Rifugio Bozzi 25 Novembre 2007 Fine novembre e non si sa che fare, poi un nome, Albiolo, cima che da tempo ci sfugge, quindi domenica mattina presto ci troviamo Davide, Giovanni, Stefano ed io, unici componenti del GAL che decidono di partecipare a questa nuova avventura. La fortuna pare ci assista poiché riusciamo a raggiungere in auto le propaggini del bel paese di Case di Viso in quanto la neve non impedisce il passaggio ed anche guardando in alto il paesaggio è scarso di neve ed i pendii sono un misto di colori su cui quasi predomina il verde scuro di erba e cespugli pensando che anche con poca neve ci si può divertire. Lasciamo l’auto e partiamo allegri, traversiamo la valle e prendiamo il pendio che sale ripido verso l’alto ignorando la strada; ora il tempo sembra stia peggiorando, la nebbia salendo progressivamente copre tutto attorno e quando siamo sui tornanti della strada che sale verso il rifugio il panorama è completamente cancellato. Una sosta, si sfoderano le cartine, i miei impareggiabili compagni si consultano e la via è messa a fuoco. E’ mentre ci si prepara per ripartire che una mandria di camosci fa la sua comparsa dalla cresta che abbiamo di fronte; sono una decina e forse più, si destreggiano svelti tra i radi cespugli e gli abeti, uno scende verso il basso annusando l’aria ma poi ci ripensa e raggiunge gli altri che stanno attraversando in gruppo un poco sopra di noi. Molte le fotografie e le riprese di questo spettacolo che non ci aspettavamo. Si riparte, non c’è tempo da perdere, dobbiamo raggiungere il rifugio Bozzi come prima meta e c’è ancora molto da camminare. La nebbia si dirada appena e, come un flash, appare il fondo valle con le minuscole case coperte di neve ed i piccoli abeti attorno; è un altro momento di stupore, quella immagine ricorda un paese delle fiabe il giorno di Natale. Ora la neve si è inaspettatamente alzata e non di poco, mano a mano che proseguiamo sul sentiero il passo si fa più pesante e chi fa traccia è molto in difficoltà; davanti ai nostri occhi, infatti, solo neve alta e nessun punto di riferimento. E’ una grossa sorpresa. Lungi da noi pensare di tornare indietro, almeno al Bozzi si deve arrivare, immersi nella nebbia più fitta proseguiamo ridendo della situazione in cui ci troviamo; la neve è fin alla vita ed annaspiamo passo dopo passo sperando di andare nella giusta direzione abbagliati dal candore che ci circonda. Ancora mille passi sempre ridendo di noi e di quello strano percorso, quindi su per un pendio ripido che dovrebbe portare verso il rifugio, dico dovrebbe, poiché la coltre di nebbia è talmente fitta da tagliare con il coltello. Un’idea malsana serpeggia tra di noi, “avere delle ciaspole”, con quelle sarebbe tutto facile e meno faticoso …. ci scuotiamo da quel sogno, piccolo cedimento causato dalla stanchezza; da veri uomini lo rinneghiamo subito! Mai ci diciamo, quello strumento non è fatto per le gambe del GAL. Non nascondiamo però che alcuni dei nostri non le disprezzano proprio ed anzi pensano si tratti un valido aiuto in montagna. E’ un attimo, ci voltiamo, improvvisamente la nebbia si è strappata ed ora il cielo è azzurro; il sole acceca e scalda e tutto attorno è chiaro; non crediamo ai nostri occhi, i miei compagni si orizzontano istantaneamente, siamo poco distanti dal rifugio e lontano vediamo pure due persone sugli sci che, da un altro percorso, lo stanno raggiungendo. E’ uno spettacolo, la meta è vicina e c’è il sole, ma noi siamo comunque con la neve alle orecchie; vogliamo andare avanti, faticosamente ed alternandoci spesso superiamo l’ultimo traverso prima della piccola salita sotto al rifugio. Sembra impossibile ma pure io ho fatto la mia minuscola parte in quella grande fatica; aiutandomi con le mani ad alzare le gambe per compiere i passi ho fatto un poco di traccia davanti ai miei compagni, certo, non li ho sollevati per molto tempo dalla fatica, ma sicuramente li ho fatti ridere, soprattutto quando invece di andare verso l’alto, per la concentrazione, sbagliavo ed andavo inutilmente verso valle. L’orizzonte è limpido, punte candide di monti si intravedono lontanissime ed attorno i pendii e le vette sono innevate e straordinariamente belle, ora siamo proprio sotto al rifugio, vedo l’inconfondibile muro dei residuati di guerra e l’edificio del museo, Stefano avanti è esausto ed affonda tantissimo, ad un certo punto si mette di pancia ed inizia a “gattonare” come un bambino sulla neve. Lo osserviamo, incredibile ma vero, non sprofonda, ridendo stupiti pure noi adottiamo la stessa tattica ed avanziamo fino a raggiungere un muretto sottostante l’edificio; altra grande fatica oltrepassare quel ostacolo semivisibile. Stefano che è avanti si trova ad un punto morto, la neve morbida ed alcune rocce traditrici sotto i piedi non lo fanno avanzare, anzi affonda sempre di più con un assurdo effetto “sabbie mobili”, ci fermiamo vicino a lui ridendo a crepapelle mentre Davide, spostandosi di lato, quasi lo seppellisce sotto ai cumuli di neve che sposta superandolo. E’ poi mio l’onore di arrivare fin sopra spostando cumuli di neve e buttandoli dietro di me come suggerisce Davide. Simili a naufraghi arriviamo a toccare il tetto dell’edificio, sempre ripresi con la telecamera da Giovanni che si diverte un mondo, finalmente il rifugio, è mezzogiorno passato, abbiamo impiegato quattro ore e mezza abbondanti per fare 700 metri di dislivello, roba da dilettanti ci diciamo ridendo. Sotto la tettoia del rifugio i due alpinisti con gli sci ci accolgono sorridendo, si parla della salita, asseriscono che siamo veramente matti e si complimentano per la nostra resistenza, testardaggine e bravura. Mangiamo qualche cosa, siamo molto eccitati dalla salita, certo che l’Albiolo è da scordare per l’ennesima volta; Giovanni asserisce che avendo ancora una quindicina di ore di luce potremmo sicuramente raggiungerne la vetta ma rinunciamo felici ed appagati. Salutiamo i due uomini e riprendiamo la nostra traccia scendendo; altre risate guardandola, pare il corso di un torrente in piena tanto è grande e non c’è nessuna difficoltà a seguirla, ampia, netta e solitaria lungo i pendii che scendono a valle. Veloce il rientro, seguiti dai due scialpinisti che faticano un poco sulle discese più basse disseminate di rocce; attorno i monti innevati ed in basso la vallata con le case rustiche, un cielo azzurro e limpido segnato da grosse nuvole ed una luce intrigante che rende tutto simile ad un sogno. La neve alta ci lascia improvvisa come quando è comparsa, resta il ripido pendio traditore fitto di buchi invisibili e di bassi cespugli di mugo e ginepro che rotola fino ai campi recintati del fondo valle. Arriviamo all’auto ancora ridendo dopo aver, per l’ennesima volta, fotografato le incredibili abitazioni di Case di Viso, curioso luogo fuori dal tempo, ed ammirando i due strani ed artistici “sassi” a guisa di monumenti che si trovano tra le abitazioni. Preparandoci per la partenza ancora commentiamo la salita appena conclusa; abbiamo stabilito un record nella famiglia del GAL, 700 metri i dislivello in quasi cinque ore! Che si possa fare di meglio?
Marina Livella
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