Cima Parrot 8 luglio 2007 4434 metri di quota, accidenti, il CAI questa volta mira alto; quando propongono Cima Parrot accetto subito, il Monte Rosa “mi manca” e provarlo con la loro bella compagnia mi pare ottimo. E’ sabato mattina alle cinque che, assonnata come non mai, arrivo per ultima all’appuntamento con il pullman, si parte veloci ed io mi addormento accanto a Davide. In un lampo siamo a Gressoney, certo mi sono persa tutto il bel paesaggio fino a lì ma svegliandomi ho l’immagine di un innevato gruppo montuoso che sovrasta il piccolo e piacevole paese dove ci sbarcano e dove ci ingegniamo a trovare qualche cosa da mangiare travolti da folti gruppi di turisti. Piazzette attorniate da case bianche e porticati antichi rinfrescati da poco e gerani vivaci e negozi pieni di prelibatezze che acquistiamo ridendo e chiacchierando rilassati. Si riparte per la cabinovia che porta al Gabiet a 2350 metri di quota, alcuni del gruppo, tra cui Marco, Riccardo e Stefano Jr., decidono di salire dal sentiero e partono veloci, li ritroveremo al rifugio Mantova, mentre noi tutti montiamo sulle cabine e ci godiamo il breve tragitto sorvolando grandi distese di abeti. Sono le 10 e trenta, il gruppo del GAL è numeroso, allegro e disciplinato, percorriamo quasi senza “varianti” la salita su per il sentiero che, dalla cabinovia, sale verso l’alto; la tarda mattinata è sfavillante di sole ed il cielo azzurro è terso come solo in alta quota può essere. Camminando faccio amicizia con una persona speciale, Rosa, con cui mi spiace non aver la possibilità di scambiare ancora qualche pensiero, è infatti stupendo quando incontri qualcuno con cui hai una bella intesa intellettuale; mi sono ritrovata a parlare d’arte e di vita a 3000 metri di quota come se ci conoscessimo da sempre. Fa veramente caldo, i monti attorno sono di sola roccia con minuscoli canali innevati, guardando indietro vedo una lunga processione di persone che percorrono i sentieri ed in fondo alla valle laghetti azzurri e malghe solitarie. Avanti a me vedo la neve, dopo aver lasciato Rosa, la deliziosa insegnante di Gallarate, mi ritrovo sola alla ricerca del resto del contingente GAL, allungo il passo e dopo poco il sentiero si tramuta in sfasciumi divertenti, piccoli avvallamenti innevati e salite un poco ripide che, forse per l’altitudine, mi fanno sbuffare. In alto c’è il grande edificio del rifugio Città di Mantova, posato su di un roccione, che mi aspetta, attorno le nuvole si sono un poco infittite ed i monti sono enormi. Arrivo finalmente al rifugio, siamo a 3498 metri di quota, Luca è già li che sbocconcella della torta che mi offre subito, accanto Davide che pare un gatto al sole. Attorno una grande quantità di gente che si gode il caldo, sono le tre circa e non sappiamo che fare ma, dopo esserci sistemati prevale la voglia di vacanza, non se ne parla più di camminare e ci mettiamo ad assaporare il sole, giusto in tempo per vedere le spettacolari evoluzioni di un aliante che ci offre, proprio davanti al rifugio, la visione di una temeraria virata che ci fa stare con il fiato sospeso. Lo vedo sparire e mi rimane dentro la voglia che da sempre è insita negli esseri umani, saper volare. Restiamo ancora un poco a guardare il panorama che è immenso, Luca mi indica il Monte Bianco, il Gran Paradiso ed il Monviso, a fatica ci scuotiamo da quel incanto anche perché il vento si è fatto freddo, non ci resta che passare un paio di ore in camera dormendo; quando ci svegliano è ora di cena, il nostro gruppo colora la grande sala da pranzo rivestita di legno chiaro e ci servono rapidi una cena che sparisce velocemente. Fuori fa freddo ma non manchiamo di scattare foto al ghiacciaio del Lys segnato da grandi seracchi ed al Lyskamm ed alle vette innevate tinte d’azzurro illuminate dagli ultimi e più bei raggi del sole che sta tramontando ed io, accanto al sottile crocefisso piantato nella roccia che sta a guardia del rifugio, bevo della grandezza che mi circonda e dentro di me ne vorrei essere veramente parte. Finiamo la breve serata con le battute di Livio e di Luca, le storie e le risate e dopo un minuscolo grappino che ci dividiamo Davide, Sauro ed io, si fila veloci a letto che le quattro e mezza della sveglia sono terribilmente vicine. Dopo un sonno inquieto, dovuto sicuramente all’alta quota, ci prepariamo in una notte che si sta rapidamente trasformando in alba e consumiamo una breve colazione. Partiamo, dopo aver fatto le cordate, immersi in un’atmosfera azzurrata che fa pensare di essere pesci in acquario, dietro a noi l’alba colora di fiamme rosa chiaro il cielo, fa molto freddo, ma avviandoci ci scaldiamo subito, la nostra cordata, con Davide in testa è la seconda ed io sento dietro a me la presenza della dolce Sara e di Andrea e penso che non avrei potuto avere compagni migliori. Il pendio è ripido ma non molto faticoso e vediamo la sella farsi sempre più luminosa, si percorre poi un lungo traverso costeggiando un enorme roccione che sbuca bizzarro dal candore immacolato della neve. Il cima Lyskamm ora è limpida ed illuminata dal sole, la curva sottilissima della sua cresta est sembra impossibile, la immortaliamo durante una breve sosta ammirando le turbolenze delle nubi che giocano alte nel cielo creando effetti magici. Sopra le creste dei monti il vento alza enormi vele di neve che si solleva in turbinii ghiacciati ed io, affascinata, fatico a seguire gli ordini delle cordate e mi ronza in testa il logo della Biennale di Venezia appena visitata, “pensa con i sensi e senti con la mente” e capisco che è esattamente quanto succede in montagna, quando tutte le convenzioni sono ribaltate e reinventate e sia la mente che i sensi giocano nuovi ruoli ed hanno una più delicata percezione. Siamo sotto Punta Parrot, Sauro devia a destra, il programma invece dice a sinistra, vediamo sparire la sua lunga figura con al seguito il secondo di cordata; lo rivedremo più tardi in vetta. Noi proseguiamo, fa molto freddo e siamo ansiosi di lasciare il lato che stiamo percorrendo poiché si trova in ombra. Il mio fiato è un poco corto ma mi sento bene, talvolta ci fermiamo mentre Davide riprende con la cinepresa la nostra avventura. Ancora una salita, troviamo il sole ed è una consolazione, vediamo la famosa nord del Lyskamm, grande sogno di Giovanni, è una stupenda parete innevata che intriga. Arriviamo ad un grosso roccione, la vetta è appena sopra di noi, ci fermiamo al suo riparo, il vento lì non ci colpisce così forte e mangiamo qualche cosa riposandoci. Attorno un colpo d’occhio di vette che si stagliano nell’azzurro, più in basso la curva a gomito del ghiacciaio del Lys orientale, di fronte a noi il piccolo bivacco Felice Giordano, lontano una cresta con minuscoli alpinisti che la percorrono e poi nubi basse che coprono tutto lasciando solo le cime a memoria di una grande quantità di catene montuose. Ancora poco mi dicono, si riprende il cammino calpestando neve in cui sono incastonati brillanti che riflettono la luce in mille colori; affrontando nuovamente il vento ed il freddo intenso arriviamo alla vetta a 4434 metri di altitudine, le nostre cordate sono le prime della giornata. Complimenti ed abbracci e la vista del nostro Sauro che tranquillo sta già prendendo la discesa; diavolo di un uomo, chissà come mai ma è sempre un passo prima di noi! Non c’è possibilità di attendere il resto del gruppo, il freddo molto intenso ci spinge via, Sauro asserisce che la via migliore per la discesa sia quella che lui ha appena sperimentato salendo, quindi ci avviamo, passando una crestina facile, verso un punto dove vediamo alpinisti indaffarati. Troviamo una bella paretina non troppo ripida e con neve solida, Davide valuta la situazione ed attrezza una sosta per la nostra calata, forse non necessaria, ma la prudenza non è mai troppa. Scendiamo in compagnia tra risate e fotografie, tanta è la semplicità di quella discesa che ci “dimentichiamo” le corde che ritroviamo penzolanti tra di noi mentre scendiamo fiancheggiando un roccione rossastro e spoglio di neve. Ed ora che si fa, guardiamo Davide, non siamo stanchi ed abbiamo ancora voglia di fare; lui indica un bel panettone un poco lontano e noi lo seguiamo, altra salita ma non sentiamo molto la fatica nelle gambe, semmai è il fiato che è sempre un poco corto. La vetta non si fa attendere, siamo a 4342 metri e si chiama Ludwigshole ed anche se un poco più bassa della Parrot lo spettacolo che ci regala è immenso. Non ce ne andiamo prima di aver fatto foto al gruppo con la bandiera del Cai di Lumezzane che il previdente Pierino ha portato con se. Sono le nove circa, ora si deve assolutamente tornare, si scende; prima di riprendere le tracce del rientro ci regaliamo una breve salita al bivacco del “Redentore”. Una godibile paretina attrezzata con corda e scalini su roccia viva che porta ad un bivacco ed alla imponente statua nera che, a braccia alzate, veglia sugli alpinisti che scalano quegli ostici monti. In alto grosse nubi stanno occupando il cielo azzurro e pensiamo che le previsioni di brutto tempo pomeridiano siano veritiere. Ora si deve proprio rientrare, a malincuore ci avviamo, dobbiamo raggiungere la lunga fila dei nostri compagni del CAI che stanno scendendo mentre davanti a noi vediamo le vallate verde scuro di vegetazione così diverse dal nostro mondo immacolato e gelido. Ci uniamo a loro, e sono ragguagli e pareri che ci scambiamo a vicenda sulla vetta appena discesa; gli occhi che incontro sono luminosi e penso che, oltre alla Parrot, anche la vetta della nostra felicità è stata raggiunta. Ci raccontano che pochi sono tornati indietro, ed il nostro impagabile Riccardo si è preso carico di accompagnarli al rifugio. Scendendo rivediamo l’enorme muro spaccato che ci aveva affascinato salendo, strati e strati di ghiaccio scurito dal tempo e segnato da grandi tagli, pareva di vedere un contorto ghiacciaio verticale. Unico neo della discesa è il piccolo incidente occorso a Rinaldo, una storta dolorosa che Andrea, ottimo terapista, sistema in breve tempo; il nostro Rinaldo è nuovamente in onda e riuscirà senza molte difficoltà a seguire il gruppo fino al paese. Nella facile discesa verso il rifugio Mantova vediamo chiaramente la Capanna Gnifetti che resta a breve distanza dal nostro rifugio di partenza che raggiungiamo sotto ad un cielo che si sta facendo sempre più rannuvolato. Un breve momento di riposo per recuperare le poche cose lasciate indietro e per qualche impressione sulla salita mentre per l’ennesima volta Carlo, ottimo capo gita, controlla che tutti siano arrivati; a piccoli drappelli ce ne andiamo verso il sentiero che porta alla funivia. Non passa molto tempo che la pioggia fa la sua comparsa, fitta e persistente, non ci lascerà che quasi all’arrivo della funivia dove ci lasciamo tentare da una piccola sosta ristoratrice in un rifugio sovrastante le cabine di discesa. Ritroviamo Beppe con la moglie Santina, loro nel frattempo hanno fatto salite nella zona, ci riempiono di domande a cui rispondiamo con dovizia di particolari, sappiamo quanto lui sia partecipe alle avventure che vedono il nascere nella sede del CAI che lui presiede con particolare passione. Breve discesa con la cabinovia e poi siamo al pullman, si parte che il rientro è lungo. Una sola sosta, di fianco ad un autogrill, le energiche donne del CAI hanno una bella sorpresa in serbo, salame, formaggio, vino e poi torte deliziose, si riparte sazi e veramente felici, l’avventura è finita. Un ringraziamento e tutti i primi di cordata che ci hanno dato la possibilità di vivere in tranquillità questa bella esperienza ed un pensiero a tutte le donne del gruppo che hanno, come sempre, ribadito quanto la nostra “categoria” possa fare in montagna. Ed anche se io so per certo che, con le mie piccole parole, non sarò mai in grado di raccontare veramente la montagna, vi regalo questo e vi saluto ringraziando dell’aiuto e dell’amicizia il CAI di Lumezzane ed i miei unici ed inseparabili compagni del GAL.
Marina Livella
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