IL CASTELLO DELLE STREGHE

Corno di grevo                   16 dicembre 2007

Bella idea per questa giornata che si preannuncia molto gelida, il Corno di Grevo, vetta già raggiunta l’estate scorsa muniti di scarpette d’arrampicata su per l’eccezionale cresta; oggi invece si va per la normale in quanto la neve che ci aspetta è sicuramente abbondante.

            Partenza alle sei, ed è difficile l’arrivo su per la Val Saviore, la strada è ghiacciata e si devono attrezzare le auto con catene, per me non è un problema, dormo tranquilla mentre gli uomini sudano, la solita femmina!

            Alle sette e trenta siamo operativi fuori dalle auto a circa 1550 metri nella mattinata pallida e fredda, mi dicono che ci sono sette gradi sotto lo zero ma la giornata pare per lo meno soleggiata e si spera in un rialzo della temperatura.

            Siamo un bel gruppo, Davide, Davide Jr., Giovanni, Marco, Samuele, Stefano ed io, ci attrezziamo e partiamo veloci poiché stare fermi è un vero problema. Il sentiero è ghiacciato e ripido ma conosciuto, dopo il primo tratto tra il bosco, con l’aprirsi del giorno, la via si fa più spoglia di arbusti e dopo una spianata con delle minuscole pozzanghere semigelate ed un sentiero agevole ed aperto che ci mostra già lontane le abetaie, arriviamo al ponte che porta al rifugio Lissone ricalcando le tracce di due alpinisti che hanno detto di voler tentare una via sulla parete ovest del Corno.

            Siamo a 2005 metri, dopo aver passato il sentiero in piano superando gli edifici dell’ENEL arriviamo al rifugio Lissone; attorno la neve non è altissima, molti i cespugli e i ciuffi di erba marrone e stenta, in alto la stupenda immagine del mio canale “personale” Teobaldo con il suo inconfondibile picco a lama che rimarrà per sempre un’esperienza incancellabile, anche lui scarso di neve.

            Breve sosta per indossare il resto dell’attrezzatura e guardarci attorno, il cielo è azzurro e tutto il mondo attorno è dell’identico colore, sono le nove e mezza ed attendiamo il sole che già traccia un confine luminoso sui monti alle nostre spalle. 

            Abbandoniamo il rifugio, prendiamo il lungo ripido intonso e candido che ci fa apparire minuscoli e punta in alto, poi una deviazione a destra e su per lo scivolo che porta diretto al Forcel Rosso. Vedo alzando lo sguardo la piccola selletta rocciosa che trattiene dentro di sé un turbinio di nubi candide avanti all’azzurro di quel ritaglio di cielo.

             Costa molta fatica arrivare la, già il sentiero fin al rifugio mi è parso pesante, la neve che si alza e rende il passo più difficile e poi le salite successive mi hanno provato e sicuramente il freddo molto intenso gioca un ruolo importante; vedo infatti la fatica anche sui visi dei miei compagni.

            Finalmente siamo alle trincee della sella del Forcel Rosso a 2600 metri, piccola sosta per mangiare qualche cosa e parlare della salita che stiamo compiendo; la via è già stata percorsa in altri periodi dal gruppo e non ci sono difficoltà a capirne lo sviluppo.

            Ripartiamo dopo aver bevuto dei sorsi di te caldo che Jr. mi offre e di cui avevo proprio bisogno; aggiriamo il versante est dell’anticima del Corno ed imbocchiamo un ampio canale che porta direttamente sotto alla cima.

            E’ una salita semplice, la neve godibile e Marco, che oggi è un tracciatore convinto, non fatica a salire nel primo tratto. Alzandoci la neve progressivamente peggiora e le tracce si fanno più difficili, avanti Samuele e Jr. a cui chiedo quasi sulla sella di passare avanti, ma è troppo difficile per me ed il mio aiuto si riduce a pochi minuti di tracce.

            Passando vediamo la grotta/rifugio degli animali che vivono su quei monti, Stefano la fotografa attento ai particolari, poi tra grandi roccioni scuri che si ergono ai fianchi di quel canale innevato ecco arrivati alla cresta.

Ci troviamo tra la cima e l’anticima, dopo un altro breve percorso in salita  troviamo una piccola discesa verticale di pochi metri a gradini rocciosi che ci porta  ad una forcella in ombra dove spira un vento gelido. Infreddoliti ci guardiamo attorno, vediamo i due alpinisti incontrati da basso tornare indietro senza aver attaccato la via; un breve pezzo di catena ci fa capire che quella è la ferrata che conduce alla cima.

Dalla sosta parte un traverso abbastanza scosceso a ciuffi di erba rossiccia solo spolverato di neve a sbalzo su di uno scoglio verticale di roccia macchiata di licheni gialli, i miei compagni lo valutano velocemente e decidono di attrezzare una corda fissa. E’ Davide che si avvia cautamente per la trentina di metri che servono a portarsi fin alle rocce che vediamo alla base della ferrata.

            Poco dopo anche noi lo seguiamo, assicurati da un cordino, godendo del sole che ora ci scalda le spalle e vediamo guardando in alto il proseguimento della salita, l’erba è sparita, è abbastanza innevato e la neve pare solida e sicura. Voltandoci l’orizzonte è sconfinato di vette candide e cielo azzurro mentre in basso la valle è profonda e verdeggiante con lontani villaggi dalle case minuscole.

            Davide riparte, come sempre è lui il nostro avamposto, munito di un’altra corda percorre un bel tratto ripido, supera un breve traverso di neve intonsa che sale verso le rocce e poi un altro poco di misto scoprendo progressivamente il cavo d’acciaio, che segna la ferrata, profondamente sepolto nella neve.

Terminata la nostra corda si assicura al cavo, prosegue per l’ultimo tratto di salita ripida di rocce poco innevate con una sottile striscia di neve a destra; uno dopo l’altro anche noi lo seguiamo utilizzando tutto il possibile, picca, ramponi, mani e cavo ed io pure ginocchia e gomiti al caso, divertendoci come matti fin alla fine del pendio veramente verticale dove il cavo termina in una elegante voluta sotto ad un roccione che mi fa faticare un poco per superarlo con davanti il viso sollecito e sorridente di Stefano che fa il tifo ed alle spalle il blu profondo del cielo.

            Arrivano anche gli altri, e ci troviamo su di un terrazzino di neve soffice a sbalzo sul mondo, Davide indica la direzione per la vetta, è vicina ma non è convinto mentre Giovanni deciso, riparte e tracciando un piccolo semicerchio si avvia sul pianetto intonso prendendo verso l’alto.

            Davide scuotendo la testa lo segue tallonato dalla sottoscritta che tace ed acconsente sempre; abbiamo lasciato ancora all’inizio delle fisse i bastoncini, per cui le rocce spoglie che ci si presentano tra i tratti di neve vengono percorse agevolmente, oltre che da noi tre anche del resto dei nostri, insieme a Marco che si è addirittura alleggerito dallo zaino.

            La cresta è sottile ed innevata per quasi tutto il tratto che porta alla vetta, ci divertiamo molto nei punti dove regala del misto abbastanza facile ma ripido ed io mi chiedo come farò a ritornare sui miei passi; come sempre mi preoccupo troppo, infatti quando esprimo i miei dubbi i ragazzi ridono e dicono che del dopo ci si preoccuperà più tardi; mi rendo conto che è come sempre l’inesperienza a dettarmi quei pensieri un poco pesanti.

            Su e giù per la cresta, tra battute e risate si arriva finalmente alla vetta siamo a 2870 metri. All’orizzonte lunghissime catene montuose a creste aguzze ben innevate si inseguono fino all’infinito sotto ad un cielo di nuvole che creano lunghi filamenti candidi e sfumati ed un bizzarro e tondo fantasma bianco con grandi occhi blu che ci osserva, non avevo mai incontrato una nube con gli occhi e ne sono sorpresa.

            Complimenti ed abbracci ci attendono sul piccolo ripiano della vetta, ancora una filmata di Giovanni e molte fotografie che immortalano i nostri occhi ridenti e soddisfatti poi giù poiché per rifocillarci vogliamo un posto più comodo.

            Tanto mi pareva difficile quanto invece la discesa si rivela tranquilla e godibile; con qualche veloce suggerimento dettato dagli occhi attenti di Davide anche io percorro le rocce senza aiuto e ci ritroviamo al pianetto, Marco recupera lo zaino e seguendo il cavo e poi le corde fisse, nonostante la neve sia meno solida, ci ritroviamo al traverso prima della selletta battuta dal vento freddo.

            Ecco la sella, uno dopo l’altro scappiamo di corsa e ci raggruppiamo su di un rilievo soleggiato dove possiamo tenere d’occhio Davide e poi Giovanni che chiudono la fila e ci raggiungono dopo essere stati presi di mira dai nostri scatti fotografici mentre, appollaiati su minuscole soste rocciose, recuperano le corde.

            Ora non ci resta che scendere, siamo entusiasti di questa magnifica vetta raggiunta con parecchia difficoltà dovuta anche al grande freddo, da qualche tempo non ci riusciva di toccare una cima e questo regalo del Corno di Grevo ci rallegra moltissimo.

            La discesa è veramente troppo breve, arriviamo al lungo traverso che conduce all’ampia sella del Forcello e poi ancora giù, talvolta voltandoci ad ammirare il canale della nostra salita con la vetta appena abbandonata.

            Abbiamo fame ma non troviamo un posto che pare adeguato finché appare la distesa di grossi massi che vista dall’alto ricorda un’enorme torta di meringhe di panna e fili di cioccolato; quella visione amplifica la nostra fame e, dopo poco troviamo Davide che ci attende tranquillo su di un masso addentando un panino. Ci uniamo a lui e tra una battuta scherzosa e l’altra ci riposiamo un poco.

            La sosta ci rinfranca, sempre parlando della nostra bella salita si riparte, arriviamo senza difficoltà all’elegante edificio bianco e grigio del rifugio Lissone e dopo un’ennesima serie di fotografie ripartiamo.

Fatico non poco ad andarmene, salutando silenziosamente il “mio” canale sul Foppa che quasi due anni fa mi ha promosso membro effettivo della grande famiglia del GAL, mi ha aperto le porte ad esperienze indimenticabili e ad una vita nuova ed appassionante.

Sono le cinque che ci vedono riuniti alle auto, il cambio di abiti è velocissimo, il termometro dice che i sette gradi sotto lo zero della mattina sono ancora stabili e non c’è tempo da perdere; dopo aver spazzolato una bella torta si riparte.

La sera ci prende mentre torniamo a casa, certo, a pensarci bene la nostra dimora preferita sono i monti che ci ospitano ogni qualvolta possiamo scappare dal mondo e raggiungerli.

 

  

                                           Marina Livella