Castellaccio /Canale del dito Piccolo gruppo alla partenza, verso le sei di mattina, in questa gelida domenica di metà febbraio, sono da scordare i fiori primaverili già visti sui prati, è proprio una autentica giornata invernale. Quando verso le otto arriviamo in Tonale nell’immenso e desolato parcheggio per la Presena a 1880 metri è una dolorosa botta di freddo che ci investe decisa; ci attrezziamo veloci con qualche battuta che sibila svogliata tra i denti, il termometro dice undici gradi sotto lo zero! Giovanni, Stefano, io e Marcello, amico che da tempo non era dei nostri, ci avviamo esattamente alle 8,09, orario che Marcello registra con precisione, immersi in una nebbia fittissima che confonde. Giovanni è comunque sicuro di se, si trova nel suo ambiente, risaliamo per un tratto la pista e dopo un poco deviamo verso ovest per un lungo traverso che contorna le rocce che dal Castellaccio scendono al Passo Paradiso. Proseguiamo come ombre poi, dopo un’oretta, la giornata si apre, il sole ha bucato la coltre di nebbia che avvolge per catapultarci improvvisamente in un mondo azzurro e rarefatto dove la neve la fa da padrona e tutto comincia ad illuminarsi attorno. Salendo un’altra sorpresa; un mare di nubi copre la vallata sotto di noi, sono candide e tumultuose e lasciano vedere, sull’altra sponda di quel mare improvvisato, una lunga catena di monti innevati brillanti di sole, mentre le cime della nostra sponda si specchiano come nell’acqua e formano un’ombra scura e frastagliata. Mi volto, vedo alle mie spalle il candido pendio con le nostre uniche tracce che lo segnano decise. Ora mi sento sollevata, le nubi che coprono la vallata sottostante sono una uniformità liscia e lattea e le nostre ombre scure la interrompono buffamente; siamo soli e ne siamo felici. Dopo 2 ore e mezza dalla partenza siamo alla base del canale, una breve sosta per indossare i ramponi e via, il nostro canale si è mostrato improvvisamente dopo una lunga cresta che lo nascondeva, intonso ed innevato come desideravamo; la bizzarra roccia simile ad un dito che indica verso l’alto è lassù in cima, incollata ad un cielo azzurro chiaro quasi finto ed ai lati le rocce sono lisce e poco innevate. Partiamo di buona gamba, il canale non è ripido, la neve è ottima e le tracce sono facili; presto l’attacco si fa lontano e le pareti di roccia ai lati cominciano a stringersi e chiudere il canale. Siamo in ombra ed il freddo è intenso, alle nostre spalle il sole deve essere caldo, è un miraggio, infatti raramente nel corso della giornata riusciremo ad averlo addosso. Aggiriamo alcuni roccioni che mi paiono talmente belli ed appigliati da desiderare di provarli; Stefano mi sconsiglia di farlo e mi incita a seguirlo per raggiungere la sella. Il canale si impenna, le rocce ai lati si stringono ancora e sono incombenti, la picca affonda decisa ed il Dito appare sempre più vicino. Le uscite sono due, una per lato della grande roccia affusolata. Giovanni si ferma per scattare fotografie e cede il passo a Marcello che prosegue lungo la parte più ripida. Arriva sotto l’uscita, prende le roccette del lato di sinistra che lo fanno faticare un poco; Giovanni indica a noi il lato destro e dopo alcuni minuti scavalchiamo la sella senza utilizzare il cordino che notiamo fissato ad una roccia ed assaporiamo il sole intenso. Mi giro e vedo il caschetto di Marcello spuntare dalle rocce qualche metro più in la, ora siamo riuniti e sono rilassata, siamo al passo a 2950 metri. E’ circa mezzogiorno, il panorama è aperto ed abbiamo fame, si fa un piccolo spuntino mentre i ragazzi decidono il da farsi, è presto e si potrebbe tentare la cresta nord est che porta alla vetta. Il freddo intenso ci fa decidere velocemente; dopo aver organizzato una sosta Giovanni prosegue superando un traverso innevato abbastanza difficile ed arriva ad uno spigolo dove fissa la corda per far passare pure noi. Parto io, poi Marcello e Stefano; vediamo che è necessario un altro tiro di corda per superare un breve ma ripido tratto di misto, Marcello si avvia mentre Giovanni gli fa sicura; nonostante il sole il freddo a mani e piedi è terribile; nell’attesa, la neve farinosa spostata da Marcello ci piove addosso leggera con “effetti speciali” veramente belli. Lunghi attimi di ansia, pare che Marcello non arrivi ad un punto solido, poi finalmente grida che è in sosta, scopriamo che la sua indecisione era generata da una placca liscia e poco innevata veramente difficile da passare. Finalmente siamo sotto alla cresta, ci complimentiamo con Marcello per l’abilità, superiamo un tratto nevoso accostati a delle rocce e via per un pezzo di misto piuttosto facile anche se molto ripido. Tra grosse rocce colorate da licheni giallastri e dopo una selletta poco impegnativa ci troviamo all’anticima; Stefano e Marcello che ci hanno atteso qualche minuto partono subito dopo aver immortalato il momento. Sono le due passate e non ci si può fermare, scattiamo immagini delle loro figure che superano una sottile sella nevosa e si arrampicano sulla vetta principale del Castellaccio dove vediamo una bella quantità di neve candida che spiove all’infuori con una abbondante cornice; bella l’immagine di Marcello che sventola la picca “solleticando le nuvole”, siamo a 3030 metri, questa vetta è una conquista inaspettata. Li raggiungiamo svelti, il percorso è faticoso ma non difficile, ecco la vetta, molto diversa dalla mia prima visita, la croce di semplici bastoni è sempre la stessa ma diverso è il sapore che sento in bocca, l’adrenalina è al massimo e sapere che non è finita mi da i brividi. Un piccolo stop, sono le due e mezza, bisogna ripartire veloci, qualche risata per sminuire l’ansia della salita e belle foto che mi immortalano con il perenne caschetto storto sulla testa, ci guardiamo attorno, in basso nella conca vediamo i brutti condomini del Tonale e siamo raggiunti da una musica assordante che disorienta proveniente dal rifugio Presena; sono altri ora i brividi che sentiamo e sono molto spiacevoli. Ripartiamo, ancora cresta, sempre abbastanza complicata per scendere dalla cima, non siamo certi del divenire del percorso ed i miei compagni sono molto cauti. Ora Stefano e Marcello sono in avanscoperta, trovano un grosso spuntone di roccia poco innevato che sbarra la strada. Si dividono, Marcello sale verso l’alto mentre Stefano scende un tratto ripido e mezzo innevato tra le rocce; ci avverte che ha trovato una placca rocciosa insidiosa e consiglia di non seguirlo. Lo guardo con il fiato sospeso, sotto di lui c’è un bel salto, è bravo, risale con precauzione usando delle rocce alla sua sinistra e si porta verso Marcello. Nel frattempo Giovanni, con me dietro, sceglie delle rocce che stanno a metà tra i nostri amici, il passaggio non è difficile e ci ritroviamo tutti assieme per aggirare lo spuntone proseguendo per la cresta verso il passo del Casellaccio che pare non arrivare mai. Ecco un traversino ed un roccione, Marcello sempre avanti scende ed arriva ad una sella che supera risalendo qualche metro, avverte di fare attenzione; Stefano attrezza una sosta e Giovanni ci cala entrambi alla selletta in ombra dove spira un vento polare. Ora è Giovanni a dover scendere mentre Stefano gli fa sicura. Utilizzando le stesse rocce di Marcello arriva più in basso di noi, proprio addentro al sottile canalino che asserisce di ricordare da esperienze passate; è certo che porta diretto alla conca e decide di dargli un’occhiata. Tremanti dal freddo lo osserviamo scendere per il canale sottostante, lui ci grida che la neve è buona, prosegue per trenta metri circa e proprio quando la corda finisce arriva ad un bizzarro terrazzino abbastanza comodo formato da un masso incastrato dove c’è un buco nella roccia attorniato dalla neve. Ci grida di scendere e velocemente lo seguiamo; il passaggio è conosciuto, troviamo infatti due cordini che utilizziamo per calarci oltre il masso direttamente sul margine della conca. Mentre Giovanni scatta delle foto Marcello mi cala per un tratto, la neve è bella e semplice, finisco la discesa e sono al pianoro, scendo ancora un poco ed aspetto i miei compagni. Parte Marcello che, nel calarsi rompe uno dei due cordini trovati per la sosta; fortunatamente Giovanni ne aveva aggiunto un altro per sicurezza che poi abbandona senza rimpianti. Ci raggiunge Stefano, vedendo i nostri visi lividi di freddo dà fondo alla sua riserva di te caldo che giunge veramente a proposito, ci eravamo infatti scordati di mangiare e bere da lungo tempo, arriva pure Giovanni carico della corda e possiamo scappare da quel punto in ombra. Sono le quattro e mezza circa, ora ci tocca un bel percorso nella neve molto fonda, notiamo le tracce a zig zag degli sci alpinisti e le utilizziamo volentieri puntando la vallata candida. Raggiungiamo gli impianti al Passo paradiso che sono la vera nota stonata di questa stupenda avventura, finalmente il sole ci scalda, siamo attorniati da bambini in gita, ora la pista in discesa, frastornati e stanchi arriviamo verso le cinque e mezza al parcheggio. Il sole ancora brilla in alto. Marina Livella
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