IL CASTELLO DELLE STREGHE

Cima Groste       2 Aprile 2007          

Sono tornata, ho sistemato l’attrezzatura, non ho sonno, vero,  sento molta stanchezza ma mi ritrovo testardamente davanti al PC a scrivere, il fatto è che tutte le esperienze in montagna sono fantastiche ma ce ne sono alcune che rimangono dentro, impresse a fuoco, tatuaggi indelebili che  riconosci come incancellabili.

Ed io quindi sono qui a testimoniare con piccole parole un altro tatuaggio che segnerà per sempre il mio cuore, Cima Grostè.

Partenza alle sei di mattina, Davide, Sergio ed io. Si recupera Giovanni a Sabbio Chiese e via destinazione Madonna di Campiglio. Quando sorge l’alba si intuisce che la giornata è splendida, passiamo paesi deserti ed arriviamo al Passo Campo Carlo Magno, a circa 1700 metri di quota, sono le otto, poca la gente intorno, ci attrezziamo svelti e partiamo.

Imbocchiamo l’attacco della Pista Grostè quasi deserta e perfettamente innevata, attorno si erge il gruppo del Brenta con la maestosità che ho imparato a conoscere ed apprezzare. Il sole è sorto luminoso, il cielo è azzurro pallido, scatto delle immagini ai monti rocciosi impreziositi dalla neve ed ai miei compagni, Davide e Giovanni sui loro sci e Sergio che assieme a me li segue a piedi, so già che anche le fotografie saranno azzurre e un poco sfocate esattamente come tutto intorno a noi, una specie di sogno ovattato e silenzioso.

La salita è lunga, cominciare è sempre molto duro, la pista che percorriamo è piatta ed attorniata da boschi di abeti radi ed ordinati, si parte e si vedono i primi sciatori da pista.

Non molto piacevole il percorso inizialmente, mi pare di essere fuori posto, goffa, con il mio grosso zaino e gli scarponi attorniata da gruppetti di elegantissimi sciatori che sfrecciano veloci lungo la pista. Una domanda mi frulla in testa: “cosa diavolo ci faccio qui io?” L’unica consolazione era permettere a Giovani e Davide di fare una bella sciata su piste famose meta di ogni sciatore che si rispetti.

Il cielo intanto diventa sempre più blu tratteggiato da sbuffi di nuvole candide e,  molto di frequente, tagliato dalle linee decise del passaggio di aerei. Arriviamo, dopo salite ripide, al rifugio Graffer colorato da tanta gente, dopo un’occhiata si prosegue, è molto strano per noi passare parte della domenica attorniati da una così inopportuna quantità di persone.

Nuovamente su che la pista è lunghissima e dobbiamo percorrerla completamente senza badare alle grosse cabinovie che ci passano sopra alla testa ed agli strani sciatori di snowboard che paiono manichini quasi inanimati incollati a quegli enormi stecchi di ghiacciolo.

Ridendo e chiacchierando finalmente arriviamo alla casina che pone termine alle piste. Ora anche Davide, che aveva attaccato la salita deciso e con poche parole, è sorridente come sempre; sono certa che sia molto difficile il percorso con gli sci e lo capisco perfettamente, la parola d’ordine, asserisce, è risparmiare le forze che poi la discesa sarà più facile e godibile.

Ammiriamo e fotografiamo la nostra meta che da tempo vediamo distante, un bel canale che porta verso la vetta, da lontano pare perfetto e si notano sciatori che lo percorrevano. Abbiamo quasi fretta di arrivare lassù, ma si fa una piccola sosta ridendo come matti di tutto prima di ripartire lungo la spianata frammezzata da rocce, che porta all’attacco del canale.

Le 12 e mezza, ora di riprendere il cammino, la spianata ci aspetta piena di trappole nascoste dalla neve non abbastanza assestata. Giovanni e Davide partono galleggiando sugli sci e mi sento un poco gelosa di loro anche se condivido le difficoltà con l’ottimo Sergio.

Si passa il lungo percorso affondando nella neve morbida ma, tutto sommato, ce la caviamo molto più agevolmente del previsto; avvistiamo gente che tenta il nostro stesso itinerario ma in cuor nostro speriamo che ci ripensino e se ne vadano, il bagno di folla a cui abbiamo dovuto sottostare all’inizio è certamente il massimo che potevamo tollerare, ora avremmo bisogno di una vetta solitaria, si vedrà!

Ammiro da lontano i miei compagni fieri e felici sopra ai loro sci con quei grossi scarponi gialli che mi paiono durissimi, arriviamo ad un roccione dove Davide li “parcheggia”;  ora che ci siamo riuniti non resta che attaccare il canale.

Pare tranquillo, non troppo ripido, largo e ben innevato. Giovanni pregusta già la discesa con gli sci che gli spetta al ritorno e sorride soddisfatto. E’ veramente carico di tutto, sci, corda, attrezzatura da arrampicata, ma nonostante questo attacca per primo la salita. Io mi sento molto bene e dopo un poco gli chiedo di andare avanti, il canale è ancora lungo ma ho voglia di faticare e lui con un sorriso soddisfatto mi cede il passo.

La felicità che procura fare tracce è sicuramente inspiegabile, la gente che va per montagne è un bizzarro clan che sa di cosa parlo, ed anch’io sto capendo come le sensazioni che si percepiscono  in situazioni di questo tipo non hanno paragoni e ripagano ampiamente della fatica.

Sotto sento le voci dei miei compagni che mi chiedono se va tutto bene, io sono tranquilla, con piccole soste e passando un bel traverso facile li ho portati fino alla sella che puntavo già da un poco, bianca linea decisa che taglia di netto il cielo blu pervinca.

Finalmente arrivati, la curva perfetta della neve sopra la sella è dolcissima e dietro la sorpresa di una terrazza che si affaccia come un balcone sul Brenta, una immensità di vette e pinnacoli rocciosi poco innevati che fanno bene al cuore e l’unico desiderio è restare per sempre li sotto al sole ad ammirare la forza della natura dispiegata davanti a noi indifferente e bellissima.

Scossa dall’emozione ho ricevuto i complimenti dai miei amici e, ritrovata la tranquillità ci siamo guardati attorno. Il canalino notato salendo arriva dritto alla vetta ed è scosceso ed innevato a sufficienza per provarlo, Sergio senza arrivare alla sella si è già avvicinato e si appresta a percorrerlo.

Anche Davide e Giovanni decidono di tentarlo, è la via normale per Cima Grostè dicono, ma tutto mi pare meno che un percorso normale quello che ci apprestiamo a salire, un canale stretto e ripido ficcato tra rocce che speravamo solide.

Risaliamo la sella per un tratto poi scendiamo all’ombra della vetta, tira un vento cattivo che non smette mai, passiamo un traverso e poi siamo vicini alle rocce, Sergio, svelto come un gatto è già salito utilizzando le rocce fino ad una specie di sosta e ci guarda fare il percorso gridandoci come procedere.

Sono circa 50 metri di canale e intuisco che non sarà facile.

La neve non è molto solida, Davide parte per primo e con calma comincia la salita, io lo seguo sotto lo sguardo di Giovanni, il mio angelo personale che torna indietro per prendermi un paio di guanti di riserva quando nota che i miei sono troppo bagnati.

Ora sotto le rocce, che delimitano il canale dal basso, Giovanni mi precede, vedo Sergio in alto che ci osserva e Davide che sale appesantito dagli scarponi da sci attrezzati con i ramponi. Un altro piccolo traverso, Sergio grida che serve una corda, Giovanni la passa a Davide che prosegue la salita e la porta su, vengo assicurata e finalmente parto anche io.

Avevo trascorso tutto quel tempo fotografando i miei compagni e pensando che non sarei mai riuscita a passare quel canale senza aiuto ed invece quando mi è stato detto di partire ho abbassato l’interruttore, ho smesso di pensare ed ho agito istintivamente. Nella testa mi ronzavano solamente tutti gli insegnamenti che pazientemente in questi mesi mi erano stati impartiti e sono salita senza aiuti e, quasi agevolmente, sono schizzata davanti a Sergio con un grido di gioia e di incredulità.

Non è finita, ancora un piccolo tratto delicato e poi finalmente la vetta, il sole ed i visi sorridenti dei miei amici come premio per quella bellissima salita. Siamo a 2900 metri abbondanti di altitudine.

Dopo più di due ore di canale ecco la cima in perfetta solitudine, sferzati da un vento gelido ammiravamo il panorama dei monti illuminato dal sole. Qualche fotografia a noi stessi, alla bella croce di ferro della vetta ed al panorama brillante mentre ritrovo il fiato e l’ordine nella mente scossa da quella grande emozione. Purtroppo l’urgenza di scendere é grande, abbiamo fame e freddo e sappiamo che il ritorno da quel canale non sarà stato semplice.

Sergio si offre di calare Davide e me per primi e poi Giovanni si prende l’onere di calare lui e scendere con una doppia.

Il ritorno un poco difficile, io talvolta aiutata dalla picca di Davide sotto lo scarpone, fino alla roccia eletta a sosta e dove è stata lasciata la corda e poi nel freddo più intenso la discesa.

Un grande brivido vedere il passaggio di Davide sul piccolo traverso di roccia liscia che porta a quello lungo e ben innevato verso la sella soleggiata, lunghi istanti con il cuore fermo in gola, non per me, io ero ancora assicurata, ma per lui naturalmente!

 Poi rapide e continue occhiate al ritorno di Sergio e Giovanni che per metà è sceso senza corda e, finalmente, con un sospiro di sollievo, me li sono trovati di nuovo attorno a scaldarci sotto al sole sulla terrazza della sella.

Sono quasi le cinque, il tempo che rimane è poco, ora per Giovanni è tempo di sci, noi partiamo. A metà del canale lo aspetto per immortalare la sua discesa, è bravo.

Siamo al roccione, anche Davide riprende i suoi sci e ripercorriamo la spianata chiacchierando tranquilli, per Davide e Giovanni è arrivata l’ora di una bella sciata.

Alla casina scopriamo che gli impianti sono già chiusi, fantastico, tutta la meravigliosa pista del Grostè è di nostra unica proprietà. Il sole, nel frattempo, si sta impegnando nel più bel tramonto che gli sia dato di fare e, mentre Sergio ed io scendiamo a piedi, vediamo i nostri due compagni esibirsi per noi, unici spettatori, in bellissime evoluzioni felici come ragazzini.

Centellinando la discesa ed accontentando il mio desiderio di tentare fotografie al loro sfrecciare elegante arriviamo al termine dei pendii. Nuovamente il lungo sentiero pianeggiante che pare non finire più, Sergio ed io occupiamo il tempo chiacchierando tranquilli.

Il buio ci prende che siamo quasi alle auto, un rapido cambio di abiti e poi alla ricerca di qualche cosa da mettere sotto ai denti che due frittelle non sono certamente sufficienti.

Un panino a Pinzolo e poi via a casa, dopo dieci ore di montagna l’unico desiderio per le proprie ossa è un letto comodo.

Grande salita oggi, il tatuaggio è li fisso ed indelebile, non sarà certamente l’ultimo grazie ai miei insostituibili amici.

                                           Marina Livella