Canale nord
Vermiglio
31 maggio 2008
E’
passato solo un giorno ma devo scrivere subito, è che non posso
rimandare il racconto dell’avventura che ci ha visto scalare Cima
Vermiglio.
Classico iter, partenza da casa alle due del pomeriggio di
sabato sperando che finalmente il meteo sia clemente, dall’inizio
dell’anno infatti le salite sono state sporadiche poiché il maltempo ci
ha tenuti a casa a mordere il freno.
Davide, Stefano ed io recuperiamo Giovanni a Sabbio Chiese,
il sole ci assiste, chiacchierando allegri filiamo veloci verso Madonna
di Campiglio, lo superiamo, ed alle cinque del pomeriggio giungiamo al
Velon a circa 1300 metri di altitudine, il cielo è limpido con bianchi
ciuffi di nuvole ed è palpabile la nostra voglia di cominciare
un’avventura insieme.
Notiamo un cartello che dichiara aperto il rifugio Denza ma
pare strano, si vedrà, inoltre non ci fidiamo delle condizioni della
strada sterrata che sale a 1800 metri di altitudine fino al Forte Pozzi,
quindi abbandoniamo l’auto e ci avviamo a piedi con i nostri zaini
pesanti cercando di abbreviare il percorso e scegliendo quindi
scorciatoie ripide che tagliano per i boschi freschi e quieti;
camminando scopro una enorme quantità di radicchi “dente dell’orso”
lungo i sentieri e, golosa, mi riprometto di raccoglierne un poco al
rientro.
E’ un tratto facile anche se abbastanza lungo e vivacizzato
dal passaggio in una piccola galleria buia ed in una cascata bizzarra
costituita da lamiera, acqua, neve e ghiaccio dove siamo costretti ad
una breve doccia gelata.
Calpestando sull’ultima parte del sentiero residui di neve
fradicia, poco prima delle otto siamo alla meta, una sorpresa, il
rifugio Denza/Stavel a 2300 metri di altitudine è veramente aperto.
Bella storia si dorme al caldo, brutta storia è carico di gente, le
nostre facce non sono felici, era forse meglio un’invernale solitario
popolato da anziani ed enormi acari polverosi.
Ci adattiamo, troviamo un minestrone caldo ed un albergatore
musicista che ci fa passare dei momenti allegri.
Nonostante il vento intenso usciamo all’aperto e mentre il
crepuscolo si avvicina colorando le nubi di rosa, osserviamo il panorama
costituito da una maestosa cerchia di monti innevati e commentiamo la
parete nevosa che quella notte ci apprestiamo ad affrontare.
Alcune foto e chiacchiere poi raggiungiamo il camerone ed
alle nove e mezza circa, pensando alla nostra lontanissima meta, ci
addormentiamo.
Sveglia alle 2 e 30 di notte, come fantasmi ci attrezziamo
ed alle tre si parte, il buio è totale e come sempre mi spaventa;
nonostante la pila frontale infatti non vedo l’ora che il crepuscolo
arrivi anche se, con il passare del tempo, le ombre dei monti si fanno
sempre più visibili ed incombenti.
Camminando mi sveglio un poco, conto le luci delle pile che
stanno salendo sparpagliate lungo i pendii ripidi, sono troppe, penso
che non sarà una vetta solitaria e me ne dispiace.
La neve è molto buona, non si sprofonda e camminare è facile
anche se faticoso; tra uno sbadiglio e l’altro verso le quattro guidati
da Giovanni, che pare un gatto e procede come avesse un satellitare in
testa, arriviamo all’attacco del canale Vermiglio; proseguiamo svelti
che non c’è tempo da perdere e dobbiamo battere il sole in velocità.
Siamo già un poco avanti quando, buttando lo sguardo alle
nostre spalle, vediamo una luce arancio squarciare il nero della notte e
rivelare lunghe strisce di blu che progressivamente si fanno più chiare
sino ad illuminare i monti alla nostra sinistra e spingere via un vivido
quartino di luna; ecco finalmente l’alba.
E’ una immagine che da sola vale tutta la fatica che stiamo
provando e che avanzando pare opprimerci sempre più; il giorno è fatto,
archiviamo le frontali, ed alzando lo sguardo vediamo, nitida in alto,
la sella che ci attende.
Non fa freddo, la neve è uno spettacolo, dura e solida,
tanto che i ramponi e le picche faticano a scalfirla infatti i colpi
devono essere robusti e decisi, ma una volta dentro regge come il
cemento armato.
Siamo al primo gruppo di rocce, c’è una bella sorpresa,
Giovanni punta un muretto quasi verticale e lo scala gridando che è
molto divertente, pure io dietro Davide mi cimento ed è una sensazione
fantastica, ricordo per un attimo le cascate di ghiaccio, ma purtroppo è
un tratto breve e finisce troppo presto.
Ridiamo eccitati e per un attimo dimentichiamo la fatica, in
alto la sella pare a portata di mano mentre è ancora molto distante;
procediamo di fianco alle rigole che segnano il canale con temibili
scanalature ampie, profonde e ghiacciate; cerchiamo di evitarle poiché
possono essere molto pericolose.
La pendenza aumenta progressivamente e la neve ha molti
tratti in cui è talmente dura da non consentire a chi avanza per primo
di segnare tracce che facilitino agli altri la progressione della
salita.
Sono stanca ed ho i polpacci in fiamme, la sella pare
allontanarsi e le soste tecniche aumentano un poco; sento le forze
abbandonarmi, pesco dalla tasca un poco di cioccolata e la mangio,
Stefano mi obbliga a riposare un attimo e riprendere il fiato.
Ci voleva, riparto nuovamente in forma, Giovanni sta
riprendendo il panorama e chiedo a Davide di poterli precedere un poco,
quelle rigole mi attirano e con i suggerimenti dei miei compagni
percorro un bel tratto alzandomi in traverso verso sinistra per
superarle.
E’ veramente entusiasmante, paiono onde immobili, con la
massima attenzione scavalco la prima onda ed entro nella rigola, trovo
neve tanto dura da sembrare ghiaccio, scavalco la seconda ed esco fuori;
faccio solo pochi passi nella neve più morbida e mi “tuffo” in quella
successiva poi in quella dopo fino ad arrivare quasi accostata alla
parete sinistra del canale dove vedo grosse rocce di granito spuntare
grigie dalla neve.
Cedo il passo a Giovanni, ora la pendenza è maggiore, i
ragazzi parlano di un ultimo tratto a 60°, mi conviene rientrare nei
ranghi ma sono veramente felice, ho la mente leggera e rilassata
nonostante, proseguendo, le soste aumentino a causa della fatica.
Grido ai miei compagni che tutto è perfetto, non vediamo
anima viva, il sole è caldo, il canale è stupendo e pure noi siamo
perfetti; ci ridiamo sopra mentre ripenso tra me che la montagna è
perfetta, mostruosamente infallibile mentre noi siamo solamente dei
moscerini deboli ed imperfetti; ma è in questi miracolosi momenti che mi
sento orgogliosa di far parte del genere umano.
Il canale ora è in ombra, le pareti si avvicinano e diventa
quasi un corridoio, la sella è sempre più vicina, Davide compie un
ottimo sprint e lo conclude mentre Giovanni riprende la sua uscita e poi
quella di Stefano che sceglie un passaggio che taglia a destra della
cornice centrale.
E’ il mio turno, pianto le picche e balzo sul pianoro
restando quasi abbagliata dalla luce intensa che mi investe e dalla
visione del grande ghiacciaio Nardis che si stende sotto di noi.
Sono le sette, in tre ore abbiamo completato quel canale che
mi dicono lungo più di 450 metri e ci complimentiamo per il tempo
veramente buono utilizzato per la salita.
L’anfiteatro che abbiamo davanti è spettacolare, molte le
cime che rappresentano per noi altrettante esperienze indimenticabili,
Adamello, Presanella, Denza, Scarpacò; magica la lunga ombra che nota
Stefano, è Cima Presanella che proietta sul ghiacciaio Nardis il suo
massiccio e pare coprirlo quasi interamente rimarcando la sua
inevitabile supremazia.
Una sosta sotto al sole caldo per un attimo di riposo poi ci
avviamo verso le rocce che portano alla vetta di Cima Vermiglio, non
possiamo andarcene senza aver cercato di raggiungerla.
Dopo un traverso delicato appesi ad una cengia a sbalzo sul
ghiacciaio sottostante ci alziamo repentini percorrendo un tratto di
misto che finirà col rappresentare la ciliegina sulla torta di quella
salita; granito divertente e neve abbastanza solida ci portano “danzando
leggeri” fino ad una grossa roccia.
Davide si ferma, non è convinto, dopo un breve consulto i
miei compagni optano per una corda fissa poiché non hanno chiaro lo
sviluppo della cresta; quindi fuori la corda e, dopo averlo assicurato,
Giovanni osserva Davide proseguire e scoprire che la placca che temevano
ha una provvidenziale spaccatura che consente un passaggio agevole.
Anche io, abbandonato lo zaino e dopo essermi assicurata,
supero l’ostacolo rappresentato da quella placca, scendo poche rocce e
risalgo in una specie di strettoia, evitando la neve, fino all’anticima
che mostra a pochi passi la vetta vera e propria.
Riparte Davide e poi Stefano, la crestina innevata che mi si
presenta è spaventosamente sottile e gli strapiombi ai lati mi danno i
brividi, non mi fido di me stessa, Giovanni suggerisce di accucciarmi ed
in un attimo acquisto sicurezza e passo quei pochi metri tanto ostici.
Anche lui ci raggiunge, siamo in completa solitudine su Cima
Vermiglio a 3460 metri di altitudine, abbiamo impiegato un’ora per
raggiungerla percorrendo un centinaio di metri di dislivello dal canale;
dopo esserci scambiati gli ennesimi complimenti ed aver scattato una
grande quantità di immagini, ci decidiamo a scendere.
Nuovamente quelle rocce stupende; Davide ed io, parlando, ci
diciamo che sono da accarezzare e sfiorare con delicatezza ed affetto,
mai uno sgarbo poiché, se la danza e l’attenzione si interrompono il
pericolo può divenire gigante e colpire duro.
Ripercorriamo il traverso innevato e ci incamminiamo
costeggiando il ghiacciaio che porta alla sella di Freshfield, breve
passaggio roccioso che ci permette di prendere il ghiacciaio Gabbiolo e
scendere verso il rifugio.
E’ un percorso tranquillo e semplice, incrociamo alcuni
alpinisti, molti dei quali muniti di sci; scopriamo che il grosso gruppo
della sera precedente si è sparpagliato su quelle vette senza
disturbarsi a vicenda e scegliendo vie diverse l’una dall’altra.
Oltrepassiamo il lungo fronte di un seracco e, sempre
faticando a distogliere gli occhi dal nostro canale, alle undici della
mattina siamo al rifugio.
Vi troviamo molta gente e tanta allegria, dopo una lunga
sosta per del cibo scambiando opinioni ed esperienze con altri gruppi,
si riparte.
Breve fermata per la raccolta di una manciata di radicchi ed
alle 5 del pomeriggio siamo alle auto.
Molte parole d’entusiasmo mi salgono dal cuore ma, per
concludere, penso bastino un grande plauso ai miei compagni d’avventura
ed un grazie alla lunga ombra della Presanella che ci ha “tenuto
d’occhio”.
Marina Livella
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