Presolana 10 dicembre 2006 Lungo fine settimana dovuto ad una festività infrasettimanale passato con un brutto tempo che ci ha fatto temere per la nostra domenica di montagna. Fino al sabato sera pioggia e temporali, fatto stranissimo per la prima settimana di dicembre, ma così era. Grande indecisione, quindi, tra i nostri organizzatori di avventure alpine, poi un nome Presolana, cima sopra Boario, sperando in un repentino cambiamento del tempo. Ritrovo alle sei e trenta per la partenza, inaspettato gruppo di nove partecipanti alla nuova avventura. Quando l’alba si fa vedere la sorpresa, nel cielo rosa, azzurri e bianchi sfavillanti ci indicano l’avvento di una giornata stupenda e soleggiata. Siamo al settimo cielo. Altra sorpresa sono i monti, carichi di neve fino all’inverosimile, tutto ci si aspettava meno questo, già si capisce che la salita sarà molto diversa e passibile di varianti dovute a questa novità. L’arrivo a Boario e poi il Passo della Presolana e l’inizio della salita, nemmeno troppo dura, con destinazione Cima Presolana verso le otto di mattina. Si prende il sentiero che si perde nel bel bosco profumato reso rado dall’inverno appena iniziato, si parla di neve, ci si chiede dove comincerà a vedersi, già alla prima malga la si calpesta abbondante. Eccitante il colpo d’occhio della enorme vallata tutta bianca e punteggiata da pochi abeti verdi con un disegno che pare progettato da un architetto di giardini ed il cerchio trionfante dei monti rocciosi che si ergono imponenti leggermente spolverati dalla neve portata dal vento. Come al solito i più veloci sono avanti ed io ultima. Giovanni, si fa carico di darmi un’occhiata ogni tanto e tenermi compagnia, lo vedo ansioso di tracce, lui è una degustatore di tracce e mi ritrovo a seguirlo sui pendii vicini al sentiero a seguire le sue tracce su neve fresca ed anzi, mi sono divertita a farne pure io da prima, sotto i suoi occhi soddisfatti. Lunga salita, ci addentriamo sempre più profondamente nella vallata, la nostra meta è costituita dalle alte cime in fondo, io mi diverto a perdermi con gli occhi nel paesaggio infinito e fotografare le lunghissime tracce dei miei compagni che segnano gli immacolati pendii di neve fresca e morbida. Fa molto caldo, il vento non soffia ed il sole pare estivo, si cammina leggeri e si suda stando fermi. Il sole è addirittura selvaggio ma non riesce a nascondere una luminosa luna a tre quarti che non si decide a mollare la presa, sta incollata al cielo blu pervinca e pare voglia sfidare il giorno. Restiamo incantati da un paio di canalini che salgono a sinistra della vallata. Sono candidi di neve e divisi da una piccola cima che pare un dente solitario; progettiamo di scalarli entrambi per poi percorrere la cresta che si vede a destra, i miei compagni valutano che siano brevi e facili, quindi è un appuntamento solo rimandato. Alle nostre spalle una enorme lunghezza di montagne fissate nel cielo limpido e la vallata bianca percorsa da abetaie verdi che piombano fino ai paesi in fondo. Si arriva al bivacco Clusone, un cosino arancio ed incongruo che sembra arrivato dallo spazio messo in mezzo ad un rincorrersi di dune cariche di neve che paiono decorate da cucchiaiate di panna appoggiate ad arte e, se non altro, fanno venire attacchi di golosità. Si passa pure una specie di chiesetta aperta appena poco distante, le cime intanto si sono avvicinate, pare che le si possa toccare allungando il braccio, sono altissime e scoscese. Attacchiamo il primo canale, Giovanni è davanti, ha iniziato a fare traccia superando due escursionisti che hanno poi rinunciato alla salita. La neve è sempre più alta e morbida ed il percorso ostico, il canale è sottile e compatto ma il passaggio di nove persone lo rende sempre più impraticabile, quando siamo alla catena della ferrata mettiamo i ramponi, l’uscita è da provare, Giovanni va su ed arriva alla selletta. Decide di attrezzare una sosta poiché quei pochi metri sono veramente difficili e molto ghiacciati, ha un rampone che non va, viene raggiunto da Claudio e Sergio, ed insieme fanno salire il resto del gruppo utilizzando una corda. Il tempo corre e ci ritroviamo a percorrere una cresta ripida. Siamo di fianco alla famosa Grotta dei Profani, io mi sono avviata per prima poi ho preferito cedere il passo a Giovanni, era affare difficile quello ma non volevo cedere, sentivo tra i denti il salato sapore dell’adrenalina che saliva con l’aumentare della paura e mi sono ritrovata e sperare che finisse tutto presto ma nel contempo desiderare di andare avanti, vedere come sarebbe stato il passo successivo, sentivo sudore freddo lungo la schiena sotto a quel sole che nemmeno sapeva che esistevo. Un passo dopo l’altro affondando e lottando sempre di più nella neve alta gridando quando cedeva, d’improvviso ho lucidamente pensato che quel sapore che sentivo era sapore l’alpinismo o qualche cosa che gli somigliava e ho capito. Ho capito tutta l’ansia e quella specie di pazzia che mi spinge a chiedere ai miei compagni di sperimentare nuove vette, una sete che non so spegnere e che somiglia molto all’amore. Forse è lo stesso sentimento, anzi, ne sono certa, tutti noi sottostiamo ad un amore che non ci chiede nulla e che noi ricerchiamo continuamente poichè non basta mai. Poche parole e molta determinazione poi finalmente ci troviamo alla base delle grandi rocce. Scopriamo che Sauro, ha provato un’altra via, un canalino più difficile parallelo al nostro percorso, ed ora ce lo ritroviamo sorridente e vicino, siamo tutti riuniti finalmente, mi ritrovo a contarci, cosa che faccio sempre durante le nostre avventure ed ora il conto torna, è una consolazione ed una felicità. Percorriamo un lungo traverso accostato alle pareti rocciose affondando nella neve molto alta, già alcuni dicono che si deve tornare sui propri passi ma Giovanni che è avanti a noi lancia un grido, vuole che lo raggiungiamo, proseguiamo poche decine di meri fino ad una svolta della roccia e lo vediamo, incantato davanti ad un alto e solitario monolito di roccia spolverato di neve, è un’immagine che ci resterà negli occhi e nel cuore per sempre. Ci scuotiamo dall’incantesimo e scattiamo delle foto, ci sono grandi quantità di ghiaccio, neve ed altro che cadono dall’alto, i nostri ottimi compagni prendono una decisione, tornare e subito che il sole è troppo caldo per mantenere la neve in condizione ottimale, dicono che il ritorno sarà difficile. Un’ultima occhiata a quell’immagine indimenticabile e, soprattutto a quella che doveva essere la nostra via per la vetta, poi il ritorno, è quasi l’una. Si ripercorre il traverso e si arriva alla cresta scoscesa. Varie opinioni, poi Giovanni decide per un canale intonso che pare fattibile e molti di noi lo seguono, le mie preoccupazioni si dissolvono, è molto più facile scendere che salire anche se ogni volta mi ritrovo a pensare il contrario e per la verità anche Stefania era della mia opinione. Ci ritroviamo invece senza molta fatica alla selletta. L’ottimo Sergio stava già attrezzando la sosta per la calata, impossibile per alcuni di noi senza quella corda. Si scherza e si ride, era necessario sgravare l‘ansia di quell’esperienza che ci stava provando, Sauro contrariamente al solito ci era molto vicino e costituiva un bell’aiuto. Mi ritrovo al canale stretto, Giovanni davanti a me, le tracce sono molto profonde e confuse, da sopra scariche di neve, ghiaccio e sassi che mi colpiscono, grido di rabbia ma mi riprendo ed arrivo in fondo. Giovanni mi è vicino e mi da una mano, poi arrivano gli altri e finalmente siamo fuori. Tutti riprendono il cammino, noi no, si aspetta Sergio che, ultimo della fila deve pure recuperare corda e cordino, lo attendiamo tranquilli. Dopo un poco Davide, Giovani ed io vediamo scivolare verso di noi, dall’alto, un guanto solitario che si ferma ai nostri piedi, ora si ride ma vederlo è stato come in un film del terrore, gridiamo il suo nome, cosa è successo, silenzio, altri gridi e poi la voce di Sergio, sta arrivando, lo vediamo e il peso che sentivamo sul cuore se ne và, ora tutto è a posto. Ridiamo ma la paura è nell’aria. Anche noi quattro riprendiamo il cammino e, senza fretta, percorriamo la discesa, ci ritroviamo a guardare le nostre tracce che salgono verso l’alto ed è un magone doverle lasciare, il sole batte implacabile sulle nostre teste e scioglie la neve velocemente. Camminare è sempre più difficile, si passano le splendide dune, si chiacchiera con un ragazzo che gioca tranquillo con il suo cane nero e si provano percorsi diversi nella neve fresca. Siamo nuovamente al bivacco, ora ci possiamo fermare un poco, si mangia, si ride e si parla con ragazzi che riposano come noi sotto al sole. Ora folate di vento freddo ci fanno capire che è ora di ripartire. Ce ne andiamo a gruppetti, noi siano gli ultimi, in alto si stanno riunendo strati di nuvole grigie e cupe che stonano nel blu cupo del cielo tratteggiato da nubi candide. Alle nostre spalle il cielo si sta ingrigendo. Scendendo, la nostra via appena abbandonata pare confusa, si indicano vie e canalini ma, forse per la stanchezza, non riesco a capire chiaramente il percorso, mi basta il pensiero di averlo veramente provato. Si ritrova il bosco, si scattano le ultime foto quasi per cercare di non abbandonare definitivamente la grande gioia e fatica della giornata che sta finendo. Siamo alle macchine, sono le quattro del pomeriggio, Stefano e Loredana se ne sono già andati. Claudio, Davide, Giovanni, Sauro, Sergio, Stefania ed io ce la prendiamo con calma. Ci cambiamo, ci fermiamo in un bar e festeggiamo l’avventura con bibite, panini e scambio di opinioni circa i metodi di salita utilizzati. E’ bellissimo vedere come le nostre voci sono ascoltate da tutto il gruppo e la nostra unione si può capire proprio in questi attimi di relax e confronti. Fa molto freddo ora, ci rifugiamo nelle auto e partiamo, la sfida è aperta, la prossima volta che Cima Presolana ci vedrà sarà obbligata alla nostra presenza fino alla vetta; ci ha fatto annusare quel profumo d’alpinismo che, la prossima volta speriamo ci farà provare interamente. Sempre se saremo di suo gradimento! Marina Livella
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