalla neve.

            Ecco, l’ennesima vetta solitaria è raggiunta, dobbiamo ripartire velocemente poiché la via non è molto sicura ed i miei compagni vorrebbero trovare un percorso più breve ed agevole di quello dell’andata.

            Torniamo sui nostri passi, ripercorriamo la via fino alle roccette, ritroviamo il tratto di canale ripido ed, imboccandolo ci abbassiamo velocemente, poi il traverso innevato in ombra con le nostre tracce ben segnate ed il passaggio di  rocce dove rivediamo il punto dello scampato incidente.

            La fame si fa sentire, sono le due passate, scendendo troviamo un punto riparato dal vento e battuto dal sole, ci fermiamo per mangiare, riflettiamo che fino ad allora, presi come eravamo dalla salita con le sue continue difficoltà e sorprese non avevamo né mangiato né bevuto nulla.

            La sosta ci rinfranca, ripartiamo allegri, quando giungiamo alla sella del primo canale Carlo deciso piglia il ramo di sinistra, quello privo delle nostre tracce, e inizia a scendere.

            Anche Davide e poi io lo seguiamo, è certamente molto stancante la discesa a ritroso, sento talvolta il richiamo dei miei compagni che mi chiedono se va tutto bene, ma ora io ho ritrovato l’energia che pareva persa e passo dopo passo scendo senza pensare a nulla se non alle mie gambe, alle braccia ed alla picca.

            Guardando tra le mie gambe controllo dove sono i ragazzi, è un percorso interminabile; si fanno raggiungere due volte per superare un paio di piccoli salti rocciosi che mi divertono molto e sgranchiscono i muscoli.

            Sento i richiami tra Carlo e Davide che si consultano a vicenda come sempre, hanno superato da un poco la metà del canale e si sono ritrovati ad un salto di roccia che richiede una deviazione; decidono di abbandonare il canalino, spostarsi sul costone roccioso di destra per immetterci nel canale sottostante.

            Mossa perfetta, ci porta infatti con un pendio che si fa progressivamente più dolce, fin alla valletta di partenza.

            Troviamo le nostre tracce che sono ancora le uniche, faticando un poco le ricalchiamo giungendo rapidi al rifugio Laeng; ora possiamo scambiarci opinioni e chiacchierare tranquilli.

             Sarà in prossimità del lago di Lova a 1299 metri di altitudine che incontreremo l’unico gruppetto di persone dalla partenza. 

                                           Marina Livella