IL CASTELLO DELLE STREGHE

Monte Aviolo     4 marzo 2007

In macchina tra un sonnellino e l’altro sentivo parlare della nostra meta, la via normale per l’Aviolo, mah, sapevo che la cresta era bella, la via normale invece non mi era mai stata descritta, speriamo in qualche cosa di godibile pensavo dormicchiando.

            Eravamo partiti alle sei di mattina ed arrivando, dopo Edolo, all’area pic-nic della località Pozzolo nell’aria azzurra e rarefatta della mattina già ci sentivamo immersi nell’avventura coronata da una giornata di tempo sereno. 

            Siamo in sette, bel numero, alle 7 e 30 prendiamo il sentiero nel bosco sottostante il Monte Colmo, non so qual è la nostra vetta, non chiedo, so già che la risposta sarebbe un terrorizzante “ è dopo l’ultima che vedi!”

            Si sprofonda parecchio nella neve, ma nell’intontimento della mattina presto non mi accorgo nemmeno del percorso, so già che ne godrò al ritorno. Passato il bosco di abeti e larici vediamo una temibile valle, che sale dolcemente, completamente coperta di massi di tutte le dimensioni immersi nella neve. Grande fatica passare quel lungo percorso, tutto per avere come unico premio un bel salto di roccia su cui i nostri ramponi fanno lunghi e lamentosi stridii salendo e poi, finalmente, un poco di neve vera.

            Tutta quella strada fissando monti quasi completamente spogli di neve e puntando pochi canali bianchi sperando che uno di quelli fosse lo strumento della nostra felicità.

            Ero molto stanca, scoprirò il giorno dopo di essere seriamente raffreddata, per il momento avevo solo una grande stanchezza che mi faceva sentire le gambe pesanti ed il fiato corto, non era comunque motivo per fermarmi, sapevo che i miei compagni mi comprendevano e mi stavano vicino come sempre.

            Si prende un pendio esposto a sud, si affonda nella neve, si fa un traverso e poi si attacca il primo dei canali che ci aspettano. E’ scosceso e lo percorriamo ridendo e scherzando; ai lati rocce nude macchiate da licheni giallastri e ciuffi di erba seccata dal sole e dal freddo; bel pendio molto innevato, risulta difficile anche pestare tracce già segnate ma la voglia di andare è così grande da non far desistere nessuno di noi, si trovano altre rocce, le oltrepassiamo e ci ritroviamo al proseguimento del canale.

Ai nostri amici sembra troppo scarso di neve, la decisione è fare un nuovo traverso verso destra e ricominciare la salita, il pendio è abbastanza elevato e ci costringe a grande attenzione. Tra sbuffi, e poche parole si arriva allo sperone. Sono passate quasi tre ore di grande fatica su neve molto difficile e finalmente siamo su quella selletta che pareva ai confini del mondo vista dal basso, il percorso è ancora lungo per la vetta ma è tanta l’eccitazione, nel pensare che non si sa cosa ci aspetti dopo, da annullare la fatica già provata.

Ci avviamo su per un altro canalino, fa molto caldo, il sole picchia e pare estate anche se il vento si fa sentire. Saliamo su per un pendio con neve alta e faticosa, Carlo fa le tracce ma non è convinto, teme problemi, dopo un veloce consiglio “dei tre”, Carlo, Davide e Giovanni, si riparte e si tenta la salita.

Ci sono un poco di roccette ed io da sconsiderata mi diverto e basta, non bado certo ai pericoli che loro hanno preventivato. Tra lati di rocce solo spolverate di neve vediamo la prossima meta. Il sole è un disco brillante che fa male agli occhi, gli altri ci hanno superato ma io chiedo di farmi traccia nonostante il prezzo sia restare indietro.

Molta fatica, la neve è morbida ed instabile ed i ramponi non prendono. Grido dalla rabbia, tento e ritento sotto lo sguardo divertito ed accondiscendente di Giovanni sotto e Davide e Carlo sopra, arrivo finalmente alla sella. Sono esausta, la tosse mi prende ogni tanto e la fatica si fa sentire, ma sono felice di essermi “portata su” da sola.

Pochi pensieri in quei momenti, solo la consapevolezza di sapere che finalmente riesco a bere la vita a grandi sorsate, ogni attimo è esattamente quanto voglio avere ed anche le novità sono volute e desiderate proprio come tutto il resto.

Non più lo stordimento della giovinezza, quello che ha lasciato passare gli anni senza lasciare tracce, già le tracce, utili non solo sui monti ma anche nella vita, quelle che, se ci ripensi, non trovi segnate perchè vivevi senza capire, ma ora ogni attimo è addentato, gustato ed assaporato come fossi un animale che vuole vivere ad ogni costo. Penso che probabilmente la maturità significhi anche questo e lo dico senza paura di fare retorica, semplicemente perché era quanto il mio cervello macinava mentre cercavo ad ogni costo di vincere me stessa e la neve di quel pendio, sicuramente da nulla, ma terribile per me.

Arrivo in cima e mi ritrovo tutti i ragazzi sorridenti ad attendermi abbarbicati ad una manciata di rocce, il vento è forte ed il pezzo di cresta non sufficiente per tutti, quindi partono veloci, giusto per togliersi dalle turbolenze del vento violento che si esibisce senza clemenza solo per noi.

Dopo un attimo anche io posso ripartire, ci aspetta un’altra spianata e, di fronte, monti poco innevati ma con bei canali bianchi ed invitanti. Non so capire quale sarà il prossimo che andremo a provare, attendo solo di sapere quale sarà.

Attorno il panorama di vette è immenso ed incorniciato da un azzurro splendente, certo, i colori sono scuri, verdi e marroni e solo molto in alto si coprono del bianco della neve; annata che ne ha regalata veramente poca e non l’ha lasciata per molto sopra ai monti che amiamo.

Battuti dal sole attraversiamo quel tratto piano frammezzato da rocce e prendiamo un bel canale abbastanza semplice, lo percorriamo, arriviamo sotto alla cresta dove, mi dicono, si trovi la via normale accompagnata da catene per agevolare la salita, la regola è non aiutarsi con la catena se non è assolutamente necessario ed io ci sto.

Dopo un traverso costeggiando rocce imbocchiamo finalmente l’ultimo canale prima delle roccette finali. Si rivela veramente qualche cosa di bello, sottile, ripido e fiancheggiato da rocce che offrono buoni appigli. La neve non è male, si affonda poco soprattutto se le tracce che si trovano sono nitide ed agevoli  grazie a Carlo che va alla grande come primo della fila.

Spettacolare il panorama che corre a strapiombo sotto di noi con la vallata color gelato panna e stracciatella e la vista delle creste che si alzano sottili e strapiombanti sulla sinistra.

Ora siamo alle rocce finali, infide e ghiacciate che spuntano dalla neve e sono più difficili di quello che pensavamo.

Dopo quel bel tratto di misto con neve abbondante si arriva sotto la vetta, so per certo che ci siamo, il fiato è corto ma sapere che calpesterò un’altra volta la cima di una montagna mi da la forza per arrivare, è un’ultimo sforzo veramente entusiasmante, con quelle rocce da arpionare con la picca e con i ramponi.

Ecco la vetta a 2890 metri di altezza, un magro cocuzzolo su cui è quasi difficile starci tutti e sette, e poi la croce, alta e sottile, croce di una volta, di autentico legno vecchio e rovinato, praticamente due bastoni incrociati, cosa si vuole di più! Sono le 13,30, molti sorrisi, strette di mano, fotografie e apprezzamenti, è stata una salita veramente faticosa ed impegnativa e, mi dicono, il ritorno non sarà da meno.

Non è assolutamente possibile fermarsi su quel fazzoletto di neve spazzato dal vento, bisogna scendere ed arrivare almeno al primo vallone per mangiare qualche cosa, i ragazzi hanno fame ma si deve aspettare. Ancora un’occhiata al panorama ed al bellissimo lago                      d’Avio completamente ghiacciato che risalta sul fondo della vallata.

Difficile ripercorrere il misto dell’andata. Siamo attrezzati anche per un’eventuale discesa con corde se si presentano salti di roccia troppo pericolosi, ma, roccia dopo roccia, con molta attenzione ed io marcata stretta da Marco e Giovanni, siamo scesi oltre quel tratto che mi preoccupava tanto.

La cosa importante, in tutti i casi l’ho imparata, stare tranquilli e valutare attentamente ogni passo ed ogni piccolo spostamento di mani e piedi; nulla, mi hanno insegnato, deve essere lasciato al caso, il cervello deve lavorare velocemente e l’attenzione essere totale.

Quando mi capita di distrarmi e di parlare con i miei compagni c’è sempre qualcuno che mi richiama all’ordine, niente parole inutili, meglio lasciarle per dopo, ora solo l’impegno di arrivare in fondo senza incidenti di nessun genere.

Dopo grande difficoltà e fatica che ti prende nella pancia e quasi ti da vertigini siamo al traverso dell’andata, è tranquillo, si chiacchiera rilassati.

Entusiasmante la scivolata che mi sono concessa per scendere più velocemente da un pezzo di canale in cui affondavo troppo, una bella gimcana con il sedere immerso nella neve ed un attimo di gioco che per i miei amici è stato l’ennesimo momento di divertimento, c’è sempre motivo per ridere quando la tensione diminuisce.

Vedo il resto del gruppo da lontano, hanno trovato una spianatina per mangiare qualche cosa, arrivo anche io e siamo riuniti, quattro risate e l’ennesima lettura di un’avventura precedente che ha necessità di una conferma di tutti.

Si riparte malvolentieri ma il tempo stringe, il percorso è ancora tanto, i miei amici partono veloci, io so che per me sarà lento il ritorno, c’è la lunga spianata che mi aspetta.

Il percorso da lì viene variato da chi era in avanscoperta, hanno trovato fortunatamente il modo per aggirare il salto di roccia dell’andata troppo pericoloso nella discesa. Percorso il canale grande quindi, si attraversa e si passa lo sperone. Lì troviamo un bel canale intonso e facile con cui raggiungiamo la valletta.

Mille ed ancora mille passi nella neve troppo fonda e morbida e poi la spianata che pare non finire più. Il mio timore dell’arrivo del buio si fa certezza, infatti, quando arriviamo al bosco, già le ombre degli alberi si fanno più scure. 

Il tramonto, uno spettacolo indimenticabile di rossi violenti, bianchi abbacinanti ed azzurri sempre più scuri che si offrono tra le cime dei monti davanti a noi.

Finalmente le auto, è tardi, si parte svelti ma provati da quella incredibile salita.

Un saluto da Carlo, Davide, Giovanni, Marco, Samuele, Stefano ed io Marina, persone normali certo, ma quando ci guardiamo negli occhi tranquilli e ridenti, tra noi di montagna, sappiamo vedere il desiderio mai soddisfatto di spazi liberi che gli altri non sanno cogliere.

 

                                           Marina Livella