IL CASTELLO DELLE STREGHE

Corno Pornina   18 Marzo 2007

La meta pare certa oggi, Monte Avio, 2960 metri di altitudine, vetta lontanissima che si erge dopo una vallata lunghissima, e tutti questi “issimi” che mi sono paventati ad inizio avventura paiono paletti che frenano e spaventano non poco. 

            Non fa nulla, si va, sono le 7 e 30 quando si caricano gli zaini in spalla e ci si incammina, dopo il parcheggio dell’albergo “La Cascata”, metri 1450, sopra Vezza d’Oglio, su per la bella e conosciuta Val Paghera.

            Si deve arrivare al rifugio Aviolo. Nell’aria rarefatta e limpida della mattina passiamo sotto all’inconfondibile cascata “Albero di Natale”, la ricordavo l’anno scorso trionfante di ghiaccio, ora magra e sottile non mi pare più lei, certo, la forma è quella, la fotografiamo, è comunque splendida, ma non sarebbe possibile arrampicarcisi, troppo pericoloso.

            Ci stacchiamo malvolentieri da quella visione e proseguiamo, chissà, forse il prossimo anno ci sarà possibile toccare il bel ghiaccio che fiorisce su quella bizzarra cascata.

            Si passa una godibile valletta a sinistra, ripida ed innevata solamente sul fondo come quasi tutto ciò che troviamo ultimamente. E’ una piccola variante che ci porta velocemente al rifugio a 1930 metri, che troviamo solitario, con i muri candidi ed i riquadri marroni di legno a sfiorare il tetto. Piccola sosta e poi via che i  muscoli sono caldi e si deve approfittare.

            Il cielo è blu ed i monti lontani sono un incanto, non molto innevati ma abbastanza da avere il desiderio di allungare le mani per poter tastare quella neve candida e pura.

            Ci alziamo ancora un poco, voltandoci c’è l’incanto del lago d’Aviolo ghiacciato e liscio come un campo di hokey, interrompe la vallata ed è sempre una sorpresa vederlo laggiù candido ed intonso.

Si prosegue sul sentiero, la neve è alta e non vediamo tracce fresche di altri alpinisti che si siano avventurati prima di noi su quel percorso lontano dalle solite mete. 

            Gli alberi sono ancora alti ma, sollevando lo sguardo, si vedono le vette avvicinarsi lentamente e farsi sempre più incombenti.

            Si arriva alla “Valletta”, la percorriamo, è terribile, a turno si fanno le tracce, ma è troppo faticoso, i ragazzi decidono si deviare a sinistra, certo, le rocce sono spoglie di neve ed i ramponi scricchiolano salendo, ma forse è meglio così.

            C’è un canale che dovrebbe sbucare sulla cresta ovest del Corno Pornina a 2600 metri di altitudine, lo prendiamo decisi, è il primo del giorno e non ci pare vero, certo, ci stiamo allontanando dalla meta prefissata, ma è troppa la voglia di avventura.

            Inizialmente è facile, ben innevato e dolce, ma presto si trova un salto di roccia, Davide è in avanscoperta, lo vediamo faticare un poco, io cerco di capire come dovrò comportarmi, non voglio farmi trovare troppo sprovveduta.

            Finalmente sono al salto, la roccia è liscia, scelgo il lato destro, mi pare più facile, Giovanni è li vicino, Stefano un poco più sotto e Davide sopra, sono al sicuro, salgo facile, mi sorprendo dell’abilità che dimostro.   

            Si prosegue ridendo della difficoltà appena superata, troppo bravi, uno spettacolo! Alziamo lo sguardo, accidenti, un tratto più sopra ci aspetta qualcosa di molto più complicato, vediamo Davide saggiare il ghiaccio e la roccia, è indeciso, questa volta è sicuramente difficile.

            E’ un’altra strettoia con annesso inevitabile salto di roccia, come il precedente ma molto più alto, ai lati pareti lisce e totalmente prive di appigli ed una base di partenza instabile con ghiaccio e neve sottili, un grosso buco sul lato destro e una cascatella che ci scorre dentro. Davide prova e riprova ma non è convinto, sulla sinistra forse si può tentare, decide di usare un chiodo. Giovanni ne toglie uno dallo zaino, nuovo di zecca, è il battesimo del fuoco, Davide lo pianta deciso e con pochi movimenti fluidi è sopra, batto le mani elettrizzata.

            Aveva tirato una corda, quindi lo attendiamo fare una sosta, pochi minuti ed anch’io mi posso cimentare, sono grossolana, butto giù molto del ghiaccio che fa da piattaforma ma aiutandomi con il chiodo balzo sopra. E’una sensazione fantastica, raggiungo un Davide sorridente e soddisfatto.

Dopo poco arrivano Stefano e poi Giovanni che ha pietosamente recuperato il suo chiodo nuovo. Lo guarda sconsolato, tutto storto per colpa nostra dice. Gli toccherà raddrizzarlo, lo prendiamo in giro con battute di ogni sorta e commentiamo la bella salita.

            Ora che si fa? Proseguiamo lungo il canale che è tornato dolce e facile ma non pare sia il caso di percorrerlo fino in cima. I miei compagni vedono, tra le pareti a strapiombo che lo stringono, quella che pare una via sufficientemente facile per cavarci da quella strettoia.

            Stefano si avvia su per le rocce poco innevate, le trova fattibili, lo seguiamo, inizialmente agevoli, salendo però ci troviamo a fare i conti con dei salti di roccia divertenti ed abbastanza difficili. Poca neve, un poco di ghiaccio e begli appigli che però bisogna cercare attentamente; molto il sangue freddo usato per arrivare sopra a quelle rocce a strapiombo.

            Ci si attacca a tutto, rocce, erba, persino alla terra con la picca, ma alla fine siamo in cima, abbiamo seguito fiduciosi Stefano che ci ha portato fuori senza battere ciglio.

 Non siamo certi del proseguimento della via, ormai siamo assolutamente fuori dal percorso deciso inizialmente ma l’eccitazione di quanto stiamo trovando fa in modo che non ci importi niente.

            Piccola sosta per un poco di cibo, è mezzogiorno, il sole è a picco sopra le nostre teste ed il panorama ci offre vette bellissime incollate ad un cielo azzurro che più di così pare impossibile. Siamo tutti catturati da un monte che abbiamo davanti dalla partenza, una piramide quasi perfetta con una cresta dolce che spunta da una vallata bianca di neve, è la vetta delle Gole Larghe, cima che si erge a sud del passo delle Gole Larghe e che, secondo il programma, noi dovevamo raggiungere. Ci accompagnerà per tutto il percorso e dopo mille fotografie ci riprometteremo di scalarlo appena possibile.

            Si riparte, Davide ha fatto un giretto esplorativo ed ha concluso che il pendio che sale alla nostra sinistra è assolutamente da provare. Si parte, è molto ripido e ci si attacca all’erba in mancanza della neve. Abbiamo puntato una sella e la curiosità ci spinge ad arrivare fino in cima. Cosa c’è al di là? Come degli stambecchi Davide e Giovanni in un baleno sono sù. Stefano li raggiunge presto e, quando arrivo io, trovo, oltre ad un versante opposto molto panoramico, un canale che sale ripido alla nostra destra.

            Sono stanca, li vedo salire e capisco che vanno un poco lenti per attendermi. Come quasi sempre mi viene da pensare cosa vado a fare su che mi sento le ossa rotte, lasciatemi qui per favore chiedo nella mia mente; invece mi preparo con attenzione e mi avvio, non sia mai detto che mi faccio lasciare indietro.

            Le tracce sono fonde, e faticando riesco a ritrovare istantaneamente la felicità della salita, Stefano si lascia raggiungere ed insieme percorriamo il primo tratto fino a delle rocce un poco faticose, le passiamo, io aiutata dagli ottimi suggerimenti provenienti da Davide e Stefano che mi stanno vicini.

            Ci ferma un muro di roccia , Giovanni lo attacca veloce e Davide lo segue, li vedo faticare un poco e rimango col fiato sospeso. Arrivano in cima mentre io mi domando come mai farò a seguirli , è impossibile. Li sento scambiarsi opinioni in merito alla salita, decidono di organizzare una nuova sosta e calano giù la corda, non c’è da fidarsi molto.

            Ora tocca a me, grande concentrazione, non devo sbagliare proprio nulla, come al solito grido e mi arrabbio ma riesco ad arrivare in cima senza che Giovanni, che mi tiene a spalla, debba “tirarmi su”, sarebbe stata una grave delusione per me, certo qualche suggerimento si, che nella tensione di quei momenti mi capita spesso di non vedere appigli grossi come dei condomini.

            Finalmente sono su e poco dopo arriva anche Stefano, vedere i ragazzi felici e sorridenti mi fa toccare il cielo con un dito e, tutto sommato, vicino al cielo ci sono anche materialmente. Mi guardo attorno ed il cuore mi si allarga, ovunque vette mi circondano, sono accovacciata su di un minuscolo terrazzino insieme a tre veri alpinisti, uomini eccezionali che io posso chiamare amici. Il vento è gelido e mi dolgono le caviglie ma nulla è più importante della salita appena conclusa.

            Ora che siamo nuovamente riuniti pochi complimenti affettuosi e via che si deve scendere di corsa, troppo freddo per attardarci su quello spuntone di roccia. Proclamiamo all’unanimità “vetta del giorno” quel pezzo di cresta che appartiene sicuramente al Corno Pornina e dopo aver attrezzato una doppia si comincia la discesa, siamo a circa 2500 metri di dislivello.

            Parte Stefano e poi io. Mi inquieta di più, come sempre, la discesa. Non poter controllare quanto mi succede non mi piace nonostante mi fidi ciecamente di chi ha attrezzato la corda che decide della mia vita.

            Atterro dolcemente nella neve fonda, Stefano è li che mi suggerisce come proseguire. Come all’andata siamo investiti da un vento turbolento e gelido che pare volerci portare via. Dobbiamo farci forza per scendere nonostante le forti folate che ci colpiscono, ma finalmente siamo in fondo. Ci accoccoliamo sotto a delle rocce per cercare di ripararci ed attendiamo l’arrivo di Giovanni e Davide.

            Come sempre il mio cuore è stretto in una morsa. Non mi abituerò mai a sapere che i miei “compagni di avventure” stanno facendo qualche cosa di delicato ed io non posso vedere cosa succede. Momenti lunghissimi facendo finta di niente ed occhieggiando la base di quel canale troppo vuoto. Finalmente li vedo, arrivano dicendo che hanno provato una “variante”, accidenti alle loro stupide varianti penso, ma sono troppo felice di vederli per dire altro.

            E’ che le nostre vite sono diventate maledettamente importanti per me, io che non riuscivo più a dare valore nemmeno alla mia e sfidavo la sorte, ora ho capito quanto possa essere importante  viverla e condividerla con le persone che si amano.

            Bello sapere che la montagna ed il giusto gruppo di amici può trasformare un cuore frantumato in una persona che riesce ancora a dare gioia agli altri.

            Mi scuoto dai pensieri che mi allontanano ed isolano dagli altri, non mi sento di esprimermi, solo un attimo per qualcosa di personale ed intimo, pochi minuti di riposo e poi giù a perdifiato per il pendio erboso bruciato da sole, freddo e vento forte.

La temperatura bassa e l’orario ci dicono che non possiamo attardarci, sono le tre del pomeriggio, certo il sole è ancora alto, ma la strada da percorrere è lunga e non abbiamo un sentiero certo poiché, anche il rientro, è naturalmente all’insegna dell’avventura.

Senza pensarci più di tanto puntiamo il vallone sottostante e scendiamo dritti con piccole deviazioni che  ci fanno toccare anche un tratto di cresta. La neve si fa sempre più rada, ma la vediamo che ci aspetta giù nella conca della valle e già sappiamo che sarà troppo morbida e si affonderà molto. Davide apre la strada e lo sentiamo talvolta gridarci indicazioni di percorso.

Arriviamo a quello che pare un brutto salto di roccia ma, anche li, Davide trova la soluzione e si aggira facilmente l’ostacolo, uomo dalle mille risorse e dalle strane indicazioni, una per tutte la grande freccia segnata nella neve indicante il percorso da seguire.

Ecco la valle, ora fa caldo e ci si accalda ancora di più per la fatica d’affrontare tracce troppo fonde e  neve infida. Mille volte mi sono trovata con le gambe intrappolate fino alla vita nella neve, Davide poi mi spiegherà che sono gli spiriti del bosco, che nel frattempo abbiamo raggiunto e quasi superato, a tendermi trappole ed imprigionarmi le gambe; dolce come sempre mi offre una spiegazione inaspettata che mi fa sorridere e, forse per lo stato d’animo del momento, anche credere che sia proprio così.

Ecco il sentiero, grosso sospiro di sollievo a sentire terreno solido sotto ai piedi, poi l’auto, già l’imbrunire è alle porte, partenza che la strada ci aspetta, magro spuntino con un poco di torta e bocconi di pane senza companatico. Si mangerà a casa.

Alla prossima da Davide, Giovanni, Stefano e Marina.

                          Marina Livella