IL CASTELLO DELLE STREGHE

Pizzo Camino    25 febbraio  2007    

Domenica incerta, il meteo è inclemente ed il gruppo sparuto, colpa per di più del blocco delle auto che tiene fermi tutti.

Ovviamente non noi, Davide, Giovanni, io e Davide Jr., giovane avvicinatosi da poco al GAL. Si parte alle 6, ed alle 7 e 30 si arriva ad un piccolo paese sopra Borno, ci si attrezza e via per una meta chiamata Pizzo Camino.

Certo, i miei compagni non sono per nulla sicuri di arrivarci dato il tempo, ma il nostro spirito d’avventura fa in modo di farci tentare comunque.

Il tempo è pessimo, ci avviamo verso la strada che porta al Lago di Lova sotto ad un cielo cupo che non promette buono, qualche fotografia ad uno scorcio del lago e su addentrandoci nel bosco che sale verso il rifugio Laeng.

Salita un poco faticosa che ci fa ritrovare immersi nella neve alta e nella nebbia assoluta, l’orizzonte è un’immenso grigio e bianco con minuscoli angoli verdi di abeti temerari che non si capisce come mai siano lì, cresciuti su fili di creste rocciose.

Si affonda molto nella neve alta ed ingannevole, Davide Jr. privo di ghette sicuramente soffre l’umidità della neve negli scarponi e per noi è un cruccio ma la sua evidente felicità ci fa piacere.

Si cammina fino al rifugio, Davide avanti come avanscoperta ci porta alla bella costruzione bassa ed allegra con le ante rosso fuoco. Piccolo attimo di riposo, fuori le cartine e via con il coordinamento dei sentieri e dei ricordi un poco lontani dei due Davide che già hanno provato questo percorso.

Tutto a posto, la meta è fissata, si riparte per il vallone che si vede sotto al rifugio, certo la previsione di neve a metà giornata preoccupa ma basta tenere a mente il percorso d’andata dicono ed il rientro è assicurato.

Si passa la lunga valle e ci si alza su per il pendio immersi nella nebbia più fitta. Molte soste chiedendoci quale sia la via percorribile, nulla è sicuro, solo l’intuito dei miei impareggiabili amici che si consultano e poi, visto che ho chiesto di fare traccia, mi indicano una via precisa che costeggia gli alti roccioni  a destra e punta nella nebbia più assoluta.

Io vado, intravedo talvolta le alte rocce di fronte a me ma mi paiono fantasmi, per Davide e Giovanni sono vere coordinate e mi fanno deviare a destra; dopo un bel traverso ci troviamo alla base di un canale. Che sia quello giusto e sopratutto se  sia fattibile non è sicuro, esplorazione, il nocciolo della nostra gita si è finalmente rivelato, e ora siamo veramente al massimo.

E’ il canale sulla parete ovest che sicuramente sbuca sulla cresta, questo pare dalle cartine in nostro possesso, il tempo peggiora ma stiamo bene ed il nostro desiderio è vedere cosa c’è dopo nonostante si sia immersi in una nebbia lanuginosa ed ovattata che mi fa, talvolta, perdere l’equilibrio e non capire più dove sono. Giovanni mi spiega che il candore della neve privo di riferimenti confonde l’ottica e fa perdere di stabilità, buffa sensazione che ubriaca.

Il cielo è totalmente coperto, siamo avvolti da una nebbia che non ci fa vedere nulla, si scorge l’imbocco del canale, cedo il passo a Davide, ora la faccenda si fa difficile e la pendenza non è delle più leggere; si sale testardi, non c’è tempo per pensare né per parlare, la testa è china verso la neve e gli occhi sono fissi verso la picca ed il passo successivo, tutto il resto è dimenticato ed inutile. Questi sono gli attimi di oblio che, per tutto il tempo che si consuma tra un’esperienza in montagna e l’altra, mancano e sono desiderati.

Certo, si vive ugualmente, cercando di non scontrarsi con il resto del mondo perché la montagna qualche cosa di buono ti ha insegnato, ma l’anima ed il cuore sono là con i monti, le altezze e la roccia e sono il sogno intimo che vive continuamente dentro di noi.

Bel canale, il Pizzo Camino è sopra di noi, sovrastante e roccioso, continuiamo la salita, il percorso non è fluido, zig-zag continui che rendono il cammino divertente e sempre diverso. Un piccolo gruppo di rocce, si prosegue e poi, continuamente la domanda: “si passa o no?”, ogni angolo è una sorpresa e Davide e Giovanni, a turno davanti, decidono se proseguire è possibile.

Improvvisamente si scorge tra il grigio una piccola sella, non pare reale, dopo una grande quantità di sbattere di palpebre è ancora li, è vera, è la fine del canale. C’è un ennesimo bivio, Davide sale deciso verso sinistra dove si scorgono delle rocce che servono da finale al canale e sono molto allettanti. Giovanni si ferma ed anche noi dietro, chiede come è e non pare facile, Davide è indeciso, una picca non è sufficiente per superare quell’ostacolo ed il mio cuore trema. Pare che ci ripensi ma poi con un’ultimo sforzo è sopra a quel tratto di misto ghiacciato. Ci grida di prendere l’altro lato del canale sicuramente più facile e noi, dopo una piccola discesa per aggirare le rocce che salgono fin sulla cresta, risaliamo l’ultimo tratto di canale ghiacciato e ripido ed arriviamo in cima guidati dal piglio deciso del sorridente Davide Jr.

Ci troviamo in tre abbarbicati su di un minuscolo terrazzino che strapiomba verso il lato est,          guardiamo l’orologio, sono le 12 e 30, e siamo a pochi passi dalla cima del Pizzo Camino, a circa 2400 metri di altitudine. Spazzati da un forte vento gelido pensiamo a Davide piazzato a pochi metri da noi e non sicuro della sua discesa.

Una volta sistemati Giovanni prende un traverso che strapiomba sul canale e raggiunge il punto dove è Davide, altri momenti di ansia ma la sua discesa si rivela più semplice del previsto, dopo averli osservati ripercorrere il traverso siamo nuovamente riuniti. Un bel sospiro di sollievo ed uno sguardo al panorama che offre una visuale molto ristretta di rocce e neve immerse nella nebbia più fitta.

E’ il vento che ci fa decidere di tornare sui nostri passi velocemente; si avvia Davide ed io lo seguo. Dopo i primi metri percorsi sul ghiaccio duro si ferma. Un problema, gli si è sganciato un rampone, non proprio il posto adatto per questo ci diciamo. Forma uno spiazzo grande come un toast con la piccozza ed osserva il rampone. Non un problema da nulla, al rampone si è rotta la fettuccia della punta, sicuramente non riparabile, momenti di ansia forte da parte mia ma l’esperienza ha un grosso peso in questi frangenti. Pensa un momento ed ecco l’idea, prende un moschettone ed aggancia i due anelli terminali, fatto dice, ridiamo sollevati, ora si può proseguire.

Si riprende la gimcana nel canale, talvolta la nebbia si dirada appena e si scorgono fantasmi di alti picchi rocciosi che scompaiono quasi subito, bella l’immagine di un vortice di neve farinosa che scende leggera dall’alto delle rocce e si posa ovunque portata dal vento forte.

Immagini da leggenda in cui eravamo immersi e parevamo corpi estranei non autorizzati ad assistere a come la natura selvaggia di quei posti sa esprimersi.

Nuovamente il lungo traverso e poi il vallone che, al ritorno sembra più semplice, si rivedono gli abeti sparuti e sparsi, la visuale ora è buona e si avvista il rifugio Laeng già da lontano. Il timore del ritorno si è rivelato inutile ma è stato meglio non cercare di raggiungere la vetta con il tempo inclemente che la cresta ci aveva fatto trovare.

Al rifugio sosta per del cibo, i ragazzi erano veramente affamati ed abbiamo avuto modo di vedere il bivacco, comodo, pulito e ben sistemato. Quattro chiacchiere commentando la fortunosa quanto ottimale riparazione del rampone di Davide, poi, sistemata l’attrezzatura ora inutile si parte per la via del ritorno rimpiangendo la cresta selvaggia che abbiamo appena lasciato.

Da non molto si è lasciato il rifugio, che la neve comincia a scendere progressivamente sempre più fitta; non ci lascerà più fino all’auto, solo che nel frattempo si sarà trasformata in una pioggerella sottile e fastidiosa.

Camminando raggiungiamo il bosco di abeti alti e rivediamo lo spettacolo, già scorto al mattino, di un mare di stelle di natale bianche e rosa con petali grandissimi che coprono i pendii tra le piante. Mai ci è capitato di trovare una fioritura così abbondante di questi fiori che comunemente sono proprio scarsi e poco facili da vedere.

Ora la neve sui prati è quasi inesistente, piccola deviazione sotto la pioggia fino al Lago di Lova, è grigio come il cielo ma una visione così dolce e spirituale, dopo tanta fatica fisica, fa bene al cuore. Ci fermiamo vicino alla riva, perdendo lo sguardo tra l’acqua, i monti ed il cielo ed il sorriso viene spontaneo. Stiamo bene, proseguiamo il cammino, siamo nuovamente sulla strada di cemento dell’avvio, tra chiacchiere e risate si raggiunge l’auto, uno spuntino e poi a casa.

L’ennesima esperienza è finita, ci ha fatto ritrovare, come sempre, più vicini alla natura ed alla nostra anima che, sempre più frequentemente mi sorprendo a pensare siano una cosa sola. Marina Livella

Storia di un incontro

La mattina di domenica 25 febbraio il freddo è intenso ma l’animo è caldo. Il gruppo del GAL, oggi composto da Davide, Marina e Giovanni mi aspetta, al primo appuntamento non si arriva in ritardo; accendo il bolide e parto.

E’ la mia prima invernale e soprattutto la mia prima con il GAL. Le nuvole oscurano il cielo, cosa faremo, andremo al Pizzo Camino come ideato dai miei compagni di viaggio? Dimenticavo: è anche il mio primo canale…”evitare i canali”… suonano nella mia mente le parole imparate al corso di sci alpinismo…e l’adrenalina sale sempre più.

Partiamo, poco dopo siamo a Borno e iniziamo il cammino verso il rifugio Laeng percorrendo una comoda mulattiera. Giovanni ha sempre la telecamera accesa ed è presto utilizzata, irriverenti al calendario rose di natale coprono a grandi macchie il sottobosco che si trasforma in un giardino d’alta quota, lo spettacolo è inaspettato e prontamente immortalato!! Di gran passo i tre si avviano al limitare del bosco e dietro un ragazzino che annaspa e si domanda come facciano quei vecchietti a essere così spediti; si scoprirà che ogni fine settimana visitano le più belle e solitarie montagne delle alpi e prealpi.

Gli alberi lasciano strada ai prati coperti dalle ultime nevicate: dietro di noi il lago di Lova e davanti il bianco della neve e della nebbia così bassa e fitta da impedirci la vista della nostra meta. Non ci fermiamo e  su “comodo” sentiero coperto da un manto nevoso sempre crescente, giungiamo al Rifugio Laeng. Nella conca del rifugio la neve si è accumulata e volendo si può camminare sui tavoli ma da educati alpinisti passiamo vicino e ci limitiamo a dare un’occhiata al locale invernale: dignitosa dimora per alpinisti affaticati.

La nebbia continua a velare la montagna e tra uno spuntino e l’altro cerchiamo di capire come imboccare il canale giusto. Volendo essere sinceri un problema maggiore turba la truppa d’assalto: dov’è il Pizzo Camino? A destra, diritti o a sinistra? Aiutati dalla memoria di una mia salita estiva e dalle immagini del canale impresse nella mente di Davide decidiamo di salire e puntare verso sinistra: lì dovrebbe esserci il colatoio del canale che solca la parete Sud-Est.

Ci lasciamo gli ultimi alberi alle spalle, sorpassiamo quota 2000 e un lungo immacolato pendio nevoso ci si para davanti agli occhi. La neve è alta, arriva sopra le ginocchia e si fa tanta fatica: bianco a destra a sinistra sopra e sotto, al centro quattro coraggiosi alpinisti alla ricerca del loro canale. Davide e Giovanni si alternano a fare traccia, a ruota Marina e un affaticato Davide Junior. L’intuizione è giusta. Arriviamo all’agognato colatoio e Marina si trasforma da inseguitrice a fuggiasca: è la nuova tracciatrice. Con i ramponi ai piedi sembra rinata e come sottolinea Giovanni “Oggi la Marina è in palla!!”.

Breve pausa e via verso l’inizio di un’avventura che in realtà già ci aveva rapiti da tempo. La pendenza del colatoio non è eccessiva e procediamo a zig zag verso l’attacco che raggiungiamo in breve. Ops, due canali con lo stesso colatoio: a sinistra un canale con tratti di misto decisamente impegnativi, a destra un canale “normale”. Mi agito e solo le parole di Giovanni riescono a tranquillizzarmi: “Andiamo a destra!”.

La pendenza ci obbliga a salire frontali, la neve si indurisce e dallo zaino estraiamo la preziosa picozza. I miei primi passi sono indecisi, Davide mi da consigli su come progredire e da buon Davide Junior obbedisco e mi diverto. Prendo confidenza con il terreno per me nuovo e ne scopro la bellezza: roccie innevate a destra e a sinistra, in mezzo una lingua di neve e intorno l’ormai amica nebbia. Da vera amica mi impedisce di vedere il vuoto che lascio dietro di me e mi permette di concentrarmi sui movimenti e sulle sensazioni.

Il canale è stretto e corre veloce verso la cima alternando ripide balze a tratti rilassanti. Mi innamoro delle ripide balze. Quando il canale sembra occluso dalla roccia insperati bivi si presentano davanti a noi: il canale continua e l’entusiasmo cresce, dai che arriviamo su, dai che sbuchiamo sulla cima, dai, dai!!! Venti metri sopra di noi c’è la fine del canale, poi è impossibile proseguire; fortunatamente non c’è una roccia a sbarrare la strada ma la discesa sul versante opposto. Davide è in forma smagliante e si esibisce in un’uscita con passaggio tecnico di misto: oggi lo stambecco dominante è lui!! Giovanni e Marina mi aspettano e io li raggiungo ansimante, con la tosse da alta quota, gli scarponi pieni di neve, i polpacci ormai esplosi e un gran sorriso sul viso: “Proprio un vero alpinista!” mi sussurra Giovanni ridacchiando.

Ormai ho preso confidenza con la neve e Giovanni mi propone di fare traccia sulla nostra uscita, convinto e sicuro affronto l’ultimo tratto che risulta anche il più ripido dell’intera salita e sbuco sulla cresta dove l’amica nebbia mi avvolge nuovamente.

Ci ritroviamo tutti e quattro in meno di un metro quadrato a festeggiare la salita, la vetta è da qualche parte intorno a noi ma incredibilmente non ci interessa, siamo contenti così. E’ mezzogiorno, dal canale bisogna anche scendere e come gamberi ripercorriamo i nostri passi con la neve che turbina ovunque sollevata dal vento.

Una copiosa nevicata ci accompagna verso il lago di Lova e incornicia questa bella giornata di esplorazione e avventura vissuta con i nuovi compagni del GAL.

                                      Davide Belleri