Nord Marmolada 22 Giugno 2008 E’ passato del tempo, sono quasi guarita e posso raccontare la mia storia con la Marmolada; salita voluta a tutti i costi. L’antefatto è costituito da una sfortunata arrampicata della domenica precedente in cui mi sono procurata delle lesioni al costato ma, per non correre il rischio di dover rinunciare a quella esperienza, l’ho taciuto ai miei compagni. E’ sabato pomeriggio, Davide ed io ci troviamo alle cinque e trenta; dobbiamo raggiungere Giovanni, Stefano e Loredana e proseguire poi per Bolzano e la Val di Fassa. Il viaggio in autostrada è lungo e monotono ma verso le nove, dopo aver passato i caratteristici paesi che scorrono lungo le valli di Bolzano, siamo finalmente al Lago Fedaia a 2050 metri di altitudine sotto al versante nord della Marmolada. Troviamo un parcheggio comodo, Giovanni temerario decide di dormire all’aperto mentre noi ci rifugiamo nelle auto, sonno alquanto breve, la sveglia infatti è fissata per le due e trenta. E’ sempre duro alzarsi nel cuore della notte, e per me molto di più questa volta, tanto che, sempre più scettica circa le mie possibilità fisiche, decido di informare Giovanni e Davide del problema, non sono certa di dove arriverò, ma la loro comprensione mi solleva e sono più tranquilla. Si parte alle tre, il sentiero è da subito ripido e spesso camminiamo su ampie lastre di granito liscio e molto solido. Al primo dosso avvistiamo la luna che fa capolino nella notte buia, è tonda e brillante come un faro, rimaniamo a bocca aperta ad ammirarla. In un’ora siamo al rifugio di Pian dei Fiacconi, è chiuso e silenzioso, la notte è ancora fonda e, dopo una breve pausa, ripartiamo; sappiamo che Franco e Sauro sono nei dintorni, probabilmente già partiti per una salita simile alla nostra e speriamo di riuscire ad incontrarci in vetta. L’attacco della parete nord ora non è lontano, alle nostre spalle la notte va scolorando ed in fondo al cielo, sopra la cima dei monti, una lingua verticale di colore rossastro resa opaca da un poco di foschia, cerca di prendere il sopravvento sul buio. Camminiamo tenendola d’occhio poiché Giovanni ha timore di non riuscire a cogliere l’attimo in cui il sole sorgerà da dietro il grande gruppo delle Dolomiti. Ecco un lungo traverso, in fila indiana e senza parlare procediamo accostati a muri altissimi di pareti rocciose che ora vediamo abbastanza chiaramente nel crepuscolo; aggiriamo un costone, poi la nostra nord è davanti agli occhi e nell’azzurro uniforme in cui tutto, noi compresi, galleggiamo si vede il pendio innevato con grandi chiazze di roccia che fanno del percorso una specie di gimcana ed in alto piccole selle che indicano alcune possibili uscite verso la vetta. Tiro un breve sospiro di sollievo, fin li sono arrivata, il costato mi fa male ma pare che la pendenza sia abbastanza dolce da permettermi di proseguire. L’inizio della parete è subito divertente, Giovanni vede una placca di ghiaccio azzurrognolo e ci si dirige senza esitazione; anche noi lo seguiamo ed io mi cimento in quelle poche decine di metri usando felice le due picche che scalfiscono a malapena il ghiaccio duro come cemento. Anche Stefano è contento di quel passaggio ghiacciato, è infatti la prima prova delle sue stupende picche arancio nuove di zecca, motivo questo di risate e battute sarcastiche a scapito sia dell’amico Stefano che dei suoi due attrezzi fiammanti. Il tratto finisce velocemente ed ora non resta che avanzare nella neve solida mentre notiamo che davanti a noi cammina una piccola cordata di tre persone; sappiamo che probabilmente ci sarà preclusa la possibilità di una vetta solitaria, pazienza, era prevedibile. “Ecco il sole!” grida Giovanni fermo ad immortalare la sua entrata in scena, ci giriamo; proprio sulla puntina di un monte si nota un brillio molto intenso che, a vista d’occhio, si fa sempre più forte fino a distinguere un soldino tondo di un bel arancio vivo che si alza e abbaglia mentre più in basso la foschia non accenna a diradare. Tutto il mondo diventa improvvisamente color arancio vivo sorridiamo soddisfatti come fosse opera nostra e riprendiamo la salita; vedo i miei compagni un poco avanti ma non mollo, dopo aver aggirato le grandi placche rocciose ecco che pare arrivi la sella. E’ un’illusione ottica che durerà quasi fino alla vetta, nella uniformità di neve candida e solida vedo la traccia da seguire terminare poco più sopra, proprio dove comincia il cielo che ora si è fatto di un bel blu intenso, ma è un inganno poiché il pendio sembra elastico e non avere una fine. Prendo tempo e mi guardo attorno, la neve è tempestata da brillii che ricordano il cristallo mentre alle spalle la valle è ancora nascosta dalla foschia mentre più distante le catene montuose sono frammezzate e circondate da nuvole che ricordano un mare leggermente agitato. Da un bel poco abbiamo perso di vista i nostri compagni e sono molto stanca quando finalmente ecco la croce e delle braccia sventolanti nella nostra direzione, Giovanni paziente non mi ha più abbandonato ed ora mi sprona a compiere un ultimo sforzo per arrivare alla vetta. Sono abbracci e complimenti che mi spettano quando alle sette e mezza mi riunisco a loro, incredibilmente siamo soli in vetta ai 3342 metri di Punta Penia e ne siamo felici; i miei compagni mi attendevano pazienti da una mezz’ora abbondante per le foto di rito e ne scattiamo molte ai nostri sorrisi. Un sottile monolito metallico di rilevazione, posizionato vicino alla grande croce, ci suggerisce di tentare degli autoscatti per avere immagini di tutti e cinque; scopriremo poi che è stata una buona idea e sono riuscite perfettamente. Il sole è caldo ed il panorama un immenso palcoscenico di catene rocciose a perdita d’occhio, faticosamente mi guardo attorno, l’ampio panettone della vetta è già segnato da molte tracce, la luna è ancora testardamente fissa in cielo, i monti spuntano come funghi tra sbuffi di nuvole chiare; noto il rifugio dal tetto basso a pochi passi colorato di bianco e quasi mimetizzato nella neve circostante, il fumo che esce dal rudimentale comignolo fa pensare sia aperto e ci dirigiamo alla sua scoperta. E’ un sollievo abbandonare l’attrezzatura e riposare per qualche minuto sorseggiando vin-brulè nel rifugio di Punta Penia; tra le chiacchiere tranquille pian piano sento le forze tornare e quando usciamo all’aperto, lasciando il gestore del rifugio impegnato a cucinare il pranzo del mezzogiorno, mi sento pronta per il ritorno. La nostra rapida partenza è causata sopratutto dalla vista più in basso del lungo serpentone di persone in avvicinamento; sono tutti lungo la via normale e puntano la vetta della Marmolada. Siamo spaventati all’idea di dover affrontare una così grande quantità di persone, ma d’altra parte, ci aspettavamo tutto questo dopo aver visto salendo la funivia che termina al rifugio e trasporta agevolmente grandi quantità di turisti in prossimità della cima. Davide si dirige verso il cavo che indica il punto di uscita della ferrata, via alternativa di salita alla Marmolada; l’ha già sperimentata tempo fa in coppia con Giovanni e loro sanno che è il modo più veloce per sfuggire alla gente che altrimenti incontreremmo lungo la via normale. Camminando parliamo di Sauro e Franco, ci siamo stupidi di non averli incontrati sulla cima, abbiamo chiesto al rifugista e pure provato a telefonare ma niente da fare, paiono spariti. Dopo un pendio dolce troviamo l’inizio della cresta che ci permette di vedere gli strapiombi sul lato opposto del massiccio con la famigerata e temibile parete sud irta e rocciosa ed in basso una vallata verdeggiante segnata da una strada bianca mentre sul lato opposto le nubi si sono alzate tanto da lasciare visibili soltanto le creste e le vette dei monti. Una manciata di passi ed ecco il cavo, lo afferro a testa bassa, non ho alternative e devo scendere con gli altri anche se il dolore è forte e la stanchezza procurata dai medicinali tanta; parlo poco e con la massima attenzione comincio la discesa. Dopo il primo tratto molto semplice la ferrata si complica un poco, la neve non è alta ed i gradini sono molto frequenti poiché la roccia su cui si sviluppa il percorso è composta da placche lisce e quasi totalmente prive di appigli, e i tratti ghiacciati sono parecchi. Il proseguimento della cresta è composto da lunghi semicerchi abbastanza innevati che finiscono sotto le pareti a becco del piccolo e grande Vernel che ci sovrastano possenti; guardo in basso, la distesa candida del ghiacciaio mi attende, vorrei saper volare per arrivare laggiù istantaneamente e senza fatica ma sono solo sogni, devo darmi da fare ancora per un bel poco di tempo. Dopo aver affrontato macchie di neve improvvise, tratti ripidi e molto ghiacciati ed altri lisci e privi di neve in un percorso divertente anche se abbastanza di forza, ecco la forcella Marmolada. Incontriamo alcuni alpinisti che si stanno cimentando nella ferrata prendendola dal verso giusto, ovvero dal basso, e guardando un poco più sotto vedo i miei compagni che prendono il sole tranquilli chiacchierando con altri alpinisti ai bordi del ghiacciaio . Dopo aver ceduto il passo ad altre due persone finalmente siamo tutti riuniti, la mia testardaggine ha fatto si che finalmente arrivassi anche su quella distesa candida; poche parole e poi via che ancora alcune ore devono passare prima di vedere le nostre auto. Fa molto caldo, il sole è alto nel cielo seminascosto da enormi nubi candide mentre noi percorriamo il facile ghiacciaio e poi un traverso fino ad arrivare all’angolo dell’enorme roccione che svoltando ci mostra il conoide di partenza della nostra parete nord. Ancora un traverso, quello già percorso alla mattina, fotografando il canale nord decorato da lembi di roccia ghiacciata resa luminosa come lamiera sotto al sole e poi macchie di sfasciumi di roccia tra la neve sudando e sperando che finalmente arrivi il parcheggio delle auto. Ecco, ora siamo in piano, passiamo un laghetto mezzo ghiacciato contornato da una specie di “giardino Zen” composto da rade pietre distribuite quasi ad arte su di una piccola spiaggia di ghiaia e dossi di neve che ricordano l’increspatura del pelo dell’acqua mentre soffia il vento prima del temporale. Ancora un ultimo sforzo, riprendiamo il sentiero che porta a valle abbandonando la neve e ritrovando le placche lisce ed i bassi cespugli; sono ovviamente l’ultima ad arrivare nel parcheggio affollato e non riesco neanche a gioire di quanto ho fatto poiché la stanchezza ed il dolore alla costola ferita sono in rapido aumento. Bella la sorpresa finale, spuntano pure Sauro e Franco che hanno atteso il nostro arrivo, tra abbracci e sorrisi scopriamo che siamo sempre stati molto vicini durante le ore della salita e per una casualità non ci siamo mai visti. Ci fermiamo a scambiare racconti e commenti di quanto appena vissuto e verso le due del pomeriggio, dopo gli ultimi saluti, partiamo soddisfatti verso casa. Marina Livella
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