Pizzo Coca 2 giugno 2007 Ho sempre amato la montagna, ma da quando ho incontrato gli amici del GAL ho imparato ad apprezzarla ancora di più. Quando mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su una delle nostre uscite, non sapevo da dove iniziare e quale raccontare, un po’ perché era troppo difficile sceglierne una ( tutte belle!), un po’ perché la fatica fatta aveva cancellato dalla mia memoria alcuni particolari, impedendomi di ricordarli. Alla fine la scelta è caduta (forse per affinità col nome del mio maritino) sul Pizzo “Coc(c)a.” Avevamo già fatto una prima uscita con il GAL e aspettavamo trepidanti che ci dessero il “nulla osta” per partecipare alla gita successiva. Finalmente arriva l’occasione e ci informano che sabato e domenica si va sul Pizzo Coca, nome che non ci dice nulla, ma siamo sicuri che se è stato scelto di certo ci riserverà qualche bella emozione. Purtroppo il sabato, giorno della gita, il tempo è brutto, nuvoloni bassi non fanno presagire nulla di buono e si opta per partire presto la domenica mattina. L’idea che un percorso di due giorni sia condensato in uno (tenendo conto del ritmo veloce del “passo GAL”) un po’ ci lascia perplessi, ma la voglia di andare è tantissima. Finalmente la mattina, dopo alcuni brevissimi preparativi, si parte! Mentre saliamo la vista del rifugio (prima tappa) ci pare un miraggio lontano; io sono già stanchissima e penso che forse non è giornata ma…. per fortuna, oltre al sostegno del mio maritino, arrivano a darmi la carica il super sorriso di Marina e i preziosi consigli di Giovanni che mi svela un segreto sull’utilizzo dei bastoncini! Finalmente arriviamo al sospirato rifugio, dove già gli altri ci aspettano per ripartire il più in fretta possibile; adesso non sono più così stanca e la voglia di vedere dove siamo diretti mi dà la spinta giusta. Partiti per il secondo tratto della nostra salita, osserviamo con grande interesse il paesaggio che si apre intorno a noi e diventa sempre più affascinante, mentre la fatica è mitigata dalle chiacchiere e dalle battute scherzose di Marco e Stefano. Penso alla nostra comitiva ed ai suoi componenti, ognuno con un proprio ruolo distinto, unico e indispensabile, che ha permesso che questo fosse veramente un grande gruppo; ritengo di essere proprio fortunata ad averli incontrati. Man mano che saliamo il cielo si riempie nuovamente di nuvoloni, ma non sembrano preoccupare nessuno (tranne me che tengo volentieri nascosta la mia preoccupazione)! Ad un certo punto ecco la tanto amata e sospirata neve sotto i nostri piedi; tutto è bianco intorno a noi, ma continuiamo a salire! Io, procedendo staccata dagli altri (avevo già formato il gruppo “C” quello degli scarsi), incontro alcuni alpinisti bergamaschi che mi consigliano di tornare indietro. Logicamente continuo visto che i miei compagni sono davanti che mi aspettano e, quando li raggiungo, racconto il consiglio datomi che fa sorridere tutti e accende “ l’orgoglio” bresciano! Finalmente arriviamo al terzo tratto della nostra ascesa, quello più impegnativo, ma anche più divertente: è il momento di Davide e Sergio che scelgono la strada migliore e si alternano a tracciare il percorso, mentre Giovanni, come un fido angelo custode, mi resta sempre vicino rendendo sicuro ogni mio passo e facendo sì che io mi possa godere appieno la salita, senza correre pericoli. Tra roccette e canalini innevati arriviamo finalmente alla vetta, è una grandissima gioia! M’è sempre piaciuto tantissimo questo aspetto della montagna: se vuoi arrivare in cima devi faticare, maggiore è la fatica, maggiore è la gioia, mi fa sentire profondamente viva. Lasciato il tempo per le congratulazioni e per ammirare il paesaggio, è ora che la poesia lasci il posto alla concretezza, perchè i nuvoloni diventano più densi; la discesa è ancora lunga, in fondo siamo solo a metà strada…e il divertimento deve ancora arrivare. Quelle che in salita possono essere delle arrampicate non troppo impegnative in discesa diventavano talvolta degli ostacoli pericolosi, per cui con grande diletto, Sergio, chiodi alla mano, costruisce una super sosta su cui ci possiamo assicurare. La discesa è veramente stancante, ma quando arriviamo alle auto, guardo in lontananza la strada percorsa e mi rallegro per le meravigliose sensazioni provate poco prima. Me ne torno a casa esausta, soddisfatta e veramente grata a chi ha condiviso con me questa splendida domenica rendendola così speciale.Sara Bugatti Itinerario nuovo, gruppo Orobico, per la precisione Pizzo Coca, monte che da tempo l’amico Sergio decantava come vetta ostica ma di soddisfazione. Alle cinque di mattina della domenica ci si trova, siamo in dieci, pieni di aspettative e un poco assonnati; si fila verso le valli bergamasche ed alle 7 e 30 siamo al paese di Valbondione a 900 metri di quota. Dopo esserci attrezzati si parte, gita esplorativa si dice tra noi, ci sentiamo dei “Colombo in erba” alla scoperta del nuovo mondo. La giornata inizia con un sole che pare sicuro di se, ma nuvole bizzarre girano per il cielo e non paiono tranquille, il meteo sappiamo che dà tempo incerto, tutto questo non è però un grande cruccio visto che sono chiacchiere e risate che ci accompagnano su per il sentiero tracciato in mezzo a boschi ombrosi. Si sale velocemente, la via è ripida il fiato diventa subito pesante e le chiacchiere sporadiche, tantopiù che il passo del GAL è come sempre rapido e tenergli dietro non è semplice per gran parte del gruppo. Tra il verde scintillante del bosco si prosegue sul lato della valle finché si sbuca, tra la meraviglia generale, di fronte ad una cascata che strapiomba nella valle sottostante con un rombo. La ammiriamo anche proseguendo nella salita e ci accompagna scintillante tra il cupo delle rocce che si intravedono sotto all’acqua ed il verde attorno mentre puntiamo la sella in alto. Fa caldo, il cielo è azzurro, nuvole candide si rincorrono nel cielo, in alto vediamo monti rocciosi che speriamo di raggiungere; l’acqua è l’elemento predominante della giornata, dopo la prima stupenda cascata, molte altre si susseguono fino ad arrivare ad un ponticello che traversa un ennesimo torrente che scende fragoroso tra le rocce dall’alto e pare nasca dall’azzurro del cielo. Ci fermiamo nel mezzo del ponte e ridendo assaporiamo le sensazioni provocate dalle goccioline che ci piovono addosso, piccola pausa che rinfranca e ci permette di fotografare il panorama. Si prosegue, la meta è il rifugio Coca a 1900 metri di altitudine e ci arriviamo alle 9 e 45 dopo aver incontrato molti escursionisti che andavano, come noi, verso il rifugio. Troviamo un bell’edificio in pietra con le ante di un vivace rosso vivo appollaiato sulle rocce chiare frammezzate da cespugli verdi e rigogliosi; il piazzale è colorato da altre persone oltre a noi e scambiamo qualche risata guardando in alto i monti che ci sovrastano. Siamo veramente entusiasti di quanto vediamo: le vette più basse e vicine sono roccia nuda mentre quelle lontane sono coperte di neve. E’ lassù che proviamo ad andare mi dice Giovanni indicando lontano, ma io non ci credo. Già, per una volta tanto non ci credo o forse non ci voglio credere poiché il dislivello massimo in programma è troppo, 2150 metri, una enormità per le mie gambe e sono certa di non farcela. Si riparte tra erba verdeggiante e ruscelli di acqua chiara ed argentina, la prossima tappa è l’attacco per la Bocchetta dei Camosci. Proseguendo il cammino vediamo uno splendido esemplare di stambecco che rende onore al passo che stiamo raggiungendo, sta immobile su delle rocce e ci guarda senza timore quasi curioso di vedere quali sarebbero state le nostre mosse; abbiamo appena lasciato un laghetto di forma triangolare che dall’alto prende colori inaspettati che vanno dal blu al verde smeraldo e riflettono l’azzurro del cielo ed il bianco dei monti innevati che si stagliano dal maestoso arco della fine valle. Noto un canale che punta dritto al Passo Coca, abbastanza largo e innevato, lo indico ai ragazzi, ridono, “troppo facile” mi apostrofano, io scuoto la testa a proseguo la via sbuffando per la fatica. A mezzogiorno siamo alla Bocchetta, abbiamo sperimentato alcune roccette semplici dopo un ghiaione; attorno poche strisce di neve che segnano il grigio dei pendii di massi ghiaiosi, le vette ora sono molto coperte e paiono minacciose, fa freddo ma si avanza comunque attenti a non calpestare la grande quantità di fiori che si notano sui prati. La primavera a quelle altezze è festeggiata da uno stupendo fiorire di colori, giallo, blu, bianco, rosso, azzurro, timidi boccioli di ogni genere che sfidano il freddo e la neve, coprono i pendii e si raggruppano in insiemi che paiono bouquet di nozze tra spuntoni di rocce aguzze e ciuffi di erba. Mai grandi fiori, già, i fiori di montagna sono piccoli ma resistenti, sono come i montanari, devono sopravvivere all’altitudine e per farlo devono essere quasi invisibili, le vette non amano avere concorrenti, tantomeno avversari, è quindi necessario essere discreti e non dare fastidio per essere accettati dalle grandi signore. Alle nostre spalle lunghi pendii di boschi fitti verde scuro e sopra alti monti innevati che vorremmo scalare al più presto, passiamo un lungo traverso calcando le tracce di Stefano e Sergio che si intercalano, incontriamo ragazzi ben attrezzati che tornano sui loro passi, sono socievoli, cogliamo i loro consigli, “meglio tornare indietro che la neve è brutta ed il percorso disagevole”, si vedrà pensiamo tra noi. Passiamo un lunghissimo traverso innevato, il tempo pare peggiorare e nubi basse oscurano la sella che stiamo raggiungendo; le ultime persone che avevano tentato la vetta tornano indietro e sono pure gli ultimi consigli che ci spingono a tornare sui nostri passi. Il traverso si alza repentino, ora una bella parete un poco ripida e siamo arrivati, vedo i miei compagni in alto, è un incentivo a sveltire il passo, mi ingegno a far traccia e Giovanni ne è felice, ora non sento la fatica nonostante sia molto che si cammina, pure io li raggiungo e come premio ho sorrisi e abbracci. Fortunatamente nessuno ha preso per oro colato quanto ci è stato detto, ed il tempo ci darà ragione, la voglia di vette è un motore che non si spegne mai, siamo finalmente alla sella, è stupendo, ci rilassiamo un poco e ci facciamo quattro risate che senza di quelle non si può proseguire; i ragazzi si guardano attorno, di fianco si alza un bel canalino di rocce e neve, contiene le tracce fresche di chi ha tentato la salita poco prima di noi; si decide di provare, Sergio parte per primo e fa da esploratore, non potremmo averne uno migliore, e poi tutti gli altri con Giovanni che, premuroso, controlla la dolce Sara. Sono rocce abbastanza facili, non serve assicurazione, saliamo e dopo il primo tratto un poco ripido troviamo una piccola spianatina ed altre belle rocce immerse in poca neve che le rende veramente molto divertenti. Arriviamo ad un bivio, Sergio prende un traverso roccioso a destra, dopo un breve consulto con Davide la decisione, è troppo difficile, meglio tornare indietro di un poco e passare a sinistra; Giovanni asserisce che c’è un breve canale innevato ed una via più semplice, non vale la pena rischiare, siamo tanti ed il tempo rimasto non è molto. Quindi su, la via non è particolarmente difficile, anzi, pure Sara ed io ci divertiamo molto a sperimentare passaggi di grado basso che la neve rende delicati e tecnicamente abbastanza complicati. Una paretina, ad esempio, di una quindicina di metri, bella verticale ma molto appigliata che spezza la monotonia della neve. Improvvisamente le tracce che seguivamo, con nostra somma gioia, scompaiono, Sergio, il nostro bulldozer dei monti avanza quindi a vista e segna il percorso ottimamente, piccole cengie, ancora paretine divertenti e saltini rocciosi che rendono utile avere con noi picca e ramponi e poi le rocce finali, Sergio cede il passo a Davide prima della vetta, io sono sotto di poco, aiutata dall’amico Marco che, come sempre, ha i consigli giusti e tutti gli altri dietro formando una specie di serpente colorato. Arriviamo alla cima, intonsa di tracce come piace a noi, qualche foto abbarbicati ad una croce costituita da quattro semplici barre metalliche ed immersi nella nebbia più totale; fa molto freddo e ci copriamo di corsa. Siamo molto eccitati dalla nostra impresa, ci abbracciamo ed i complimenti si sprecano, tutti i consigli negativi che abbiamo ricevuto ed un tempo non dei migliori hanno dato frutti inaspettati, la determinazione l’ha avuta vinta, è proprio vero che il nostro alpinismo è fatto di ben altra pasta. Sono le due del pomeriggio, abbiamo raggiunto i 3050 metri di altitudine nonostante fosse l’ultimo dei nostri pensieri e con un tempo di salita da record, 6 ore e 20 minuti, se si tiene conto del fatto che fosse un monte nuovo e che c’erano due femmine nel gruppo. Le nubi si rompono, in basso le valli sottostanti terribilmente lontane, il paese sul fondo e poi i laghi di un incredibile colore verde e blu incuneati tra i monti a strapiombo. Ci guardiamo e non crediamo veramente di essere li, molte risate ma con un fondo di scetticismo divertito, pare un sogno. Si deve scendere di corsa, il freddo ed il tempo sono tiranni, si torna sulla cresta, non sarà facile il rientro, si segue un breve canale e poi, rapidamente, ci si ritrova al primo salto di roccia un poco difficile; i ragazzi organizzano una corda fissa, Sergio agguanta due chiodi ed una corda presi in prestito da Giovanni e ci cala agevolmente, forse non era necessario avere un aiuto, ma la corda in una mano fa in modo che si possa godere dei passaggi che la roccia regala provandoli in piena libertà di movimenti; pure io mi sento brava e mi diverto sotto l’occhio attento di Davide che mi precede. Ora le nubi sono svanite, sotto di noi i pendii nevosi traversati da rocce che paiono vene scure e contorte, dopo un’altra calata con la corda prendiamo per la sella e la raggiungiamo agevolmente, altre strette di mano e mille risate nonostante la stanchezza cominci a farsi sentire, ora ci aspetta la parete già percorsa e tutto il lungo traverso, poche chiacchiere che la discesa è infinita e il tempo poco. Già alla base della sella vediamo la nebbia riappropriarsi di tutto il monte, non ci permetterà più di rivedere il percorso compiuto; non importa, a noi basta sapere che per qualche istante la cima di Pizzo Coca è stata esclusivamente nostra. Ritroviamo i fiori e le rocce ed il lago verde/blu mentre la nebbia ci segue passo passo e poi il grande rifugio arroccato ed ora chiuso. Stefano che per un guaio muscolare non ci ha seguito in vetta sicuramente è già alle auto, andiamo svelti, passiamo i boschi verdeggianti e le cascate di acqua limpida e ruggente. Sono le sette e trenta di sera, grande applauso all’arrivo mio e dei sorridenti Sara ed Andrea, nuovi grandi amici del GAL, sicuramente abbiamo dato il meglio di noi stessi in questa salita. Ci cambiamo nella stanchezza collettiva, ci si ferma per una pizza veramente meritata e poi via a casa che c’è bisogno di riposo. Grande giornata per grandi persone, Andrea, Davide, Davide Jr., Francesco, Giovanni, Marco, Sergio, Stefano e noi femmine, la dolce Sara ed io. E se ad alcuni dei ragazzi che il 3 giugno 2007 ci hanno incontrato lungo il percorso per Pizzo Coca capita di leggere tutto questo, sappiano che la vetta era proprio a portata di mano, splendida e facile, veramente una meraviglia!
Marina Livella
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