Cima Zigolon 7 ottobre 2007 Previsioni meteorologiche non delle migliori come spesso accade, ma gruppo compatto! Sarà quello che sarà, Davide, Giovanni, Stefano, Loredana, io e l’ottimo cane Oliver ci ritroviamo ugualmente domenica, verso le sei e mezza, per l’avventura del giorno. Altre premesse non sono meglio, Loredana ferma da un bel poco ed io nel pieno di una brutta influenza non siamo in forma, ma i ragazzi ci dicono che il dislivello è minimo ed il monte non ha grandi difficoltà quindi si prova. Verso le otto e mezza siamo al parcheggio del Tonale, è completamente vuoto, viene da pensare che somiglia ai parcheggi degli stadi, dei circhi ed alle spiagge di Rimini d’inverno, pure questo luogo che bene rappresenta il “circo della neve”, ha grandi pieni ed immensi vuoti ed il silenzio che ci circonda ha un che di desolato, di troppo stagionale e commerciale per piacerci. Non fa nulla, il vento freddo cancella i pensieri un poco tristi e ci accompagna per i prati della spianata che porta verso gli impianti, sono disseminati da mille pantani e ci costringono a faticose gincane. Conosco bene quel percorso, già due volte infatti ho visto quei sentieri; ora però il miraggio della vetta nuova che conosce solo Giovanni ci sprona a salire allegri. Molte chiacchiere, che vertono quasi sempre sull’apertura della mostra fotografica del CAI di Lumezzane a cui noi del GAL partecipiamo attivamente, fanno in modo che il primo tratto sia percorso senza molta fatica sotto a quelle buffe uova rosse ed immobili della cabinovia; certo, la costruzione scura che appare sulla sella pare allontanarsi anziché avvicinarsi, ma, alla fine la raggiungiamo. Il cielo è intanto diventato azzurro intenso e la giornata, contrariamente a quanto ci aspettavamo, è splendida; lunghe e bianche scie di aerei tagliano netto l’orizzonte, i monti non appaiono innevati come si pensava e Giovanni deluso brontola non poco. Il desiderio di tutti è “pestare tanta neve” ma ci pare che non sia possibile. Passiamo nel frattempo la lunga salita sugli sfasciumi cercando di non guardare tutti i piloni che ci attorniano, arriviamo alla sella e poi al laghetto limpido della spianata successiva brillante di luce come diamanti sotto al sole e riflette nitidamente i monti circostanti. Ancora su, mentre la neve comincia a farsi vedere più abbondante, si prosegue lungo la strada pure lei coperta da neve talvolta ghiacciata, ma che dopo poco abbandoniamo per una via più diretta che porta, lungo le piste da sci, verso il bel rifugio Presena vivido dei suoi tetti arancio chiaro che brillano al sole. La salita è un poco faticosa, circa a metà ci attrezziamo con i ramponi e tutto pare più semplice, abbandoniamo le piste e puntiamo la cresta tra Cima Presena ed il Cornicciolo. Prendiamo un canalino, quasi in cima Giovanni scopre tra dei massi e mezzo sepolta dalla neve una grossa bomba inesplosa della Grande Guerra; la osserviamo e la fotografiamo, poco più sopra ne vediamo un’altra, molte le immagini scattate tra battute di ogni genere che sanno di macabro causate da quella che rimane comunque una spaventosa traccia di guerra, certo, per noi ora è solo un pezzo di ferro arrugginito, siamo fortunati! Un poco di bel misto facile su passaggi di roccia compatta che permettono ad Oliver oltre che a noi di divertirsi, alcune brevi salitelle ben innevate e, dopo poco siamo alla sella da cui possiamo ammirare sia Cima Zigolon che Cima Presena. Scendiamo in basso verso la base dello Zigolon, certo che quella cima tutta rocciosa di pareti scure, asimmetriche e lisce che paiono buttate a caso ed impilate verso il cielo fa un certo effetto; io mi domando come diavolo si faccia a raggiungere la vetta, ma Giovanni e Davide paiono certi della via e li seguiamo. Il percorso successivo è sopra un pendio di sfasciumi mezzo nascosti dalla neve che né io né gli altri amiamo di certo; dopo mille saltelli cercando il punto più giusto per non affondare o cadere si riprende a salire, Giovanni ci sprona ad andare verso l’alto cercando un segno, una specie di grotta contenente una fantomatica balla di fieno “mummificata”, altro residuo della guerra che lui asserisce di avere veduto parecchi anni prima, e che dovrebbe indicare la via giusta. Si prosegue, si tenta un passaggio che scopriamo non essere quello giusto, torniamo indietro e Davide, come sempre in avanscoperta vede un altro modo per proseguire verso la cima. E’ durante un traverso che proprio Davide grida che ha trovato la grotta, forse era una visione poiché io non ho visto proprio nulla durante quel passaggio, ma si sa che gli amici hanno strane condivisioni; fatto sta che la strada giusta è provvidenzialmente trovata. Salendo si allarga la veduta dei monti circostanti poco spolverati di neve con in basso l’occhio tondo di un laghetto verde-blu che spicca nitido e più lontano grandi distese immacolate di neve e ghiaccio brillanti di sole. Ancora rocce semplici ma con dei bei passaggi ci portano in vetta, rappresentativa la croce un poco sbilenca composta da due bastoni legati con del filo di ferro ficcata a qualche maniera nelle rocce ed attorniata da filo spinato e vecchie scatolette completamente arrugginite dal tempo e dalle intemperie; ci riposiamo un poco facendo qualche foto ai nostri sorrisi ed al panorama. Il vento ed il freddo che, fermandoci si sentono addosso inclementi, ci fanno scendere di un tratto, decidiamo per una sosta ristoratrice accoccolati tra i muri a secco di un altro residuo della guerra; un poco di cibo, qualche chiacchiera, molte risate e mano alle digitali per immortalare Oliver con un nuovo look dovuto ad una bella medaglietta rossa ed oro che inorgoglisce più noi che lui. Ora che si fa, la mezza è passata da poco e non ne abbiamo abbastanza, vediamo cima Presena che ci fa l’occhiolino, si riparte carichi di voglia di fare, si scende rapidi, a mezza via prendiamo un traverso e poi su evitando gli sfasciumi. Si raggiunge la cresta e ci si diverte con bei passaggi facili, ma, cercando bene, si trovavano anche di più tecnici e delicati, sotto ad un sole che non molla nemmeno un minuto. Vediamo la croce che ci attende, la cresta è un semicerchio abbastanza lungo e si suda un poco ma è veramente un bel percorso che ci vede salire e scendere seguendo le rocce che strapiombano nude ed asimmetriche verso il basso. Arriviamo ad una sella di sfasciumi che seguiamo sul filo e poi ancora su, è l’ultima salita ritrovando nuovamente un poco di neve tra le rocce che ci accompagna soffice ed ingannevole alla seconda vetta della giornata. Siamo in cima, Davide spunta ovviamente da un altro lato, solita variantina divertente dice lui; è una giornata di grotte, racconta infatti di aver visto un ampio buco, dove probabilmente i soldati si riparavano, pieno di legno e filo di ferro arrugginito e lo ha pure fotografato! Io sono esausta e non riesco a godere molto di quanto mi circonda ma, con un poco di insistenza da parte di tutti, tocco la grande roccia della cima dove è fissata una croce metallica decorata da adesivi e nastri un poco consunti che sventolano leggeri sospinti dal vento continuo. Catenelle di piccole nuvole decorano il cielo azzurro e brillante, mentre in lontananza si infittiscono coprendo tutto e lasciando vedere solo le cime dei monti più alti. Un’altra sosta sulle rocce che spuntano tra la neve sotto la croce, tutti riprendiamo fiato, anche Oliver che si fa una dormitina tranquillo e poi giù diretti verso la sella già percorsa utilizzando i sentieri tra i muri a secco della guerra. Stride molto il fatto che casualmente il divertimento sulla neve più in voga di questi tempi sia stato organizzato anche in luoghi come questo che costituisce una specie di museo all’aperto sulla guerra, viene da ridere ma è una specie di Gardaland che si erge su bombe e filo di ferro ed io mi dico che siamo fortunati se anche solo una minuscola percentuale di chi frequenta le famose piste della Presena ha coscienza di quanto è successo, nemmeno cento anni prima, su questi monti spettacolari. Lontano la vallata in basso è dolce con le sue abetaie verde scuro, i prati ancora chiari e la linea del sentiero bianca e tortuosa; scendendo vediamo poco sotto le costruzioni attorno ai piloni della funivia, prendiamo il ghiacciaio e lo costeggiamo completamente fino al rifugio con i tetti arancio. E’ certamente un ghiacciaio anomalo, attrezzato solamente per il divertimento; strani teloni incongrui spuntano da sotto la neve, pare che servano per la conservazione del ghiaccio sottostante, elemento preziosissimo; guarda te pensiamo, quanto è bravo l’uomo a preservare ciò gli serve per aumentare il suo guadagno! Nel frattempo abbiamo superato il rifugio e sceso i pendii innevati che corrono fino alla scura costruzione dell’arrivo della funivia; una sosta prima di scendere a valle, io sono stanca quindi preferisco proseguire senza fermarmi e farmi raggiungere più tardi dagli altri che sono più freschi. Lungo tempo a ripercorrere a ritroso le piste inizialmente innevate e poi di soli sfasciumi che riportano al piazzale, ora non sono più visibili i monti appena scalati, rimane il ricordo negli occhi ed il viso che scotta dal sole della giornata. Vediamo le auto, siamo contenti, è pomeriggio inoltrato ma abbiamo ancora la possibilità di una sosta per un panino e delle chiacchiere di cui abbiamo bisogno per concludere degnamente il giorno che sta per finire. Tra un boccone ed una risata seduti in un bar assordante di musica e gente ci complimentiamo con noi per l’avventura che ha visto il GAL visitare due belle vette in una giornata sola e, prendendo a prestito una pubblicità di qualche tempo fa, certo è che “Two vette is meglio che one”!
Marina Livella
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