IL CASTELLO DELLE STREGHE

Cima Tosa      5  Agosto 2007

Sono i primi di agosto, dopo settimane senza nuove salite, finalmente Giovanni organizza una gita, Cima Tosa, sulle Dolomiti di Brenta.

            Partenza alle cinque del mattino, alle 7 e 30 siamo a Madonna di Campiglio, e poi su in Vallesinella, località che conosciamo bene e da cui siamo passati per altre avventure.

            Fa freddo mentre ci attrezziamo ma, camminando attraverso i boschi con passo energico mi ritrovo in canottiera; intanto il giorno si è fatto, abbiamo superato il rifugio Casinei immerso nei boschi e dopo un percorso abbastanza faticoso che ci spinge velocemente verso l’alto siamo in vista del rifugio Brentei; il sentiero si fa quindi pianeggiante e la vegetazione si riduce a grossi e bassi cespugli di pino mugo mentre il sole ha cominciato ad illuminare i monti attorno che, come sempre, mi attirano ed intimidiscono.

            Penso che non riuscirò mai a guardare i monti delle Dolomiti di Brenta senza avere un brivido; gruppi rocciosi immensi e vertiginosi di picchi aguzzi e creste frastagliate e che dire di quelle pareti lisce che spaventano ed attirano nel contempo, sai che sono impossibili per te ma non smetti di sperare che un giorno, forse, ne potrai guadagnare la cima. Sogni!

            Atterro, siamo davanti al bel rifugio Brentei, è aperto e colorato da parecchi gitanti, alle sue spalle il canalone Neri si mostra nella sua versione estiva, la neve è sparita e conserva solo alcune lingue di ghiaccio scurito che dal mezzo arrivano fin quasi all’uscita, lo fotografiamo, ed intanto progettiamo la bellissima salita che questa primavera con un poco di fortuna forse si potrà tentare.

            Oltrepassiamo la cappella adiacente al rifugio e proseguiamo lungo il sentiero piano che traversa sfasciumi ripidi sempre con il naso per aria ad ammirare pareti e vette; la giornata è limpida ed in alto il cielo blu conserva un’ombra di luna che non si decide a scolorare.

Dobbiamo andare svelti, la prima meta è la Bocca di Brenta e poi il rifugio Pedrotti; chiedo dove sia la nostra vetta e Giovanni mi dice che questa volta non è il monte più lontano, bensì quello che nemmeno si vede!

            Dopo essermi pentita per quella domanda così inopportuna tiro un sospiro e riparto, la sella è a vista e non mi perdo certo d’animo proprio adesso. Un ultimo sprint e ci siamo, al di là il panorama è adombrato da grosse nubi che velano l’anfiteatro di vette che ricordano cattedrali decorate con vertigini di pinnacoli; non ci preoccupiamo delle nubi, il bel tempo lo portiamo noi!

            Piccola sosta e poi giù che il Pedrotti è là che ci aspetta, ci tuffiamo nel grigio e, dopo aver superato di volata il rifugio scambiando solo poche frasi con una coppia simpatica, continuiamo il sentiero svelti, io sempre dietro tenendo d’occhio Giovanni che certamente non passa inosservato con i calzoni rossi e grigi, la maglietta da “parrucchiera” giallo sole ed un cappello da pescatore.

            Fotografiamo la sella da poco lasciata, minuscolo passaggio tra i giganti, confusa tra sbuffi di nebbia e cielo azzurro, siamo certi che il sole riuscirà pure lui a superare quel passaggio obbligato, tuffarsi verso il pianoro in basso, che pare un deserto di rocce candide, e risalendo con una perfetta gimcana da skate-board, illuminare tutto attorno.

            Il sentiero che percorriamo è piano e semplice tra candidi ciottoli da cava di marmo, passo dopo passo siamo in vista della “nostra” parete, pare impossibile ma Giovanni asserisce che è facile; comincia la salita che offre brevi arrampicate e fa dimenticare la monotonia del sentiero.

            Sentiamo il vociare di cordate mimetizzate sulle pareti attorno a noi e scambiamo quattro chiacchiere con un uomo che fa la nostra stessa via, certo è che questa salita non è in solitudine come il nostro carattere predilige.

            Finalmente dopo una divertente arrampicata siamo sotto al camino, unico passaggio che consente la salita al pianoro che porta alla vetta; sconsolati contiamo un grosso gruppo di ragazzi inesperti che hanno la precedenza su di noi, pare che passeremo ore ad aspettare il nostro turno.

Giovanni si guarda attorno, due ragazzi sono appena scesi in corda doppia da una paretina di fianco e quella fune è ancora li penzolante.

Ci guardano e dopo due parole, offrono gentilmente a noi la possibilità di usarla, Giovanni arrampica svelto tenendola in mano e raggiunge la sosta, io mi assicuro all’imbrago e lo seguo dando prova di una perizia che non pensavo di avere, salendo trovo sempre begli appigli  guardando con attenzione quella roccia solida che non inganna.

            Pochi minuti, poi restituiamo ai nostri salvatori la corda e li salutiamo sollevati con molti ringraziamenti, ora non resta che una manciata di metri di rocce per raggiungere il grande pianoro che, con lunghe terrazze, porta alla vetta.

            E’ veramente godibile quanto ci aspetta, avanti una moltitudine di gradoni di roccia solida di piccola difficoltà dove Giovanni sa trovare percorsi divertenti sotto al sole caldo che finalmente ci ha raggiunto e dietro un orizzonte spettacolare di vette che spuntano dalla nebbia.

            Siamo quasi arrivati, passiamo un piccolo laghetto verde attorniato dal ghiaccio, i gradoni di roccia si fanno più bassi, troppo presto ci troviamo sulla cima; anche la vetta è diversa in questa salita, grande come un campo di calcio e contrassegnata da una piccola Madonna bianca a guardia di quelle spettacolari montagne.

Tutto è grande lassù e ci troviamo a passeggiare tranquilli, si fa per dire poiché un vento freddo soffia implacabile, ammirando un panorama a 365 gradi di vette a perdita d’occhio, che spuntano da un mare di nuvole bianche come panna montata sotto ad un sole violento; siamo a 3160 metri d’altitudine, la vetta più alta delle Dolomiti di Brenta è stata raggiunta.

            Sono le 12 e 30 circa, abbiamo guadagnato la meta con un tempo veramente buono e possiamo quindi mangiare un panino cercando un angolo non ventilato; lo troviamo poco di là della cima, passando un lungo tratto di nevaio e girando sotto ad un muro di neve fino ad un piccolo traverso roccioso che strapiomba su di un canale.

            Un poco di relax con qualche risata e del cibo sperando che tutta le gente che popolava la vetta se ne fosse andata e ci permettesse un ritorno in relativa solitudine, ci prepariamo quindi al rientro attraversando la spianata parzialmente innevata e saggiando un canalino di acqua limpida e gelata che da i brividi per poi passare proprio davanti dall’uscita del canale Neri.

Ora avevo capito dove eravamo e la geografia del Brenta era, per quel tratto, impressa nella mia mente, vedevo dai miei scarponi strapiombare in basso il canale Neri che da molto tempo era nelle mie fantasie più estreme; abbiamo fotografato quel baratro di ghiaccio grigio e pietrame friabile immaginandolo completamente coperto di neve e ricominciando a progettare amorevolmente la sua scalata.

            Era tempo di rientrare, ora i gradoni di roccia erano da sperimentare in discesa e dopo un altro poco di crema solare, assolutamente necessaria, abbiamo ripercorso la via dell’andata lasciando la più bella, anche se poco accessibile, piazza d’Italia.

            Perdiamo tempo scendendo e chiacchieriamo tranquilli, vorremmo trovare campo libero dal grosso gruppo di ragazzini tedeschi già incrociati all’andata, invece quando siamo al primo terrazzino ci troviamo una bella fila davanti, Giovanni decide di scendere un poco fino alla sosta utilizzata a salire, buttare la corda e far scendere me calandomi. Grande divertimento e mia piccola prova di bravura, infatti, anche se assicurata supero tutte le difficoltà ed arrivo velocemente al secondo terrazzino dove attendo Giovanni che scende in doppia.

            Sempre assistiti da sole e salutando i simpatici ragazzi stranieri ripercorriamo a ritroso le rocce; ci fermiamo in basso guardando la parete di roccia che abbiamo sperimentato, e che ora non ha più segreti per noi, e ci soffermiamo pure ad ammirare tutte le spaccature ed i camini che nascono su per le pareti che si ergono attorno.

            Nuovamente il percorso pietroso e poi la lunghezza del sentiero in piano sotto ad un sole violento, siamo in vista del Pedrotti e già vediamo lassù in alto la Bocca di Brenta. Ci fermiamo per un momento al rifugio, bel edificio popolato da una grande quantità di gente che aveva appena finito di salire le vie ferrate che si trovano in grande quantità in quella zona.

            Si riparte, la via del ritorno è ancora lunga, la sella ci aspetta e lassù il vento colpisce freddo, salutiamo dall’alto il rifugio Pedrotti ed il vecchio rifugio Tosa che si erge solitario un poco più in basso poi affrontiamo il sentiero in discesa.

Arriviamo all’attacco della piccola ferratina che superiamo velocemente saltando alcuni escursionisti un poco inesperti ed utilizzando solo la roccia sennò non è poi così divertente; ancora il sentiero che velocemente ci porta nuovamente in vista del Brentei che troviamo ancora più affollato di gitanti della mattina presto.

            Lo oltrepassiamo di corsa, ci fermiamo per una bevuta ristoratrice alla fonte che sgorga un poco sotto e di buona gamba ripartiamo ed io talvolta mi volto indietro per salutare silenziosamente le incredibili vette che stiamo lasciando. Il sentiero pianeggiante corre rapido sotto ai nostri piedi ed arriviamo  ai boschi profumati, silenziosi e freschi.

            Un’ennesima sosta al rifugio Casinei, siamo in vacanza ed approfittiamo ampiamente del tempo che ci regala, ancora quattro chiacchiere e dopo poco siamo all’auto.

            Scappiamo velocemente da quel capolinea affollato di gitanti e partiamo alla ricerca di qualche cosa da mettere sotto i denti.

            Bella vacanza e ottima “passeggiata” che ci ha consentito di scoprire la più bella piazza d’Italia.

  

                                           Marina Livella