IL CASTELLO DELLE STREGHE

Notturna sul Blumone   5 gennaio 2007   

            Questa notte, quando verso le cinque sono arrivata a casa, ero così elettrizzata dall’avventura appena terminata che mi sarei subito messa a scrivere ed ho faticato a convincermi ad andare a letto,

il fatto è che sentivo la impellente necessità di cercare di riportare sulla carta le emozioni vissute nell’avventura notturna su per il monte Blumone.

E’molto difficile scrivere utilizzando solamente le immagini che vengono dalla propria mente e dal proprio cuore e non sono certa di riuscire a tradurre con parole la nuova esperienza, ma trovo necessario tentare di fermare i momenti della notte appena trascorsa.

            Tutto il nostro gruppo, tempo fa pareva d’accordo circa questa salita, quando poi è stato il momento ci siamo ritrovati in tre, Davide, Marco ed io, non importa si va ugualmente, non ci lasciamo certo scappare una luna piena come quella che si prospetta.

            Alle nove siamo in Gaver, si parcheggia l’auto. Non fa molto freddo ma ci portiamo indumenti di ricambio, purtroppo la luna è coperta, fitti strati di nuvole la nascondono ai nostri occhi ma siamo ottimisti.

            Si parte, il sentiero è una lastra di ghiaccio, il silenzio è palpabile tanto che pure noi, dopo alcune chiacchiere, ci ritroviamo silenziosi ad ascoltare la notte ed i nostri respiri un poco affannati.

            Un passo dopo l’altro chiedendomi cosa diavolo ci facevo in quella notte scura con una luce sulla testa a camminare nel freddo sudando sotto i troppi strati di indumenti, il fatto è che ero indotta a continue riflessioni e la mia mente spaziava, le domande erano tantissime mentre le risposte, come sempre, scarseggiavano, solita storia.

            Finalmente dopo il ghiaccio arriva la neve, è un sollievo, si sale senza soste, non pare ancora ora di ramponi, i monti attorno sono neri con lunghe lingue grigiastre di poca neve ed è sempre la neve che ci aiuta ad vedere le dune tutto attorno nel buio assoluto.

            Passiamo le due malghe ed ammiriamo il Blumone ancora lontano, pare minaccioso anche se è ingiusto attribuire caratteristiche umane a cose che umane non sono, certo è che la sua imponenza metteva un bel po’ di timore.

            Seguiamo il sentiero, io guardata a vista dai miei compagni, la neve è molto dura, indossiamo i ramponi e ripartiamo con molta più sicurezza, l’edificio dei guardiani della diga non è molto distante.

            Pare strano in quella notte nera e solitaria avvistare dopo un poco una serie di luci sfavillanti, è una sorpresa e non so se veramente gradita, ma avvicinandoci vediamo il bell’edificio dell’ENEL ed un uomo che si affaccia alla finestra, è sorridente e contento della visita inaspettata, sotto il portico scambiamo due chiacchiere e tentiamo degli scatti con la macchina fotografica mentre il freddo si fa sempre più intenso.

            Pochi minuti e poi si riparte accompagnati dalle abbaglianti luci della diga che l’uomo gentilmente ha acceso per noi. Si è alzato un vento forte e gelido che non da pace, si cammina sopra ad una crosta di ghiaccio che quasi sempre si rompe con il peso del corpo e si affonda fin oltre le ginocchia nella neve morbida e farinosa.

            Penso che ora la faccenda sta diventando veramente dura, cerco di farmi traccia ma è troppo faticoso, seguo Davide e le sue orme, al mio fianco Marco, niente parole, solo molta fatica nella notte. Ad un tratto ci rendiamo conto che tutto si è schiarito, alziamo lo sguardo, grande felicità, la luna è sopra di noi, tonda come un soldo d’argento, attorno stelle che baluginano luminose.

            Ora è tutto a posto, ammiriamo stupefatti la fredda luce che piove dal cielo, illumina e dona brillii metallici al ghiaccio che ricopre tutto attorno a noi. Solo alcune istantanee che il vento non permette nemmeno di respirare e pare ci voglia mandare via, proseguiamo faticosamente su di una ripida salita il cui ghiaccio è stato modellato dal vento violento e continuo a piccole onde che si rincorrono, ricorda un mare congelato e verticale che termina bruscamente all’attacco di grandi rocce nere come la pece.

            Un passo dopo l’altro con nelle orecchie gli schiocchi secchi del ghiaccio che rompevamo muovendoci e l’insolito suono di cristallo in frantumi che proveniva da frammenti di ghiaccio che  scivolavano attorno a noi continuamente, niente silenzio ma il continuo urlo della montagna che ci torturava e ci rendeva inquieti.

            In alto il grosso muro nero di roccia diventa la mia meta, bisogna arrivare là, ma ogni passo pare lo allontani, diventa il mio unico pensiero, lo guardo e si allontana, ricordo che anche Davide  ha raccontato di una esperienza simile provata tempo fa, ma sono determinata e non mollo.

            Ogni tanto una piccola sosta, alle 12 e mezza siamo quasi al passo, la decisione di tornare presa dai miei compagni d’avventura, non capisco se ne sono felice o no, ma ora  è tardi e c’è l’incognita del ritorno che non si prospetta facile.

            Ora la luna non ci abbandona più, a malincuore torniamo sui nostri passi, scegliamo un’altra china e brandendo la picca cominciamo la discesa, vetta mancata ma grande soddisfazione per la salita più difficile, date le condizioni, che abbia mai sperimentato.

            Inaspettatamente la via scelta si rivela abbastanza semplice nonostante il freddo ed il vento non ci diano un attimo di pace, si affonda molto ma finalmente arriviamo prima al rifugio, dove ci riposiamo un poco e poi alla diga.

            Ritrovare le nostre tracce non è facile, ci aggiriamo alla ricerca alla luce della luna e delle frontali e poi Davide e Marco decidono di scendere comunque per ritrovarle più in basso. Passiamo una lunga spianata di rocce coperte dalla neve che ci mettono a dura prova, attorno il brillio vivido e freddo del ghiaccio illuminato dalla luna ci accompagna, vediamo le luci lontane della valle che ci attende, ancora molta strada è da percorrere.

            Finalmente il sentiero e le nostre tracce della salita, siamo più tranquilli e ritroviamo le parole che ci erano mancate per molto tempo, ora la discesa non preoccupa più, tra risate e chiacchiere arriviamo alle malghe e poi alla strada che accorciamo con una divertente gimcana tra i boschi silenziosi. La neve ora è scarsa ma il ghiaccio è dappertutto e togliamo i ramponi solo all’arrivo alla macchina.

            Si beve quanto resta della tisana calda di Marco e del caffè necessario soprattutto a Davide per le due ore di guida che gli restano, sono le tre, siamo stanchi ma soddisfatti di quanto abbiamo fatto, l’ultimo pensiero agli amici Carlo e Giovanni che erano comunque con noi e che sono sempre parte delle nostre esperienze in montagna.

  

                                           Marina Livella