Cascata Funicolare Val D'Avio Mi rendo conto solo ora, riflettendo su tutta l’avventura, di come la passione possa prendere a tradimento, quando meno te lo aspetti ed in un posto a caso; ad esempio la Val Avio. Eravamo partiti, Davide ed io, alle cinque di mattina dalla Malga Caldea sopra Temù con destinazione cascata Madre. In quella occasione la mia attenzione è stata catturata della cascata Funicolare che si vedeva al di la del lago; ma, già molto affaticati dal lungo e pesante avvicinamento nella neve alta non l’abbiamo nemmeno presa in considerazione, per di più erano due anni che non facevamo una cascata. Più tardi però ne abbiamo parlato. Le relazioni la danno un poco più impegnativa della Madre ma con un rientro quasi impossibile, a piedi, in mezzo alla neve alta e pesante, ed attrezzata con scarse soste su roccia. Questo punto ha cominciato a ronzarmi in testa, “soste su roccia”, sarebbe stato abbastanza controllarle, rafforzarle e magari aggiungerne alcune altre per permettere di calarsi direttamente dalla cascata e renderla più agibile e veloce. Quella prima giornata mi lascia una inesaurita voglia di cascate di ghiaccio ed un tarlo circa la Funicolare; e se ne tentassi la chiodatura completa? La domenica successiva sono di nuovo su con Sauro a verificare la mia idea; partiamo alle quattro di mattina carichi come dei muli, siamo fortunati, la neve sostiene abbastanza bene. Ci siamo portati le ciaspole e sono utili nell’ultima parte dell’avvicinamento. Fa freddo e siamo in ombra, vediamo alcuni alpinisti che si avviano verso la cascata Madonnina. Eccoci sotto la Funicolare, ci rendiamo conto che non è possibile scalarla, la stanchezza è tanta, nonostante le ciaspole si affonda molto ed è troppa la neve che copre tutto attorno, con rincrescimento decidiamo di rinunciare, sarebbe troppo difficile il rientro nonostante il ghiaccio sia perfetto. Non sono disposto a cedere così facilmente, è la terza domenica filata che mi vede attraversare deciso il tunnel dell’ENEL e sbucare in quella gelida conca innevata assieme a Sauro che è nuovamente con me; la neve tiene bene, il freddo è come sempre polare ma la prospettiva di un giornata di sole ci fa avvicinare abbastanza veloci. Attacco il muro iniziale, veramente ostico, mentre Sauro mi assicura, dopo il primo momento procedere con il primo tiro è comunque un vero piacere. Trovo una sosta, è abbastanza precaria, decido di aggiungere uno spit, afferro martello e piantaspit e picchio per dieci minuti circa, inserisco la piastrina e la sosta è pronta e sicura, riparto poi per il secondo tiro facendo cinquanta metri circa non troppo impegnativi, mi sento bene e molto ottimista circa la fattibilità della via. Mi guardo attorno, la giornata è soleggiata ed i monti della vallata sono carichi di neve, tutto perfetto. Individuo a destra una placca adatta all’allestimento della seconda sosta, è raggiungibile con una canalino di due o tre metri che sicuramente sarà ghiacciato per tutta la stagione, quindi sempre possibile da raggiungere; mi metto comodo ed in una fessura pianto in profondità uno spit ed un chiodo. Non sono ancora stanco, le mani sono abbastanza calde e riparto per il terzo tiro, Sauro invece ha dei problemi con le mani per il freddo molto intenso e le soste prolungate, quindi non mi può aiutare molto ma sono determinato ad arrivare in cima. Proseguo per altri cinquanta metri abbastanza continui sui 70-80 gradi con due bei muri di ghiaccio solido, con un colpo di fortuna, sempre sulla destra ed abbastanza in alto trovo il posto perfetto per la terza sosta, metto due spit, non sono molto comodo, infatti questa sosta la allestisco stando puntellato sui ramponi e sulle picche e sento la stanchezza che mi prende pesantemente. Anche questa sosta è fatta, ora si che sono completamente esausto, recupero Sauro, ci accorgiamo di aver molta fame e sete, l’ora è avanzata e Sauro ha una debolezza che diventerà una influenza e ne avrà per una settimana. Facciamo le tre calate velocemente e via verso l’auto affrontando il pesante percorso di rientro nella neve alta. E’ buio, sono le sette di sera quando ripartiamo. Ripensavo a quando, scendendo, guardavo la “mia” cascata e dicevo, non manca ancora molto al completamento, non è pensabile rinunciare proprio adesso. L’unica persona che mi può aiutare ora è Davide e devo convincerlo! Il martedì successivo il gruppo è riunito al CAI, li aggiorno sui miei risultati, passiamo un paio d’ore ad esaminare foto e relazioni, Davide non è molto convinto; dalle relazioni risulta che dopo il terzo tiro la cascata diventa molto difficile con muretti da 85/90 gradi, in più la stagione è avanzata, alla fine di febbraio il sole sull’uscita della cascata batte per parecchio tempo ed il ghiaccio diventa pericoloso. Non mi do per vinto, verso mezzanotte, forse preso dalla stanchezza Davide accetta, ci accordiamo per la domenica successiva, sono soddisfatto, sento che questa sarà la volta buona. E’ domenica, partiamo da casa alle tre di mattina, alle cinque e mezza ci attrezziamo nel parcheggio di Malga Caldea, gli zaini sono stipati con le sole cose indispensabili perciò niente cibo ed acqua e nonostante questo sono ugualmente molto pesanti. Abbiamo notato che a Vezza d’Oglio la temperatura è sette gradi sopra lo zero, preoccupante questo caldo ma si va ugualmente; si sprofonda molto, alle sette di mattina siamo all’inizio della galleria, sono ormai esperto, so dove accendere e spegnere le luci e non servono le frontali. Ben presto siamo dopo la diga, la giornata è splendida e la conca è candida ed intonsa, ci imbrachiamo, mettiamo le corde sulle spalle, abbandoniamo gli zaini ormai semivuoti dietro la cabina dell’ENEL e ci avviamo. Mano a mano che ci avviciniamo alla cascata Davide mi da ragione, non è verticale come pensava e lo vedo sollevato. Parto per il primo tiro, il muro difficile mi pare meglio ora che sono certo della sosta che ho installato la settimana precedente, la trovo ed è perfetta per recuperare Davide. Pare che tutto vada bene, ora parte il mio compagno, deve arrivare alla sosta che gli ho descritto in maniera precisa e con molti particolari durante l’avvicinamento. Il ghiaccio è plastico al punto giusto, appena uscito dal primo muretto proprio dove spiana, Davide trova una brutta sorpresa; in quel punto nel piantare la picca il ghiaccio si spacca ed esce un fiotto d’acqua continuo; decide di spostarsi parecchio a sinistra cercando di evitare che si bagnino troppo le corde, sarebbe un guaio, e prosegue arrivando presto alla seconda sosta che trova ottima e comoda. Lo seguo e ci troviamo insieme, Davide si complimenta per le soste che ho allestito, poi parto per il terzo tiro, non è banale, trovo due muri verticali che mi mettono un poco in difficoltà, li supero, e mi accorgo di essere abbastanza provato, cerco di concluderli il più velocemente possibile, non ora mi dico, non è il momento di sentire la fatica, la passione che covo dentro da un mese si fa sentire, la cascata è da concludere ma mi devo riposare. Recupero Davide, gli chiedo se si sente di fare il prossimo tiro, accetta e parte, è un tratto veramente difficile con alcuni muretti molto verticali e prosegue salendo ancora circa 45 metri. Si ferma quando è all’altezza della cabina dove arriva la teleferica, nota che il ghiaccio si fa sempre più sottile e decide di deviare a destra su una cengia tra roccia e neve sperando di trovare qualcosa per fare sicura. E’ proprio la giornata perfetta, mi grida che ha avuto fortuna, c’è una bella colata di ghiaccio molto comoda dove piantare tre chiodi ed effettuare il mio recupero. Lo raggiungo e noto che ha proprio ragione, decidiamo che quello è il posto ideale per creare la quarta sosta, ed inizio a fare i fori con martello e punta nella placca sovrastante la colata di ghiaccio. Nel giro di mezzora sono fatti mentre il mio amico Davide, seduto tranquillamente sulla corda, si gode il panorama ed osserva il mio lavoro. Certo non è cosa da poco creare una sosta dal niente solo con punta, martello e forza nelle braccia, nonostante la stanchezza riesco a completare l’ultima sosta della cascata che la grande determinazione mi ha “obbligato” a concludere. Finalmente ho finito, sono rilassato e psicologicamente molto stanco, Davide è nel mio stesso stato d’animo. Ci accorgiamo che è ancora presto, circa l’una del pomeriggio, ma desideriamo rientrare velocemente. Sentiamo delle voci, due ragazzi spuntano dalla cascata, scambiamo opinioni riguardo alla Funicolare, sono due milanesi molto appassionati di cascate, si complimentano per il nostro lavoro poi insieme ripartiamo; ci sarebbero ancora una decina di metri per arrivare alla vera fine della via ma a noi non interessa, pure loro non vogliono proseguire, quindi ci caliamo eseguendo le doppie sulle nostre nuove soste. La felicità dell’opera compiuta viene smorzata dal solito rientro oltremodo pesante, non mi ci abituerò mai, verso le tre arriviamo alla cabinovia prima del ponte. Dopo un paio d’ore siamo all’auto, il mio sogno è realizzato e la fatica non riesce certamente a diminuire la mia soddisfazione. Visto che scherzi fa la passione?
Sergio Senzaquattrini
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