IL CASTELLO DELLE STREGHE

Cima Frerone         22 gennaio 2007        

Noi quattro Carlo, Davide, Giovanni ed io, il meteo dava tempo terribile ma alle 7 e 30 quando arriviamo in Gaver e ci prepariamo non fa freddo ed inaspettatamente l’alba è luminosa e prospetta una giornata primaverile, la meta è Cima Frerone, vista diverse volte ma mai sperimentata.

            Lungo la salita che percorriamo sul bordo delle piste da sci spelate e ghiacciate possiamo ammirare il giorno che nasce ed esibisce colori sfavillanti, tutto perfetto. Sbuffando come sempre (sic!) arranco dietro ad i miei impagabili compagni d’avventura. Giovanni mi parla di un dislivello tranquillo 1200 metri, troppo poco per fidarmi, con lui le sorprese sono sempre pronte, si vedrà.

            Passiamo il goletto di Cadino, poca neve ma sufficiente per farci avanzare con allegria, poi la bella malga di Cadino vista dall’alto e via su per il sentiero del Passo dell’Asino che non raggiungiamo perché deviamo prima.

            Lungo la via incontriamo un gruppetto di escursionisti muniti di cani e ciaspole che probabilmente stanno rinunciando alla salita, la neve non è certamente giusta per loro, picca e ramponi sono le sole armi adeguate per affrontare i monti che si possono ammirare salendo.

            La spianata è come sempre bianca ma la neve è traditrice, il cammino è faticoso e si sprofonda molto, fa caldo e mi ritrovo in maglietta, chiazze enormi di erba arsa dal sole e dal gelo fanno capolino ovunque su per i pendii dei monti che salgono ai nostri lati.

            Tagliamo a destra sotto le creste che da nord scendono al passo ed è tutto un su e giù assolutamente illogico ma divertente con la bella piana innevata che si staglia sotto di noi. Attorno una vertigine di bianchi lucidi, blu intensi e marroni, i monti quasi spogli di neve ne conservano solamente lungo ai canali, molti dei quali ci paiono fattibili.

La nostra meta rimane comunque un canale che tra un poco raggiungeremo. C’è tempo dice Giovanni e quindi si rimanda l’arrivo con una serie di saliscendi per dossi che non pare giusto trascurare, come pure non saltiamo nessuna delle roccette che ci si presentano, bastano pochi appigli e poca roccia per tentarci.

Carlo cerca talvolta di ricondurre lo zoccolo duro del G.A.R.R.L. verso la parvenza di sentiero che si scorge camminando ma viene trascinato da Davide e Giovanni che non ne vogliono sapere, lui sorride e segue volentieri gli strani percorsi che gli vengono proposti.

Declama Giovanni convinto: “percorsi improbabili ma con meta certa!” forse questo è il vero motto dello strano gruppo che mi ha adottato.

Siamo felici, abbagliati da un sole che non da pace attacchiamo le prime salitelle vere, la neve è sicura anche se troppo ghiacciata ma non importa, si va su tranquilli che il canale ci aspetta, il Blumone ci guarda, nudo di neve, molto diverso dai primi di gennaio quando era nero di notte e di bufera e lucido di ghiaccio.

 Dosso dopo dosso, alcuni con discese sfavillanti di neve che paiono impossibili da percorrere ed altri brulli e spelati, si scende sotto la parete, facciamo un traverso ottimamente innevato che ci permette di ammirare lo spettacolo di pendii lustrati da un ghiaccio compatto che sole e vento hanno trasformato in un pavimento increspato.

Finalmente il canale con una partenza molto ampia, inizialmente molta neve che in alto si riduce mostrando inclemente rocce ed erba, si, è fattibile e si parte, alle nostre spalle ammiriamo nuvole che coprono tutto e che ci parlano di nebbia sicura in basso. Ci sentiamo privilegiati e fotografiamo quell’incredibile mare grigio perlaceo che lascia spuntare isolette solitarie, altro non sono che cime di monti non molto identificabili ed in fondo altri più distanti incollati al blu cupo del cielo striato di nubi.

Dopo un poco mi rendo conto che il canale è abbastanza ripido, ci divertiamo anche se non è proprio il massimo mi dicono; sul percorso frequentemente i miei compagni devono decidere le varianti da prendere, non è innevato a sufficienza ma è bello superare quei due passaggi su roccia che si presentano, io con un poco di difficoltà ovviamente, ed una bella cascatella di ghiaccio vivo che io non affronto ma che gioia vedere Carlo e Davide salire, belli, sicuri e felici di quella sorpresa che non si attendevano.

Alzo gli occhi, una sella, la punto e la raggiungo, poche rocce sporcate da erba rossastra sulla neve ed un’altra salita verso la cima. Si gira verso destra che l’uscita è un tratto sopra. La fine del canale è ripida e faticosa ma assolutamente fantastica, la cornice di neve della sella è esposta verso di noi, Davide e Carlo si avvicinano e cercano di bucarla per uscire al di sopra, pochi colpi di piccozza e Carlo rinuncia, impossibile dice.

Mentre Giovanni ed io saliamo Davide continua con la sua opera di perforazione che ora, quando noi dopo un piccolo traverso sbuchiamo sulla cresta, si è tramutata in una fenditura della neve che pare tenga. Deciso Davide pianta la piccozza nella neve ed abbandonando il bastoncino, scala la cornice e balza sulla cresta.

Applausi e grida di gioia da parte nostra ed ora, tutti riuniti, proseguiamo verso la cima che ci attende, Cima Frerone, è ancora un poco lontana e da lei ci separa un lungo filo di cresta sottile con ai lati strapiombi che rendono il percorso difficile.

Tra neve e roccette verso mezzogiorno siamo a 2700 metri di dislivello circa, Cima Frerone ci attende con il suo piccolo monolito metallico a guisa di monumento ed un vento battente che non da pace. Scopriamo lì, consultando gli orologi, che il canale percorso era di 520 metri circa e ne siamo veramente soddisfatti. L’ennesima vetta è raggiunta.

Si decide che non è possibile fermarsi, poche le foto, il gelo nonostante il sole stupendo ci fa allontanare, a fatica lasciamo lo scenario di monti che fanno cerchio attorno a noi appiccicati ad un cielo azzurro striato da nuvole bianche che pian piano si stanno ammucchiando ovunque, che il brutto tempo stia arrivando veramente?

Andiamo avanti, scendiamo lungo la cresta est per un lungo tempo passando ripidi pendii lucidi di ghiaccio che ci costringono ad una grande attenzione ma ci divertono moltissimo, il vento è violento a tratti addirittura acceca e pare voglia portarci via.

Alla seconda selletta ci si ferma che l’appetito è tanto. Un poco di cibo appesi a rocce a strapiombo, racconti divertenti e molte risate, poi si riprende il cammino a malincuore che quei momenti di riposo dopo una grande fatica, sappiamo, si rimpiangeranno per molto tempo. Altro tratto di cresta affilata, si nota l’uscita di un canalino sottile e ripido che vorremmo provare, dopo poco le mie guide decidono di imboccare un canale mai provato per raggiungere la spianata. Bella discesa, il canale è lungo e stretto con bordi di rocce ed erba alta, disturbato da alberelli che servono però da appigli che rendono agevole il percorso poiché la neve troppo cedevole non lo facilita molto. Sono lenta, mi devono aspettare, ma è bello vedere i miei compagni che occhieggiano verso di me e rassicurati e sorridenti ripartono.

Si scopre sulla spianata, ammirando in tutta la sua lunghezza il canale appena lasciato, che quella era l’uscita più rapida dalla cresta che sennò ci sarebbe toccato un lungo e tortuoso percorso; come sempre gli esperti del GAL trovano la soluzione migliore e nel più breve tempo possibile.

Bizzarre le foto di Carlo che scendendo ha notato un masso prontamente chiamato “il vitello”, secondo lui figlio della vacca che da il nome al lago ed alla località poco distante da lì, grosso masso formato a guisa di animale veramente molto simile alla “vacca” che sta a guardia del lago omonimo, ridendo approviamo la similitudine.

Seguendo le facili tracce di un gatto delle nevi e cercando di sprofondare il meno possibile nella neve prendiamo per la base della vallata, ancora parecchia strada è da percorrere. Tra chiacchiere e risate si arriva sulla spianata che pare non avere risentito della grande mancanza di neve, ad un certo punto Davide ci chiama, è una vera illuminazione che lo ha preso.

Indica stupito il tratto di spianata che stiamo percorrendo, è da parecchio che senza accorgerci camminiamo su  di una linea leggermente tracciata sul bianco totale del pianoro che non è un vero sentiero ma una specie di attraversamento con ai lati un mare di neve e ghiaccio ad onde  che gli fa dire stupito, “è il passaggio di Mosè che divide le acque del mare”, è vero confermiamo anche noi ripensando al racconto biblico.

Ci ritroviamo ad attraversare un mare di onde immobili lucide e scintillanti di ghiaccio vivo con davanti colline bianche percorrendo quella linea che offre inspiegabilmente neve dura che rende il passo sicuro.

E’ un passaggio che pare attraversi un mondo di transizione verso un altro che si prospetta forse migliore, le distanze non si comprendono e sono lunghissime ma brevi allo stesso tempo. E’ quell’incredibile pianeta chiamato montagna a rendere immagini e sensazioni tanto enormi che pare la mente non riesca ad immagazzinarle razionalmente. Certo è che i grandi spazi che sono nostri in quei momenti ci fanno pensare, quando torniamo nel mondo di tutti i giorni, di essere stati catapultati in una piccola scatola buia ed ogni volta io sento una grande stretta al cuore.

Il resto è storia, la malga, la lunga strada e il ripido pendio tra gli abeti che ci fa ritrovare l’auto, siamo stanchi, qualche ottimo biscotto di Carlo, ci cambiamo e poi giù a cercare un panino per calmare la fame.

            E’ buio e la strada rotola davanti a noi, altri buffi racconti e risate ma la mente ed il cuore sono rimasti lassù, dove eravamo liberi, in compagnia dell’immobile mare di ghiaccio.

                                           Marina Livella