IL CASTELLO DELLE STREGHE

Cima Plem               1 ottobre 2006

Bizzarro tempo ultimamente. Le previsioni, infatti, paiono clementi fin all’ultimo momento e poi i miei compagni sono costretti a organizzare intinerari sempre diversi nell’incertezza del maltempo.

            Sfumate quindi domenica le appetitose Torri dei Magnaghi, l’obiettivo è diventato la Cima Plem, una bella montagna di 3180 metri circa che sta accanto all’Adamello.

            Partenza sotto una pioggia sottile ed insistente alle 6 di mattina ed arrivo alla malga Premassone, verso le 8. La pioggia era cessata miracolosamente ed incamminandoci abbiamo potuto ammirare azzurri splendenti e montagne terse. E’ stato, purtroppo, l’unico momento limpido di tutta la giornata.

            Pian piano infatti le nubi turbolente che circondavano i monti si facevano sempre più fitte e grigie e velocemente salivano verso l’alto, arrivate alla nostra altezza ci hanno avvolto e non ci hanno più abbandonato.

            Rapidamente siamo giunti alla diga del Baitone che io ricordavo sommersa dalla neve l’inverno scorso, con l’acqua di un colore blu e grigio metallico appena mossa dal vento e soffocata da nuvole candite.

            Progettando divertiti uno scherzo messo in cantiere per un amico, abbiamo oltrepassato il rifugio Tonolini già chiuso per l’inverno. In parte di quella camminata siamo stati accompagnati da due escursionisti con cui abbiamo conversato e che ci hanno poi seguito nel percorso che Giovanni ha trovato in alternativa al sentiero, ovviamente troppo facile ai suoi occhi, che portava al passo Cristallo.

            A tratti si scorgeva la nostra Cima Plem, aguzza a rocciosa, puntava verso l’alto imperiosa e quasi totalmente nascosta dalle nubi.

            Lunga camminata su sfasciumi noiosi, poi, finalmente, rocce vere, un poco instabili certo, ma divertenti. Placche lunghe ed appoggiate, abbastanza facili da fare, anche se con gli scarponi per me nulla è semplice.

            Avevamo un capo gita d’eccezione domenica, l’ottimo Oliver, di poche parole, schivo, temerario e di un’energia inesauribile. Molto cane ed anche molto essere umano, soprattutto grande compagno d’arrampicata.

            Si è cimentato allegramente su quelle rocce ed io mi ripetevo che se passava lui forse ce l’avrei fatta pure io ed anche i due ragazzi che erano con noi, naturalmente non ho seguito Davide che mi ha fatto stare col fiato sospeso mentre saliva da una lunga placchetta da brividi al solo guardarla.

            Cercando di non smuovere i massi instabili che trovavamo siamo arrivati al passo Cristallo, sempre preceduti dal compagno con la bandana rossa e la lingua penzoloni; abbiamo salutato i nostri improvvisati compagni di viaggio che scendevano e siamo ripartiti per Cima Plem.

            Immersi nella nebbia siamo arrivati alla vetta dotata di una piccola croce con una campanella, erano le 12 e mezza, faceva veramente freddo e di panorama neanche a parlarne, quindi mezz’ora di sosta per del cibo e una chiacchierata in tranquillità immersi nel grigio più totale.

            Il nostro piccolo contingente, Davide, Giovanni, Marco, Oliver ed io era il massimo che quella minuscola vetta potesse ospitare, un’altra bella vetta raggiunta con fatica ma tanta passione e tanto amore ricambiato in alquanto strana maniera.

            In cambio ti viene infatti data la possibilità di staccarti da tutto, ti è data coscienza di come il legame con il resto del mondo sia sottile e relativo mentre quello con i tuoi compagni diventa sempre più forte, riesci a ridimensionare i dolori della vita passata e capire che il futuro non è poi un mostro a sette teste.

            Ribadisco quanto queste esperienze maturino e spingano via il solito vivere a metà per farti riappropriare della esistenza che resta per usarla a ricercare la felicità che ti spetta  di diritto.

            Ripartiti, abbiamo percorso le rocce dell’andata sino al Passo Cristallo e poi giù per la via normale per Cima Plem dal versante del Miller per raggiungere il rifugio Gnutti lungo un sentiero che si snodava tra placche incrostate di licheni e erba rossastra perennemente gelata dalla temperatura rigida.

            I miei compagni volevano vedere il bivacco del rifugio Gnutti per organizzare una salita in Adamello che io spero ardentemente si possa fare veramente.

            Piccola sosta all’ombra, si fa per dire, di un’enorme segnavia di sassi, ridendo come matti di ogni piccola cosa, raccontandoci aneddoti della propria vita e progettando nuove avventure.

            Abbiamo superato la diga prospiciente il Gnutti percorrendo il lungo serpente di cemento che la costeggia e, dopo una piccola sosta al rifugio, ancora sentieri che precipitavano giù nella valle del Miller, rallegrati da Oliver che percorreva mille volte il tragitto dal primo all’ultimo della fila, per controllare dove si trovava il suo Giovanni. Pensandoci bene è proprio facile voler bene a quel ragazzo e posso dire che il nostro gruppo è fortunato ad averlo con sé.

            L’abbiamo visto, Oliver, arrivando in prossimità di torrentelli o laghetti disseminati lungo la discesa, prendersi godibili soste in cui bere e sguazzare temerario in quell’acqua gelida e limpida, visibilmente felice e per nulla stanco.

            Finalmente abbiamo cominciato a incrociare alberi d’alto fusto, imboccato il sentiero denominato “Scale del Miller”, simpatico anche se non facile per via di quegli altissimi gradini sicuramente progettati dal gigante della montagna.

            Bello il bosco, forse prematuramente autunnale, con alberi già rossi, gialli, nocciola, e solo un poco spogli dalle foglie. Abbarbicati sulle montagne facevano su quelle pareti grigie di roccia stupendi giochi cromatici e parevano ricami e non lo scherzo di un autunno improvvisato che fissa l’istantanea di un’estate che se ne va e lascia il posto all’inverno.

            Finiamo il percorso a fondo valle soffermandoci a fotografare un vecchissimo albero abbattuto di cui era rimasto ben poco a dare la misura delle gigantesche dimensioni che doveva aver raggiunto. Scattiamo immagini dell’enorme spaccatura creata alla sua base che poteva contenere comodamente alcuni uomini e ripartiamo.

            Arrivo alle 5 del pomeriggio, il sole non si era più fatto vedere ma la nostra visibile felicità ed allegria aveva fatto in modo che non fosse poi determinante per una bella salita, altra vetta collezionata e altra giornata felice impressa per sempre nei nostri occhi.

            Gli amici Davide, Marco, Giovanni e Oliver mi hanno fatto vivere un’altra giornata speciale.                                                                                                                                                                  Marina Livella