Vioz 1 luglio 2007 Salita d’allenamento, quando Giovanni parla di questo normalmente il GAL ha brividi freddi, infatti si tratta certamente di qualche cosa di molto faticoso. Questa volta è il Vioz; vetta che si raggiunge solitamente dopo un breve tragitto in funivia da Pejo e poi con una salita su per un sentiero facile, ma per noi è tutta un’altra storia e ce ne accorgiamo presto. La prendiamo infatti da sopra la bella Val di Pejo raggiungendo Malga Mare, già vista per altre salite, a 2000 metri di quota circa; siamo una bella compagnia, pronti per la nuova avventura. Malga Mare, nome che identifica una grande diga e grandi prati e grandi abetaie e alti monti che fanno corona alla nostra partenza e che parafrasando il nome pare proprio essere la “madre” del mondo con tutti gli elementi necessari alla vita. Dopo esserci attrezzati, verso le otto partiamo guadando il fiume sopra ad un ponte fatto a travi in legno e passando poi per un sentiero piano e tranquillo dentro ad un bosco costellato da fiori di ogni genere. La via non è sicura, Giovanni, la nostra guida, non ha ben chiaro il percorso, il suo ricordo è con gli sci ai piedi ed una enorme quantità di neve, ora è molto diverso ed i riferimenti sono scarsi. Il percorso in traverso quindi diventa lungo e ci troviamo a passare boschetti di alberi bassi ed intricati che confondono; Davide, Carlo e Giovanni si dividono e si lanciano alla ricerca del sentiero giusto; passa quindi una buona mezzora di risate, richiami a gran voce e commenti divertiti prima che il gruppo sia nuovamente riunito, il tutto infrattandoci in percorsi decisamente strani. Nel frattempo il giorno si è fatto ed il cielo è indeciso e grigio; non è un grosso problema per noi; dopo aver percorso per mezz’ora il sentiero che porta più in basso ai Masi Zampil, Giovanni svolta deciso su di una ripa assolutamente impossibile e dice sicuro“ecco, per di qua!”, noi salendo contestiamo debolmente che non c’è sentiero, ma lui ridendo asserisce che non è un problema visto che Carlo, Davide e Stefano sono già su un bel pezzo ed hanno attaccato la salita proprio da lì; stiamo imboccando la Vallenaia ad est del Vioz. Il problema c’è invece, ci troviamo ad arrampicare faticosamente su pendii ripidi; la vallata che pian piano ci si presenta è spelata e costellata prima da piccoli cespugli e bassi abeti e poi da massi che avanzando diventano sempre più grandi; in alto rocce grigie che pare non si avvicinino mai. Si trasforma quindi in una lunga morena solcata da rivoli di acqua grandi e piccoli che sembrano brillanti liquidi tra le rocce, la nebbia è sempre poche decine di metri sopra a noi e pare avanzare con il nostro stesso ritmo, passiamo prati profumati di timo che Stefano Jr. mi fa notare e ne raccogliamo piccoli ciuffi che emanano un aroma intenso. Accompagnata da Rinaldo e Giovanni proseguo un poco lentamente, gli altri con Carlo in testa felice di quella bella avventura vanno lanciati ma non mi preoccupo, li intravedo tra la nebbia sempre sopra di me e sono tranquilla. La morena è difficile, i massi non sono grossi ma pur sempre faticosi da superare, il tempo non è bello ed il panorama, chiusi come siamo tra due ali di rocce, è molto limitato. I lati della valle vanno sempre più stringendosi, le rocce si fanno alte e lunghe lingue di neve resa grigia dai residui di roccia sono più frequenti; ci ritroviamo tutti assieme a ridere di niente in bilico su rocce tra la neve che ora è ovunque, ci attrezziamo con ramponi e picca e ripartiamo velocemente. Nebbia ancora, lattiginosa e fredda che si scontra con la pelle delle nostre braccia nude, non fa nulla, c’è una bella vetta che ci aspetta, la roccia attorno è stupenda pare fatta di ambra e di tormalina, striata di nocciola, marrone e arancio, con la neve in basso e sottili sorgenti di acqua limpida e argentina che la solcano. Ora dopo una strettoia il canale si fa largo e ben innevato, in alto si nota una lunga sella interrotta da enormi massi di rocce scure. Mi dicono che quanto stiamo calpestando è un vero piccolo ghiacciaio ma non vedo crepacci e procedo tranquilla, la neve è solida e non serve seguire tracce, io divago e scelgo un percorso tutto mio, è molto divertente e la fatica del primo lungo tratto è scordata istantaneamente. Alzando gli occhi la sella è ancora un poco lontana, vedo i percorsi per la cima, sono due, si biforcano alla base del grande roccione centrale e corrono zizzagando fin su, entrambi ben innevati; indietro vedo Rinaldo che si avvicina e tutta la lunghissima erta vallata che rotola verso il basso bianca di neve e nebbia fitta a lunghe strisce e sbuffi. Ai nostri lati il ghiacciaio che si fa scuro e rigato di grigi perlati e luminosi su per la salita che si impenna in alto, ma è la sella che cattura il mio sguardo, è lassù che tutti noi puntiamo. Improvvisamente la nebbia si strappa e compaiono grandi tratti di cielo azzurro scuro fiammeggiante di sole, è una magia che le montagne regalano talvolta a sorpresa; ero certa che anche questa salita del GAL sarebbe stata coronata dal bel tempo, arriviamo infatti alle roccette sotto alla vetta con un sole caldissimo che accompagna magnanimo la nostra fatica finale. Guardando alle nostre spalle Stefano Jr. ci fa notare un grande lago, che spunta dalla nebbia fitta, sul versante opposto della valle di partenza, è circondato da nubi bianche che l’hanno coperto fino ad ora, il blu delle sue acque è intenso ed immoto, una specie di grande occhio che ci osserva; mentre verso sinistra un lunga cresta, che pare disegnata con il compasso, parte alla base di una roccia nera confusa dalla nebbia da un lato mentre dall’altro è limpida e candida e prosegue fin verso di noi sottile e decisa tanto che sembra invitarci verso di lei. Siamo alle rocce, molto instabili e franose, le attacchiamo decisi ma attenti a non mettere in pericolo chi è sotto di noi ad arrampicare, grandi e piccoli massi infatti rimangono in mano a toccarli; con molta cautela ci ingegniamo a salire e in pochi minuti siamo sotto alla vetta. Anticima con imponente croce di legno chiaro accompagnata da atletici escursionisti in scarpe basse e camiciole a quadri; e noi, con i nostri ramponi ed il nostro sudore ci sentiamo quasi fuori luogo, ci affrettiamo a raggiungere i nostri compagni che già hanno attaccato le roccette che, con una bella paretina un poco ripida, raggiungono la vera vetta a 3645 metri di altitudine. Era lì che volevamo arrivare, è quasi l’una e siamo soddisfatti nonostante i brontolii dell’orso Giovanni circa l’affollamento di quella vetta. Minuscola cima, ci stiamo a malapena, decorata da un piccolo monolito metallico che mi spiegano essere uno strumento per rilevamenti geografici e che utilizziamo come appoggio per molte delle istantanee che scattiamo. Siamo tutti un poco assonnati, Stefano si appisola buffamente in bilico su di una roccia e pure Davide sonnecchia arrotolato su se stesso ed ancorato ad un fittone in bilico su di uno strapiombo poco invitante, mentre Carlo riposa come un indiano accovacciato sui propri talloni e Rinaldo fruga come sempre nello zaino alla ricerca di qualche cosa. Mangiamo ridendo delle battute di cui Stefano Jr. e Giovanni sono fonte inesauribile; e ci sentiamo tanto bene da riuscire ad essere socievoli con un ragazzo che tenta l’arrampicata alla vetta di cui ci siamo appropriati completamente. Attorno un grande sviluppo di vette innevate che paiono finte tanto il sole le illumina e rende brillanti e di cui i miei compagni sgranano i nomi facilmente, Palon de la Mare, le famose 13 cime della traversata e di cui mi indicano i “nostri” Tresero e S.Matteo della bella avventura dell’estate scorsa con il CAI. Partiamo quindi alla volta del bizzarro rifugio Mantova, edificio completamente nero, notato all’arrivo; con un breve percorso, prima lungo un piccolo ripido ed una cresta innevata e poi su per una facile cresta di massi franosi, lo raggiungiamo; breve sosta per due chiacchiere e un’occhiata al percorso di rientro che ci aspetta. E’ in questa occasione che faccio la mia ennesima piccola gaffe, parlando con Giovanni chiedo se devo tenere in mano la ……., il nome dell’oggetto mi sfugge e cerco rapidamente un sinonimo, purtroppo anziché “piccozza” mi viene “zappetta”, un coro di disapprovazione si leva dai miei inseparabili ed unici amici ma che poi si tramuta in una grande risata generale. Ci rimettiamo in cammino sotto ad un bel sole che però non riesce a calmare il vento forte e freddo che ci investe, la nebbia ora è sotto di noi e, curiosamente, sarà sempre poco avanti ai nostri passi fino alla fine della lunga vallata. E’ veloce il percorso sul ghiacciaio e poi sui massi della morena, un piccolo incidente di Rinaldo ci fa preoccupare, uno scivolone che gli procura delle botte e qualche segno sulle braccia ma nulla di grave, lo coccoliamo un poco e, dopo qualche risata si riparte. Nuovamente si rivedono i bei fiori giallo scuro fatti a stella e quelli piccoli e bianchi e il violetto tenero del timo profumato, e poi i cespugli e quei grossi grumi d’erba alta che nascondono buchi traditori colpevoli di storte alle caviglie e capitomboli nell’erba. Siamo forse tutti un poco ammaccati quando giungiamo alla fine di quella vallata ripida; durante la discesa Davide scova nell’erba alta alcune “mazze di tamburo”, deliziosi e bizzarri funghi che i miei compagni raccolgono per me; li gusterò, con l’inseparabile Saveria, la sera successiva. Mi ritrovo a guardare meravigliata la cima del vallone appena disceso con la sua neve color perla di mare e desiderare inutilmente di essere ancora lassù. Una mandria di enormi e pacifiche mucche chiare ci accoglie al di là della grande diga, pascolano nei prati vicini alle nostre auto e ci accolgono con i loro muggiti rilassanti e dolci, abbiamo fatto presto, sono le quattro del pomeriggio appena passate. Ci siamo rimessi in sesto attorniati da una grande quantità di gitanti ma felici per quella ennesima e bella avventura. Ed io tra una fetta di torta ed una chiacchiera mi chiedevo cosa mai avrei fatto senza il sorriso sempre pronto di Giovanni, gli occhi scuri e gentili di Carlo e quelli angelici e distratti di Davide, l’aplomb tutto inglese di Stefano, le risate aperte di Rinaldo e Stefano Jr. e l’affetto e l’attenzione benevola di cui tutto il GAL mi circonda e che è parte integrante della mia vita. Carlo, Davide, Giovanni, Stefano, Stefano Jr., Rinaldo ed io Marina salutano e rimandano alla prossima avventura.
Marina Livella
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