IL CASTELLO DELLE STREGHE

Passo Salarno               14 gennaio 2007            

Piccola falange del GAL quella che ha partecipato all’avventura di domenica. Gli altri, preoccupati che la giornata fosse piovosa, hanno pensato di dare una sistemata alla bella falesia delle Scale, mentre io sempre alla ricerca di montagne e mai paga da questo, ho acconsentito al programma di Giovanni.

            Ritrovo alle 5 e trenta quindi, meta valle di Saviore ed un percorso duro, Passo Salarno, la motivazione è vedere un canale che interessava scalare a Davide e Giovanni, scusa abbastanza buona per una salita di tutto rispetto.

            Dopo aver assistito, durante il viaggio, alle peripezie stradali di una povera lepre confusa arriviamo al parcheggio. Partenza alle 7 e trenta, il tempo è buono, il cielo buio è colmo di stelle e, camminando, assistiamo al nascere di un’alba luminosa che presagisce ad una giornata soleggiata e calda come quest’inverno assolutamente anomalo ci ha abituato a vedere.

            L’inizio è terribile, il sentiero è ghiacciato e rende il passo insicuro, io non mi perdo l’occasione per una caduta, con conseguente indolenzimento che mi porto appresso per un bel po’ di tempo ma ci vuol altro per fermarmi.

Passiamo un ponte e Giovanni mi fa notare una piccola cascatella ghiacciata, formata da un fiumiciattolo limpido, che somiglia alle spaventose fauci spalancate di uno squalo con accanto un enorme medusa, peccato non averla fotografata.

            La vallata dopo il bosco è lunghissima, sul lato sud completamente spoglia di neve, mentre a nord solo spruzzata di bianco, si cammina, Oliver, cane alpinista per eccellenza è allegro, incontriamo due uomini del soccorso alpino che lui annusa con cura. Scambiamo quattro parole, sento già la fatica e mi preoccupo ma non ci penso poi tanto.

            Si passa il primo vallone, la diga con le sue case e poi la malga. Il sole si sta alzando ed alle nostre spalle la Concarena ??? è brillante come pure i monti che ci aspettano sul lato opposto.

            Le ultime ombre si dissolvono, le ossa nude dei monti sono ora in vista ed io formulo la domanda a cui pensavo da un poco, “quale è la nostra meta?”. La risposta è pesante, “la vedi la cima più lontana, bene dopo quella c’è passo Salarno”.

            Certo, ora che sono alla tastiera a raccontare sorrido, ma in quel momento ho pensato che non ci sarei arrivata assolutamente, mi pareva pazzesco ma, come sempre, ho fatto una risata ed ho taciuto, si vedrà ho pensato camminando. Si arriva al rifugio Prudenzini, i miei scarponi nuovi pare vadano bene, bel rodaggio penso.

Si scorge già il prossimo vallone da attraversare, forse anche più lungo del primo, ora la neve è abbastanza alta e troppo soffice per rendere il percorso facile, la crosta dura infatti pare sicura ma è ingannevole e si affonda quasi sempre tra le rocce, si cerca di tenere il sentiero, ma  ogni piccola deviazione rende il cammino faticoso.

Non fa freddo ed il cielo azzurro promette una giornata di sole caldissimo, la cerchia dei monti di fronte a noi è uno spettacolo e ci invita a continuare la salita. Giovanni è clemente, vede la mia fatica e mi aspetta, allunga le soste e mi invita a riposare.

Qualche battuta tra di noi ma il tempo trascorre con pochi pensieri  e pochissime parole.  Molta attenzione a quanto si fa, che per Giovanni non è semplice una salita di questo genere in compagnia con una inesperta come me, ed io quindi cerco di mettercela tutta per non sbagliare nulla; non deve succedere niente che possa mettere a repentaglio la buona riuscita di questa avventura.

Si passano pure i ruderi del vecchio rifugio, il mondo è dipinto di azzurro e bianco, le piccole geometrie delle rocce che spuntano dalla neve ci guardano camminare, i monti si avvicinano sempre di più e si stringono assottigliando la valle in cui ci troviamo.

La stanchezza mi opprime molto ed i miei pensieri, guardando avanti, non sono positivi,  penso proprio non di farcela, ma cammino.

Il granito delle montagne è fantastico, lastre e lastre lisce come il cristallo incollate una sopra l’altra come per un gioco bizzarro, colorate di grigi e marroni con tratteggi di nero che paiono dipinti di Matisse a formare picchi che si ergono verso il cielo blu e fanno venire voglia di arrampicarcisi, canali stupendi ma privi di neve, compreso quello che desideravano scalare Davide e Giovanni, peccato ma la neve è molto più in alto.

Fa caldo, si rimane il maglietta, ci si spalma di crema solare e si prosegue, il passo ora è a vista, si scorge perfino il puntino giallo del bivacco Giannantoni ed è una consolazione ma, nonostante questo, pare di non arrivare più alla linea che il sole traccia e separa noi dalla vera salita. Mancano ancora mille metri di dislivello per arrivare al 3210 della cresta.

Vediamo due persone che fanno la nostra stessa via, le scorgiamo lontane, con loro c’è  anche un cane, grosso disappunto, non amiamo la montagna in compagnia di estranei, pazienza.

Ora c’è la salita, repentina ed innevata, le tracce che deve affrontare Giovanni sono pesanti, la neve è alta, crostosa e difficile, la mia stanchezza mi impedisce di dargli una mano e mi sento impotente.    

Salendo dritti verso il passo vediamo canali che si arrampicano verso l’alto e paiono li solo per noi, ma c’è Oliver e certe cose con lui non si possono fare, sarà per la prossima volta, scattiamo foto per mostrarle al gruppo.

Si percorre un bel canale non molto stretto e ripido ma che soddisfa la nostra inesauribile voglia di neve e roccia, si prosegue, ora mi sento meglio, riesco persino a tenere dietro a Giovanni forse anche perché pure lui è affaticato dal lavoro di traccia.

Piccola spianata, Giovanni aggiusta il tiro verso la cresta che a me appare ancora terribilmente distante, ci tocca un traverso per raggiungere la base di una valletta che ci avvicina ad un altro canale dritto sotto la nostra meta.

Sentiamo un ringhio, ci giriamo ed è spavento, il cane delle persone che ci seguivano ha raggiunto Oliver e lo ha attaccato, grido, vedo Oliver che soccombe all’altro, Giovanni si precipita e li separa. Oliver scappa, dopo un poco riusciamo ad avvicinarlo, zoppica ma non ha grossi danni, cerchiamo di coccolarlo un poco, abbiamo il cuore stretto dall’apprensione.

Una sosta e quando siamo certi che non è successo nulla di grave si riparte. Quando vediamo Oliver scivolare sulla neve e rotolarsi felice ridiamo, ora siamo certi che veramente è tutto a posto e scattiamo qualche fotografia per immortalare il cane più bello del mondo.

Attacchiamo finalmente gli ultimi metri che potano alla cresta, qualche variantina sulle rocce, Giovanni mi spinge a salire per prima, ci sto ovviamente, probabilmente sono più dura di quello che pensi. Un altro passaggio difficile su misto e sono in cima, grido come una femmina stupida e vedo a pochi metri la roccia che puntavamo.

            Non ci credo, sono in cima ma non ci credo, le dita mi si sono gelate ed ora mi fanno molto male, ho un breve momento di panico che pare non finire mai, Giovanni mi è vicino. Finalmente mi calmo ma non riesco ad andare a toccare la roccia, mi sento irragionevolmente spaventata da tutto.

            Lo spettacolo che ci si presenta davanti agli occhi è stupendo, a sinistra la Cima Miller e poi tutto l’arco di monti che racchiude il Pian di Neve, ghiacciaio dell’Adamello il cui bianco abbagliante è veramente violento sotto al blu cupo del cielo. Il ricordo della passata estate quando ho avuto il privilegio di ammirare questo spettacolo per la prima volta non si è ancora spento ed ora assaporo la nuova fatica che ho dovuto provare per rivederlo, sono felice e mi sento un groppo in gola.

            Acconsento a scattare delle foto ed a proseguire sulla cresta anche se faticosamente. Lentamente tutto torna ad apparire normale, ora dobbiamo scendere, superiamo la selletta da cui siamo arrivati, Giovanni mi indica dopo poco il punto da cui dobbiamo scendere, e sorride vedendo che pure io ho ritrovato il sorriso.

            Ora, rapidamente la discesa, è l’una e 45, molto tardi, ci aspettano ore per arrivare alla fine di questa avventura, il sole batte forte sui nostri visi quasi increduli di essere veramente giunti alla meta. La china è lunga e si affonda ma non è nulla rispetto alla salita precedente. Ci teniamo alla larga dal cane che ha attaccato Oliver e ci sentiamo meglio soltanto quando lui ed i suoi padroni sono molto lontani da noi. Un paio di soste e siamo alla base della china che portava alla cresta. Cerchiamo le nostre tracce, le troviamo, percorriamo un paio di traversi e Giovanni sceglie il percorso che pare più veloce.

            Restiamo nuovamente incantati davanti a canali ripidi ed innevati che vorremmo provare subito, è una magia che non riesce a lasciarci indifferenti nonostante la grande fatica che sentiamo addosso e che sappiamo non essere ancora finita.

            Accompagnati dal brillio dei cristalli di neve che tentiamo inutilmente di fotografare e dopo un paio di soste siamo al primo vallone. Incredibilmente mi sento sollevata ed ora sono presa solo all’ansia che mi spinge verso l’auto, ho timore del buio anche se so per certo che ci coglierà verso le 5 e mezza.

            Siamo al rifugio, e poi, sempre più spediti alla diga, il tramonto e fiammeggiante tra i monti davanti a noi. Giovanni si prova ad immortalarli ed io mi sento felice, è stata una prova difficile.

            Restiamo affascinati da una enorme roccia  che notiamo sulla prima spianata, ci sono  tracciate delle vie con spit luccicanti, sono tanto difficili da essere forse impossibili e ci divertiamo a fotografarle, i nostri compagni d’avventura saranno sicuramente colpiti quanto noi dalla temerarietà di quella “falesia” improbabile ad una altezza impossibile.

            Il buio ci prende sulla seconda spianata, Oliver, sempre allegro ci zampetta attorno, armati di pile frontali proseguiamo il sentiero occhieggiando il pianeta Venere che brilla alto nel cielo scuro.

            Superiamo il rifugio ed il bosco con il brutto sentiero ghiacciato a tornanti che mi dava molto pensiero, ma con Giovanni avanti a me che mi indicava il modo di proseguire siamo finalmente arrivati all’auto.

Erano passate 11 ore e mezza dalla partenza, stanchi ma soddisfatti siamo ripartiti per la via di casa. Un pensiero ai nostri compagni di avventura che ci sono terribilmente mancati e che sono stati il nostro argomento preferito.

Le ultime parole per Giovanni che nonostante i suoi problemi trova il tempo ed il modo di farci vivere esperienze indimenticabili.

 

                                           Marina Livella