Nord Cima Denza 1 maggio 2007 Male dappertutto, questo è quello che il cervello registra monitorando il mio corpo, allora si rintana nei ricordi dei due giorni appena passati, un fiume di immagini e di sensazioni quasi indescrivibili; la salita del Canale Denza. La partenza lunedì di mezza festa, appuntamento verso le due del pomeriggio con meta passo del Tonale, il tempo non è dei migliori e quando facciamo tappa a Temù piove leggero. Si arriva in Località Velon da dove parte il nostro sentiero per il Bivacco invernale del Denza a 2.200 metri di altezza circa, Loredana non si sente bene quindi lei e Stefano, con rincrescimento, ci fanno partire senza di loro. Il sentiero vede quindi Davide, Davide junior, Giovanni e me incamminarci verso le quattro ed un quarto, carichi dei nostri grossi zaini, nel pomeriggio grigio. Salendo in auto mi era stata indicata la nostra meta e vedere i monti enormi dalla strada mi era parso assurdo, troppo alti, impossibile per me, ho pensato come sempre, ed è stato il pensiero che mi ha accompagnato salendo verso il bivacco. Bel sentiero, forse era possibile risparmiare un’ora di cammino ma la strada era chiusa per il taglio degli alberi da parte della forestale, quindi su che è meglio arrivare con la luce. La pioggia ci ha accompagnato per lungo tempo ma non ci ha impedito di vedere viole enormi che rallegravano i sentieri un poco brulli e teneri germogli di “dente dell’orso”, il radicchio selvatico più buono del mondo, che purtroppo non ho potuto raccogliere. Non ancora a metà della via la pioggia si trasforma in neve, molto divertente se non fosse per l’abbigliamento troppo leggero. Sfoderati gli ombrellini ci siamo cimentati in un percorso faticoso, con neve alta e bagnata, che ha costretto Davide a fare tracce per un lungo tratto in un ambiente che pareva una cartolina di Natale. Il bivacco, naturalmente solitario dato il tempo, ci ha visto arrivare stanchi, trafelati e inzuppati fino alle ossa verso le sette di sera; un poco di cibo, un sacco di risate e una incerta valutazione del tempo. Dalle piccole finestre di quella casina rivestita di legno abbiamo visto finire la nevicata e venire il buio. Sotto alle coperte la decisione, se alla due di notte il tempo è favorevole si parte comunque. Davide junior sorride felice, quella è la sua prima nord e non vuole rinunciare. E’ il temerario Giovanni che si alza e guarda il tempo all’ora stabilita, io dentro di me spero vigliaccamente che sia orribile, ho molto sonno, invece non è così, sveglia di corsa che le stelle sono luminose e non fa nemmeno freddo. Partenza alle tre e mezza, catapultati in mezzo alla neve alta muniti di pile frontali, con Giovanni che, come un gatto, inspiegabilmente riesce a guidarci e far traccia nella notte buia. Si sprofonda molto, la neve è bagnata e troppo morbida lungo la vallata e nell’interminabile traverso che pare non porti a niente e poi scavalcando lunghi dossi arriviamo al canalino roccioso che è l’accesso al nostro canale. Finalmente la sofferenza di quel percorso alla cieca è finita, siamo sotto a delle roccette che non paiono molto semplici, io indosso subito i ramponi e mi sento più sicura, guardo Davide che assaggia le rocce tranquillo. Dopo il primo tratto decide di fare sosta e buttare una corda, Junior ed io ci assicuriamo e Giovanni ci sta dietro, saliamo abbastanza agevolmente accompagnati dal crepuscolo che si fa sempre più chiaro. Mentre terminiamo il secondo tiro di corda su quelle rocce instabili frammezzate da neve e ghiaccio esplode un’alba stupenda che riempie d’azzurro e rosa i monti circostanti ed arriva poi ad illuminare la nostra fatica. Come sempre accade è con stupore che giriamo lo sguardo attorno ed ammiriamo il nascere del giorno, è uno spettacolo che, da solo, sa motivare il sacrificio di un sonno breve e tanto sudore nella notte. Arriviamo ad un dossello innevato, ci sleghiamo, attraversiamo una spianatina e ci avviamo verso il conoide di neve molto alta che porta al canale. Ancora uno sforzo, dicono, e poi forse, sul canale la neve sarà più compatta; le mie gambe ci credono e vanno avanti. Sono le sei e trenta circa quando, alla base del canale, ci attrezziamo con ramponi e picche, il canale è li, splendido pendio ripido che sognavo da tanto tempo, circa 600 metri di neve e di felicità. Lo attacchiamo svelti. Ora non solo i picchi più alti sono invasi dalla luce del sole ma tutto il cielo è blu, le nuvole sono candide ed il panorama vivido. Non si sente freddo, solo l’ansia della salita riempie le nostre menti, Davide è partito per primo e fa traccia, la neve è ora dura e le punte dei ramponi la scalfiscono a fatica, finalmente la parte divertente della giornata è arrivata. Già, perché tutta la storia di andare e tornare per alti monti è spesso compiuta per i canali, per percorre quei corridoi di neve incuneati tra le rocce che paiono li a sfidarti, una follia per i più ma, quando ci sei tocchi il cielo con un dito e non ti importa che le gambe gridino di dolore e i muscoli delle braccia non ti diano sosta, pochi pensieri passano nel cervello e spesso contrastanti, “basta, dove è la sella, non arriva più”, e, “Dio mio, fa che continui fino all’infinito”. Una curva a destra, ora si vede la sella, piccole soste per riprendere il fiato ma quasi non servono, il canale che intravedo tra le mie gambe rotola giù a strapiombo candido e contrasta vividamente con le rocce scure e l’azzurro chiaro del cielo, le due picche affondano implacabilmente nella neve dura, si evitano piccoli salti di roccia, ecco la cresta spruzzata di neve incollata ad un cielo che ora si è fatto blu, ci siamo. Il canale si impenna, abbiamo il viso a venti centimetri circa dalla neve, è il pezzo più bello, niente parole, qualche sorriso, solo andare su, ci stiamo appropriando del nostro premio, alzo lo sguardo, Davide è arrivato, Giovanni come un folletto sale e scende dei tratti per riprendere la salita, ridiamo felici e raggiungiamo Davide sulla cresta splendente di sole, sono le 9 e mezza, non ci resta che raggiungere la vetta. Fa caldo ma il vento è violento mentre percorriamo cautamente il tratto di misto pieno di rocce solo appoggiate e mezzo sommerse tra neve e ghiaccio. Ecco Cima Denza, uno stretto picco di rocce dove fatichiamo a stare tutti e quattro ma tanto è l’entusiasmo non ce ne accorgiamo, il vento ci colpisce forte, un colpo d’occhio al panorama, la cresta fitta di lance acuminate di roccia ed i monti lontani che sbucano da un mare di nubi candide, è stupendo ma purtroppo dobbiamo scendere subito riprendendo le stesse rocce delicate verso il passo Cornisello. La mia mente improvvisamente ricomincia ad elaborare ciò che il cuore sente, un guazzabuglio di emozioni, la coscienza di aver toccato il fondo e, faticosamente, risalito la china della propria vita ritrovando il modo di amarla completamente e senza riserve. Ora nulla mi fa più paura, neppure il tempo che passa se posso viverlo provando emozioni come queste e mi sento molto fortunata. Ripassiamo dalla nostra sella poi percorriamo un lungo traverso nella neve alta che aggira un roccione, la nostra prossima meta è il Passo Cornisello. Dopo averlo raggiunto prendiamo un canale con un primo tratto dolce ed agevole, dovrebbe senza fatica portare al vallone sottostante, ma le sorprese sono sempre in agguato; verso metà del canalino troviamo un primo saltino di roccia, Davide che è avanti ci grida che è semplice, lo superiamo agevolmente ma al secondo salto Junior è dubbioso, Giovanni attrezza una sosta e butta la corda, ci cala fino alla fine del canale facendoci superare un terzo salto roccioso che aveva fermato pure Davide. Guardiamo dal basso i nostri amici scendere in doppia superando quell’ultimo salto di placche rocciose reso pericoloso dalla quasi totale mancanza di neve. Deviamo a sinistra e prendiamo un lungo traverso di neve molto alta, l’intenzione è cercare di evitare il lungo vallone ampio che Giovanni teme instabile. Siamo stanchi ma non possiamo calare l’attenzione che mettiamo nei nostri movimenti, tutto attorno distese candide e ardite linee rette che la neve costruisce giocando con i pendii scoscesi. E’ parecchio più in basso che scopriamo l’impraticabilità del percorso scelto, alti strapiombi rocciosi impediscono il passaggio. Breve sosta per un poco d’acqua e qualche foto al piccolo canale che ci ha fatto sudare parecchio e torniamo sui nostri passi sotto ad un sole che va e viene. Dopo la risalita di un lungo pendio ed il delicato passaggio sotto ad una placca rocciosa dove i nostri ramponi scricchiolano al contatto con la roccia scivolosa sotto al manto nevoso, ci ritroviamo nel vallone. Questa volta la sorpresa è piacevole, la neve che calpestiamo tiene ed il passo è agevole, percorriamo tutta l’interminabile valle, in basso già si scorgono la morena, gli abeti ed i sentieri ma, ad ogni passo pare si allontanino sempre di più. Nuovamente poche parole e pochi pensieri, la fatica ci opprime le spalle e l’unico desiderio è arrivare al sentiero che porta all’auto. E’ poco dopo essere arrivati all’inizio della morena, scuro sbarramento di rocce grandi e piccole ed esserci liberati dai ramponi, che la pioggia torna a fare la sua comparsa, è sottile ma insistente, fuori gli ombrellini ormai quasi distrutti dall’uso del pomeriggio precedente e avanti saltando su quelle rocce scivolose ed infide. Si traversa mille volte un magro torrente che sbarra continuamente il cammino e ci districhiamo a fatica tra bassi arbusti privi di foglie che pare non abbiamo nessuna voglia di farci passare; arriviamo all’altezza di un alto roccione che Giovanni ha scelto quale punto di riferimento per il rientro, proprio da lassù passa il nostro sentiero; è quello l’ultimo ostacolo, una costa ripida di arbusti e bassi cespugli carichi di pioggia. Con malavoglia e un poco brontolando ci inerpichiamo sempre battuti dalla pioggia, ma, poche decine di minuti dopo fa la sua comparsa il sentiero, siamo sollevati, ora è tutto a posto. Sempre sotto alla pioggia ripercorriamo il sentiero, breve sosta per un poco di cibo al coperto della piccola galleria che resta ad un’ora dalla fine della via, la stanchezza è quasi dimenticata e commentiamo entusiasti la giornata che si sta concludendo. Sono le quattro del pomeriggio quando scorgiamo l’auto, siamo completamente fradici ma l’adrenalina non ci ha abbandonato, ancora elettrizzati cambiamo velocemente gli abiti bagnati sbocconcellando un poco di torta. Qualche chilometro più in basso ci fermiamo per un buon panino che sentiamo di meritarci veramente dopo 12 ore e mezza ininterrotte di cammino e quasi 2000 metri di dislivello in un giorno e mezzo; i miei occhi sono traboccanti di immagini e sensazioni. Ricordo soprattutto l’ultimo sguardo alle vette che stavamo lasciando scendendo il vallone, schermate da nubi e ingrigite dalla pioggia pareva non volessero più concedersi a noi. Ci avevano infatti permesso di vivere un’esperienza che, per un breve istante, ci ha elevato al ruolo di giganti, grande privilegio che cerchiamo di ripagare in ogni momento della nostra vita con tutto l’amore possibile.
Marina Livella
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