Spigolo Presanella 3 settembre 2006 Presanella, bel nome giocoso e tranquillo che non fa certamente presagire quanto autentico ed energico alpinismo possa contenere l’ennesima entusiasmante meta del nostro gruppo. Partenza sabato sera, ed arrivo che era già buio al parcheggio in Val Nanbrone sopra Pinzolo, dove abbiamo organizzato le tende per la notte. Sveglia alle 4 e trenta di mattina del giorno dopo, meteo favorevole, ma, allo spuntare dell’alba, troviamo, nostro malgrado, un sole reticente, nascosto da grossi nuvoloni nascere con lunghe lingue rossastre dietro al gruppo del Brenta. Avevamo già percorso parecchia strada e, verso le sei, eravamo al Rifugio Segantini, buio a tranquillo al passaggio delle nostre 10 ombre mentre il mondo si colorava di ogni sfumatura blu esistente e faceva intravedere le incredibili creste circostanti. Rapidamente percorriamo il vallone, ci avviciniamo alla Bocca d’Amola passando a nord del Monte Nero. Notiamo entusiasti un allettante canalino che, ancora sottolineato da residui di neve, pare percorribile; ci ripromettiamo di tornare a primavera per provarlo. Siamo prima del passo, il terreno è instabile, la selletta non si fa attendere e lì ci aspetta una sorpresa, neve, tutta la cresta della Presanella è spruzzata di neve. Ho impresso nella mente il brillio degli occhi di Giovanni e di Davide e le loro risate felici che mi hanno spazzato via la fatica accumulata in quelle ore di salita. Ora tutto è cambiato, l’imprevisto della poca neve scesa durante la settimana precedente ha riscritto completamente la regia di quella salita. Si attacca la cresta nord/est con la vista della parete nord completamente sommersa dalla neve, spaccata da lunghissimi crepacci e debolmente illuminata da un sole indeciso. Il vento è forte e molto freddo, davanti a noi rocce alte, strapiombanti ed articolate e dietro neve sfavillante e il blu striato con creste lontane e monti ancora più distanti. Pare di essere veramente sopra al mondo. Ci ritroviamo al traverso che fa aggirare il primo torrione verso la Val Stavel, è difficile, faticoso e molto delicato da percorrere. All’inizio della nord notiamo degli escursionisti alle prese con la parete all’altezza di un grosso seracco, probabilmente è molto ostico perché dopo poco rinunciano e la parete torna ad essere immacolata e solitaria. La cresta è divertente, i passaggi paiono continuamente insuperabili ma, se guardi bene, gli appigli ci sono sempre, e se non si vedono c’è uno dei miei impareggiabili compagni che mi da una dritta. Fatto sta che il percorso è fluido, nessuno di noi rallenta l’andare del gruppo, nemmeno io che sono la più inesperta. Sparpagliati lungo la cresta ci si chiama e si scattano fotografie ansiosi di immortalare questa esperienza ed ogni volta che si rallenta è per ridere come dei bambini per qualche divertente fatto accaduto. Ci alziamo. La neve è più alta ed il freddo intenso, Giovanni ha già indossato i ramponi, vuole fare un canale che corre a fianco della cresta. Vorrei seguirlo ma gli altri me lo impediscono. Mi dirà poi che è stato meglio così perché era molto difficile. Mi consolo scattando immagini della sua figura sottile che arrampica su quel pendio innevato. Indossiamo anche noi i ramponi ed il divertimento si fa grande. Il tempo peggiora, c’è una cappa di nebbia grigia e fredda che copre tutta la cresta e la cima della Presanella, mentre si vede il resto delle montagne illuminato dal sole. Come dicevo, il nome di questo monte non è poi sinonimo di un gioco montanaro, anzi, fa di tutto per dimostrare il contrario. Siamo quasi in cima, passiamo sulla parete nord e ci divertiamo a finire il cammino percorrendo gli ultimi 50/60 metri scalando una scoscesa paretina di neve ghiacciata avvolti da una piccola bufera di vento. Finalmente siamo sulla vetta. I nostri visi arrossati dalla fatica sono bellissimi. Vedo la croce ed abbraccio i miei compagni. E’ dopo l’ultima stretta che, inspiegabilmente il magone che mi sento dentro si scioglie in lacrime. Davide mi scuote leggermente e mi fa ridere, è molto che non piango di gioia, anni lunghi e faticosi, che ora non mi sento quasi più sulle spalle, si sciolgono nel suo abbraccio. Il pianto si trasforma in un riso che contagia tutto il gruppo. Arriva anche Sauro, la nostra ombra personale che si unisce e fa di quella vetta a 3554 metri di altitudine, un grande cuore felice. Si riparte, staccarsi da quelle belle rocce compatte è faticoso ma a mezzogiorno il rientro è inevitabile. Si percorre la via normale, che è veramente poco normale, se ci si ripensa. Si raggiunge il bivacco Orobica, piccola sosta che fa recuperare energie. Per arrivare alla base della vallata si è costretti a percorrere anche una lunga scala di ferro che altrimenti, quel bianco e liscio muro di roccia, è assolutamente insuperabile. Si passano panorami spettacolari con vette aguzze e bizzarre che i nostri occhi divertiti trasformano e rendono “quasi umane”, una guglia in particolare ora ha acquistato un nomignolo irripetibile che ci ha accompagnato per tutta la discesa generando risate ed aneddoti veramente goliardici. Passaggi difficili che l’anno precedente “non erano così”, ma la montagna cambia sempre si sa, placche abbastanza lisce e, il passaggio sulla Bocchetta di Montenero, sconsigliato dal rifugista del Segantini, dove incappiamo in una parete che ci costringe ad utilizzare una corda doppia per superarla supportati dai nostri compagni usi a sorprese di quel genere. Arrivati alla base troviamo un traverso divertente e poi dritti ad un piccolo ghiacciaio. E’ stato bello superare quell’ostacolo imparando da Claudio e Carlo come destreggiarsi sul ghiaccio scosceso. Sono le 3 del pomeriggio, il sole ci ha fatto grazia e splende alto, il cielo è della sfumatura di blu a cui sono oramai abituata e mi sento a casa. Fa caldo, la felicità è palpabile nonostante le difficoltà che incontriamo, la guglia di prima pare ora sia “incredibilmente rilassata” dopo il mio passaggio. Si torna a ridere e si riparte lungo sfasciumi monotoni con piccole, stupende distrazioni come lo strano laghetto con una enorme pietra di traverso a ricordare un ponte o una serie di laghetti offuscati da bizzarri nugoli di batuffoli bianchi che ci volano attorno come spiritelli curiosi, sospesi tra picchi rocciosi, cielo azzurro e nuvole bianche che non pare possibile siano li. L’odore del passaggio di animali selvatici è intenso, siamo abituati a sentirlo durante le nostre incursioni nei loro territori e, ogni volta ci si sente stranieri ed invasori in quei territori “segnati” dalla loro presenza. Le creste che abbiamo appena lasciato sono irrimediabilmente coperte da nuvole scure ma noi siamo ormai giù al rifugio. Sono passate 12 ore dalla partenza, Carlo, Claudio, Davide, Giovanni, Samuele, Sauro, Sergio, Stefano, e noi Loredana e Marina, piccole donne della montagna, con gli occhi saturi delle esperienze vissute vi salutiamo già pensando alla prossima avventura. Marina Livella
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