Cima
Montozzo 11 febbraio
2007
Altra
avventura per il bel gruppo del GAL, altra esperienza votata
all’esplorazione, attività che ultimamente è tra le preferite.
Certo, la meta c’era, il Torrione d’Albiolo, ma sicuramente passibile di
variazioni di ogni tipo a seconda del tempo, della neve e
dell’ispirazione dei componenti della compagnia.
Partenza alle sei di mattina, si recupera il resto dei partecipanti
lungo la strada che si dirige verso Ponte di Legno. Nel dormiveglia
riesco a vedere l’alba che pare preannunciare una giornata di sole, si
vedrà.
Siamo
una bella compagnia, Carlo, Davide, Marco, Giovanni, Samuele, Sergio ed
incredibilmente tre femmine, Loredana, priva di Stefano vittima di un
piccolo malanno di stagione, Paola, un nuovo acquisto che speriamo
definitivo ed io. Non per ultimo “l’amico dalla bandana rossa”, Oliver,
il miglior cane alpinista che esista.
Sempre i soliti paesi silenziosi della domenica all’alba e poi Ponte di
Legno, quindi si taglia per Pezzo e su sperando di avvicinarsi il più
possibile a quell’incredibile villaggio che si chiama Case di Viso.
Purtroppo ci dobbiamo fermare prima poiché la strada è interrotta dalla
neve, parcheggiamo, ci attrezziamo e su tranquilli verso il villaggio,
sono le otto e trenta. Lungo la strada avevamo potuto notare che la neve
era praticamente inesistente, magra storia per noi che la ricerchiamo
sempre, ma, verso Case di Viso a 1760 metri di altitudine, abbiamo
cominciato a trovarla sempre più abbondante e ci siamo rinfrancati.
Tra
una risata e l’altra ci avviciniamo finalmente al paesino completamente
spruzzato dalla neve ed è uno stupore osservare le case rustiche a tal
punto da parere una vecchia fotografia dei primi del secolo scorso,
dolci e incongrue, senza fili dell’elettricità né stupide paraboliche
per la televisione, con minuscole finestre e bizzarri balconcini di
legno.
Ci
ripromettiamo una visita durante l’estate poiché questo villaggio è
meritevole di un secondo passaggio molto più attento, ci si trova
infatti catapultati in un’altra dimensione grazie al miracolo operato da
chi custodisce il Parco dell’Adamello.
Proseguiamo il percorso, prati bruciati dal freddo e privi di neve, i
monti spogli dove il bianco è fissato esclusivamente nei canali. Noi li
osserviamo attentamente cercando alternative al sentiero che stiamo
calcando, si vuole un’idea.
Raggiungiamo un pianoro, finalmente si nota un canale che sale diretto
verso la cresta sud-ovest della Punta del Montozzo, vetta che arriva a
2860 metri di altitudine, è abbastanza largo ed innevato da essere
fattibile, il cielo intanto si è fatto completamente grigio e le nuvole
offuscano il disco del sole che pare piombo brillante, non sembra vero
che il tempo non sia clemente con noi. Sergio è come al solito il
brontolante ultimo della fila, ma è il diesel del gruppo, quando poi si
mette veramente in moto non lo ferma più nessuno, certo bisogna fare i
conti con le sue partenze sempre un poco depresse, ma quattro risate
aggiustano tutto.
Comincia la salita, facile, la neve non è assestata quindi troppo
morbida, e vedere i lati coperti di erba brulla e bruciata non è bello
ma si va avanti, speriamo che alzandoci di quota il paesaggio ed il
percorso migliorino.
I
ragazzi avanti si alternano a far traccia, il pendio non è scosceso e
non fa freddo, si levano i pile e si suda abbondantemente.
Chi
si diverte sicuramente di più è Oliver che corre su e giù per i pendii
come un matto, e Giovanni confessa di sentirsi in colpa, è un bel pezzo
che non lo porta in montagna e lui sa quanto quel cane sia felice in
quell’ambiente.
Il
canale si fa stretto e tortuoso, la neve più cedevole e sottile, sotto,
le rocce scivolose, rendono il percorso difficile e faticoso. Ci
vediamo costretti ad indossare i ramponi, passiamo dei gradoni non
agevoli ed arriviamo ad uno slargo del canale.
I monti attorno sono imponenti, in alto il cielo è sempre terribilmente
grigio, è tardi e sta sfumando l’idea di arrivare all’Albiolo, cerchiamo
uno sbocco per proseguire il cammino utilizzando qualche cosa che non
sia il sentiero.
Improvvisamente ci sentiamo osservati, alziamo lo sguardo e sopra ad un
alto dosso vediamo un camoscio, ci osserva incuriosito ed
altezzoso, non ci teme e ci tiene d’occhio per lungo tempo.
Il canale
prosegue e noi continuiamo la salita che si fa sempre più ostica, gli
altri veloci come sempre mentre Giovanni ed io fungiamo da tramite tra
loro e Marco e Paola un poco indietro.
Carlo, sempre attento, ritorna sui propri passi per
controllare che tutto sia a posto, Paola è forse un poco affaticata e
lui si preoccupa; bello sapere quanto il suo pensiero sia sempre rivolto
a chi è nuovo alla montagna; proprio un maestro nato.
Arriviamo ad una sella, la neve si è fatta alta ed il cielo azzurro
pallido, forse c’è speranza di bel tempo, Paola e Marco sono un poco
sotto di noi e ci teniamo a vista.
Piccolo consulto mentre il freddo diventa intenso ed il vento più forte,
che fare ora, questo il problema, ci guardiamo attorno, inaspettatamente
notiamo all’orizzonte una spaccatura orizzontale nel grigio assoluto, è
azzurro, quello forte e vero e la felicità è grande.
Ora
tutto attorno è bianco ed immacolato, siamo solo noi e tutto il mondo è
nostro, ridiamo e ci abbracciamo, certo non è una vetta ma siamo proprio
al massimo.
Finalmente una decisione, presa di concerto dai nostri impagabili
uomini, puntiamo un canale che si arrampica a nord dopo una valletta
piana sommersa dalla neve e sale verso una cima non ben identificata,
rocciosa e scoscesa. Esplorazione, questo è il divertimento.
Si
riparte, bello vedere avanti Davide, Samuele e Sergio diavoli tutti
abbigliati di rosso che colorano allegramente il paesaggio, Giovanni ed
io un poco dietro attendiamo alla sella l’arrivo di Paola e Marco che
hanno deciso di prendere direttamente per il rifugio Bozzi, costruzione
che ammiriamo dall’alto, solitaria e brillante incastonata in una
distesa di neve immacolata.
Il
sole nel frattempo ha preso a splendere limpido e il grigiore è stato
rimpiazzato dall’azzurro a cui siamo abituati e che rende la neve ancora
più candida ed abbagliante.
Questa parte della salita è più ripida ma agevole, la neve è migliore
anche se il vento non molla e ci frusta violento. Avanziamo rapidi
perché vogliamo raggiungere i nostri amici che vediamo in attesa alla
sella, ci gridano che la vetta si può fare e siamo entusiasti, anche per
questa volta abbiamo una cima da raggiungere.
L’arrivo alla sella è tempestoso, Oliver già cerca il modo di
oltrepassare i grossi massi che gli sbarrano la via per raggiungere gli
altri. Il vento furioso non ci da pace e talvolta pare spingere a terra,
cosa da non permettere quando si è in bilico su di una cresta affilata.
Quindi mano alla piccozza ed attacchiamo quella breve salita di misto
che già sappiamo essere il pezzo più divertente di tutta la giornata.
Pareva impossibile dal lato della salita, ma ora, cambiando versante,
quello spuntone innevato e con massi che sbarravano la salita rendendolo
difficile al punto giusto si rivela una vera sorpresa.
Nel
frattempo, tra gli applausi di tutti, Oliver, dopo aver annusato,
valutato e molto tentato arriva trionfante in vetta. Oramai quel cane
non appartiene più solamente a Giovanni ma a tutto il GAL che lo
considera veramente parte del gruppo.
Breve
salita ma entusiasmante, le rocce sono instabili ed è tutto un gioco di
equilibrio e di abilità, la cima è piccola ma ci permette foto ed
abbracci che finiscono presto in quanto, nonostante il sole sia oramai
alto nel cielo, il freddo ed il vento non ci permettono di sostare a
lungo.
Siamo
fortunati, la cresta di discesa prosegue abbastanza facile, ma è tardi e
lasciamo ad una prossima volta l’ulteriore esplorazione ed il Torrione.
Ci accontentiamo di scendere dalla cima e seguire Davide che ha deciso
di imboccare il canale che si dirama dalla cresta sud-est e porta
direttamente al pianoro del rifugio.
E’
ripido e stretto, nessuno contesta la decisione, troppo il freddo ed il
vento, ci immettiamo nel canale e cominciamo la discesa avanzando a
ritroso ed il più velocemente possibile tra le raffiche di vento.
In
basso vediamo il rifugio Bozzi con i suoi muri di pietra e le ante rosse
e bianche, la nostra prossima meta, attorniato dai ruderi della guerra
restaurati dai nostri ottimi alpini; penso infatti che la memoria non
debba mai mancare dove la mano pesante della guerra ha toccato
l’umanità. Incredibile il pianoro e la valle sottostanti, un’immensità
di dune e piccole creste candide appena sporcate da punte di rocce che
paiono dipinte da un maestro divino. Alle nostre spalle il blu intonso
del cielo e davanti una turbolenza di nubi bianche che lottano con il
sole e l’azzurro sopra ad una cerchia di montagne che pare non finire
mai.
Grandi risate con Sergio e Giovanni scendendo nonostante il gelo. I
ragazzi trovano persino il tempo di darmi una “lezione di discesa” di
cui sono veramente grata.
Siamo, da buoni ultimi, finalmente nella valle, i nostri compagni sono
avanti, risaliamo la china ed improvvisamente vediamo le tracce che
stiamo seguendo andare nell’infinito e tuffarsi nel cielo agitato dal
vento. Restiamo ammutoliti ad osservare la scena e viene da domandarsi
come la natura, regista di tutto questo, possa ancora stupirci come
fossimo bambini.
E’ il
vento, ancora una volta a scuoterci ed a spingerci avanti, seguiamo i
muretti appena visibili delle costruzioni militari ed arriviamo al
rifugio.
Ora
siamo riuniti, una piccola sosta per rinfrancarci e ridere di tutto poi
via che il percorso è ancora parecchio ed il freddo veramente forte.
Lasciamo quindi il solitario rifugio Bozzi e riprendiamo la discesa
coperti da tutto il vestiario che avevamo a disposizione, scendendo
salutiamo la nostra vetta senza nome che ha saputo darci il sapore
d’alpinismo che altrimenti ci sarebbe mancato e le rocce tutte attorno a
noi, curiosamente coperte da bizzarri licheni giallo senape.
Si
percorre quello che pare il sentiero, non siamo molto stanchi e si
chiacchiera camminando, ad un certo punto sento un richiamo, Giovanni,
il solito diavolo mi chiama, Davide e lui hanno trovato la solita “variantina”,
così, giusto per vivacizzare la discesa.
Mi
ritrovo a sbuffare giù per un canale stretto ed innevato che rotola fino
al vallone che ospita il villaggio di Case di Viso. Discesa simpatica ma
difficile con neve troppo morbida e rocce traditrici ma aiutata da rami
ed erba che spuntando fortunosamente ai lati facilitano la discesa. Tra
accidenti e risate si arriva in fondo, Giovanni e contento di avere
scoperto una “uscita di sicurezza” che non conosceva.
Siamo
tra i piccoli edifici delle Case di Viso, tolti i ramponi ci avviamo
verso le auto, ora i vento ha smesso di soffiare e i nostri visi sono
arrossati ma felici.
Un’altra bella esperienza da annoverare, ci fermiamo a mangiare una cosa
che è già buio e poi si fila a casa, oggi abbiamo visto l’infinito con i
nostri occhi umani, non poca cosa a pensarci bene.
Marina Livella
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