IL CASTELLO DELLE STREGHE

Cima Castore       20 Luglio 2008        

Pace è quanto riesco a desiderare dopo una salita come quella appena terminata; pace mi chiedono i muscoli ed i nervi e pure il cervello chiede sosta, ne ha abbastanza di coordinare fatica, risate, freddo, allegria, tensione, una ridda di emozioni che, tutte assieme, potrebbero mettere ko un bisonte; il fatto è che io, femmina solitaria, ho appena terminato una di quelle esperienze che, accomunando grande socialità e grande vetta, non si dimenticano più per tutta la vita.

            Il clan del CAI di Lumezzane per luglio 2008 ha architettato una bella salita, un nuovo 4000 ed il gruppo del GAL ci si è tuffato golosamente: cima Castore. Il Monte Rosa ci vede quindi, per il secondo anno consecutivo, ad esplorare le sue vette più semplici ma sicuramente eccezionali.

            Si parte alle cinque della mattina del sabato, siamo in 54, il pullman è pieno ed assonnato ma viaggiando si sveglia e l’allegria regna sovrana fin all’arrivo a Gressoney in Val d’Aosta.

             Ci riversiamo nelle stradine rabbrividendo per la bassa temperatura, ricordo bene quel bel paese ordinato e semplice dal luglio dell’anno precedente per Cima Parrot; la sosta ci permette di mangiare qualche cosa poiché, nonostante siano appena le nove di mattina l’appetito è decisamente sveglio.

            Si riparte per Staffal, il tempo è bello, il sole ci accompagna mentre ci avviamo alla funivia che porta su per il primo breve troncone, partiamo e dopo pochi minuti siamo al terminale a 2170 metri di altitudine.

            Ora che si fa, il secondo troncone in seggiovia pare superfluo e parte del gruppo GAL  preferisce proseguire a piedi verso il Colle di Bettaforca su per i prati costellati da una miriade di fiori diversi; camminando è un stupore vedere quante varietà se ne possano ammirare ed è uno sforzo non fermarmi a fare fotografie poiché devo tallonare Davide e Samuele che macinano prati su prati senza fermarsi solo occhieggiando talvolta verso di me.

            Sbuffando su per le varianti che Davide inventa, ed intersecando la strada a Riccardo che procede a torso nudo, arrivo al terminale del secondo troncone, poi dopo una brevissima sosta riparto. E’ fantastica la visione del ghiacciaio alla destra, una grande quantità di seracchi che si rincorrono su per l’incredibile dorso di quella montagna bianca, azzurra ed a tratti scura di rocce.

            Siamo soli sul sentiero, i miei compagni mi staccano e proseguo la salita sotto ad un cielo blu pieno di nuvole candide raggiungendo Stefano e Loredana su per il sentiero che passa sfasciumi rocciosi e pendii innevati.

            Rallento perdendo i miei precedenti compagni ed acquistando Carlo che, nonostante sia uno dei nostri migliori, si è rassegnato ad essere quasi ultimo e “scopa” della compagnia; non abbiamo fretta, è molto che non troviamo il tempo per fare quattro chiacchiere e questa salita è la scusa per confrontarci parlando un poco di tutto; bella l’amicizia!

            Alcune roccette, poi si arriva finalmente ai canaponi, mi è stato raccontato di questa bella storia, ma quando, dopo una piccola arrampicata mi trovo ad ammirare la lunga cresta rocciosa ed ostica sottolineata da quella grossa corda candida mi meraviglio; è un vero spettacolo.

            Certo è opera dell’essere umano, ma traversare quei passaggi su placche di roccia sostenendosi solo con i canaponi fa un certo effetto. Sentiamo un richiamo, guardiamo in alto e vediamo il sorriso di Davide che, con ai piedi le ciabatte trovate al rifugio è li e ci attende brandendo la telecamera! Diavolo di un uomo, è sempre al posto giusto al momento giusto!

             Guardandomi attorno vedo squarci tra le nubi che regalano improvvise e fuggevoli visioni quasi irreali dei panorami circostanti. Sono passate da poco le due del pomeriggio, dopo aver oltrepassato il breve ponticello che porta al rifugio Quintino Sella a 3585 metri di altitudine ed aver abbracciato una grande quantità di compagni d’avventura osservo la costruzione a parallelepipedo che ho davanti.

            Per la verità c’è poco da vedere, tutto è offuscato da nuvole spesse ed insistenti, il panorama è azzerato, non resta quindi che entrare e trovare posto per la notte; scopro che il rifugio è minuscolo e fitto di gente! E’ dura per noi gruppo molto sociale ed unito riuscire a scambiare alcune parole nella confusione più totale; dopo una dormita che chiude il pomeriggio ed una cena velocissima ci ritroviamo abbarbicati su di una scala a ridere indecisi se andare a dormire o no all’improbabile ora delle nove di sera.

            Purtroppo non si può stare nemmeno all’aperto poiché fuori fischia un vento implacabile, quindi è deciso, si dorme, e pochi alla volta guadagniamo le brande.

            Sveglia alle quattro e trenta, una colazione veloce ed avanti con l’attrezzatura; Samuele, Davide ed io partiamo tallonando Claudio che traccia il percorso. Non passa molto tempo che la pila frontale diventa inutile ed il soldino argenteo della luna sbiadisce.

            L’alba arriva ed il sole l’accompagna, il pendio innevato che calpestiamo è solido e non da problemi mentre la linea dell’orizzonte scaturisce rosea da un letto di nubi tumultuose che coprono tutte le valli; mi volto, la lunghissima fila delle nostre cordate procede lenta ma inesorabile e Davide, terzo della nostra cordata, frequentemente riprende la salita con la telecamera mentre l’ottimo Samuele guida il nostro cammino reso difficile dal vento impetuoso che contrasta il passo.  Dopo una prima lunga china tagliamo bruscamente a sinistra prendendo la cresta che porta a punta Felik a 4176 metri mentre l’orizzonte diventa rosso e fiammeggiante ed il cielo sempre più chiaro; il pendio si fa ripido e sottolineato da un’altrettanto lunga fila di alpinisti che ci precede lenta.

            La cresta è sottile e molto aerea, lo spettacolo del panorama procedendo aumenta; guardo i fianchi che strapiombano vertiginosi, la neve che li copre sembra spatolata da un pittore ed alle nostre spalle vedo l’ampio semicerchio candido della cresta che pare appeso all’orizzonte colmo di nuvole a ciuffi e già segnato dai molti scarponi che l’hanno percorso.

            Proseguiamo oppressi dal respiro reso pesante dalla quota e da intense e gelide folate di vento che non da pace lungo il filo della cresta mentre di frequente siamo obbligati a gimcane dovute al passaggio inverso di alpinisti che già tornano dalla vetta.

            Dopo alcune brevi salite che interrompono la camminata in piano, vediamo parecchie persone tutte assiepate su di un minuscolo slargo della cresta; ecco la vetta mi dicono, puntiamo la macchia di colore delle giacche a vento e, poco dopo, facciamo parte del gruppo.

            Sono circa le sette e venti, siamo a 4228 metri di altitudine e la soddisfazione e grande, nella confusione realizziamo che è meglio rimandare complimenti e foto e, girandoci sui tacchi torniamo indietro mentre altre cordate del nostro gruppo stanno arrivando alla cima.

            Riusciamo così, districandoci tra corde e piccozze a salutare ed apprezzare la bravura di chi incontriamo; ed è una soddisfazione fare riprese e scattare immagini ai visi un poco affaticati ma sorridenti e orgogliosi dell’impresa che hanno compiuto.

            La discesa è molto semplice salvo per il continuo intersecare con altre persone, operazione questa che il filo sottile fornito di cornici piuttosto infide e battuto dal forte vento, complica parecchio.

            Il sole è sempre molto caldo ma non riesce a contrastare la bassa temperatura mentre dobbiamo fare i conti con grosse nuvole di cristalli di neve che ci vorticano attorno e sembrano aghi quando colpiscono le parti scoperte del viso.

            In basso si ammirano ghiacciai tormentati composti da distese di seracchi e pendii tanto candidi da abbagliare, attorno le creste lontane sono frustate dal vento che solleva senza soste grandi ali di neve e vedo una moltitudine di vette che si rincorrono sino all’orizzonte tra cui si riconosce chiaramente il Gran Paradiso.

            Percorriamo a ritroso il resto della cresta poi ritroviamo il pianoro dove facciamo una piccola sosta mentre Davide, impaziente di farsi una bella sgambata, scioglie la cordata e parte veloce mentre Samuele ed io ce ne torniamo tranquilli e rilassati chiacchierando con altri componenti del gruppo.

            Verso le undici siamo al rifugio Sella, è straripante di alpinisti e sotto ad un sole infuocato ci guadagniamo un posticino dove, seduti per terra, possiamo mangiare qualche cosa e riposare un poco ridendo, scherzando e scattando foto al panorama finalmente limpido.

            Dopo aver atteso l’arrivo di quasi tutti i componenti del gruppo partiamo alla volta del nostro pullman; ripercorriamo quindi il godibile sentiero della cresta rocciosa che ora vediamo distintamente e troviamo ancora più bella incorniciata dal blu intenso del cielo.

            Durante il cammino notiamo l’accumularsi di nubi scure che  preannunciano acqua; ormai è irrilevante, la salita è compiuta con un meteo perfetto anche se freddo, e la possibilità di pioggia non fa più paura.

            Scendendo lungo il percorso roccioso facciamo un incontro, è un grande esemplare di stambecco; abbarbicato su di una cengia sopra di noi diventa il soggetto indifferente, inconsapevole e maestoso di molte fotografie.

            Lasciamo la cresta e ritroviamo i declivi di sfasciumi e neve che ha ormai perso la sua compattezza ed è talmente morbida da far inciampare e scivolare; io dopo qualche caduta mi ritrovo seduta e mi lascio scivolare ridendo fino alla fine della piccola discesa, metodo poco onorevole ma molto pratico per accelerare il rientro.

            Eccoci arrivati alla seggiovia, ci dividiamo poiché alcuni di noi non trovano necessario utilizzare gli impianti ed è un piccolo drappello quindi che riparte a piedi approfittando di tutte le varianti possibili tra prati e sentieri un poco improbabili e raggiunge verso le tre del pomeriggio il punto di partenza.

            Siamo arrivati, dopo un veloce cambio di abiti ci prendiamo una sosta al bar per attendere il resto del gruppo mentre il cielo peggiora progressivamente e lascia andare una pioggerella fine.

            Verso le quattro partenza e dopo poco una fermata organizzata dalle ottime signore del CAI per gustare pane, salame, vino e torte, il tutto condito da chiacchiere e risate come nel migliore stile del gruppo di Lumezzane.

            Ora si parte veramente, sazi di cibo e stanchi per la salita ci prendiamo tempo per un sonnellino mentre il pullman viaggia tranquillo.

            Ovviamente sognando Cima Castore………………….

                                           Marina Livella