Coop di Breguzzo 5 novembre 2006 Ci risiamo, l'incorreggibile gruppo del GAL è nuovamente in onda. Non è bastato il mercoledì precedente in Brenta dove ci siamo "spezzati le ossa",ora dopo tre soli giorni,ci riproviamo. Si chiama Cop di Breguzzo la nuova avventura che vedrà 9 incontentabili riprovare a superare se stessi. Partenza ore 5 e 20, ci riuniamo con Giovanni e poi su fino a Breguzzo, da lì percorriamo la valle omonima per un lungo tratto. Ci attrezziamo assonnati ma felici e partiamo alla volta del rifugio Trivena, prima piccola sosta al vallone che presenta un immenso anfiteatro chiuso da un muro di roccia ed erba arsa solcato da alcune cascate sottili che paiono fatte d’argento liquido. E' altissimo e pensare di superarlo ed andare oltre pare impossibile. Dietro abbiamo lasciato tranquille abetaie verdi ed ora davanti a noi c'è solo un mare di sterpaglia marrone ed erba secca e dura quasi come la roccia che, a tratti, già si fa vedere in sfaciumi ripidi e faticosi che fanno parte del sentiero,dove troviamo rigagnoli di acqua ghiacciata e roccia molto scivolosa. Il gruppo si divide quasi subito, il silenzioso Sauro per primo e poi Davide, Claudio e Stefania, Loredana, Stefano, Rinaldo ed io. Giovanni, come sempre svelto come un gatto, su e giù per il sentiero, accertandosi che tutto il bel gruppo sia saldo e sicuro. Passato il salto si sale a destra e si arriva alla enorme spianata in cui io riesco subito a perdermi. Grandi risate di Giovanni che mi recupera come un gattino senza la mamma, persa tra le rocce enormi della salita. Mi sono sentita veramente una escursionista di poco conto, ma forse è quello che veramente sono! Ancora su, ammirando finalmente quella che sarà la nostra meta, un bel costone di rocce frastagliate candide ed enormi che paiono i denti di una gigantesca sega incollata ad un cielo azzurro. Anche questa giornata infatti si preannuncia limpida come cristallo ed è una vera gioia ammirare lo spettacolare panorama con un cielo azzurro come solo l’alta montagna ti può regalare. C'è un bivio con indicazioni segnate in rosso su di una grossa roccia, a destra si va alla Bocca di Cunella ed a sinistra al nostro Cop di Breguzzo. Si prosegue il cammino. Per ora la nostra prima meta è il Passo di Breguzzo. Passiamo bellissime placche di roccia, facili ma simpatiche, canali che ci permettono di divertirci a provare arrampicatine d'allenamento, così, giusto per fare, guidati come sempre dall’instancabile Giovanni. Ci fermiamo a fotografare un particolare canyon che offre, tra due alti muri di rocce ed un pavimento di altre enormi pietre frantumate, un panorama di sfondo con creste bianche, che paiono figurine ritagliate dalle forbici di un bambino in vena di bizzarrie, contro il cielo che non sembra reale. Si continua tra scherzi e risate per mitigare la fatica della salita che non pare finire mai. Si arriva alla base della cresta, piccola sosta, ora si deve trovare il modo per attaccare le rocce in alto ed è affare non da poco. Siamo un piccolo drappello,gli altri avevano preso un'altra via mentre i temerari Davide e Giovanni avevano in testa di cercare di scalare la cresta sud. Comincia Davide, su per quelle rocce formate da placche troppo lisce e traditrici, e noi sotto a guardarlo con un poco di apprensione tirandoci il collo per vedere il rosso del suo pile che appare e scompare e si alza sempre di più; dopo un poco la rinuncia, non si può fare, la cresta ha interruzioni e strapiombi che non permettono di percorrerla. Quindi, dopo una sua difficile discesa fino alla base ci adattiamo a costeggiarla seguendo una specie di sentiero sperando di trovare il modo di risalire. Dopo un poco è Giovanni a riprovare. Altro momento di ansia vedendo l’ agile e sottile figurina serpeggiare su per quelle rocce cercando di raggiungere allucinanti ed appuntiti monoliti di pietra incredibilmente stesi sulla cresta come se per scherzo fossero stati appoggiati li,di traverso, dalla mano di un gigante. Nemmeno Giovanni trova un passaggio, molto dura questa cresta. Si prosegue in basso cercando una via di salita. Davide la scorge, prova per una decina di metri, si guarda bene attorno ed è soddisfatto. Va bene, anche noi quindi ci arrampichiamo su per quelle rocce e lo aggiungiamo. Davide ci precede e ci da indicazioni per la traversata, non particolarmente difficile per gli altri, di più per me, ma se guardi bene nonostante gli inganni della roccia, trovi sempre il modo di progredire nel percorso. Ogni tanto si butta l’occhio in giù, si cerca Rinaldo, è un poco distante e siamo preoccupati, talvolta lo si vede e poi scompare. Lo soprannominiamo “l’ologramma di Rinaldo” e dopo 200 metri buoni di cresta arriviamo in vetta con la sicurezza che ci fosse ma dopo qualche foto e qualche abbraccio sferzati da un vento fortissimo ed un cielo tratteggiato da vortici di nuvole candide, ci chiediamo dove sia finito. Non si vede più! Sono circa le due del pomeriggio ed un’altra vetta è raggiunta. Scappiamo velocemente da quella cima troppo fredda e turbolenta dove troneggia una brutta impalcatura di ferro e, un poco sotto, sbocconcellando qualche cosa torniamo a preoccuparci; Rinaldo ancora non c’è, si chiama a gran voce ma il vento forte devia i nostri richiami. Finalmente una voce poco lontano, Giovanni, riparte alla volta della vetta e lo raggiunge poiché nessuno dei nostri deve arrivare ad una cima senza che ci sia almeno una mano amica da stringere. Li fotografiamo felici e sorridenti finalmente riuniti. Anche loro scendono al riparo di quel ripiano pieno di sfasciumi risalenti alla guerra, si ride e si commenta felici la prima parte della salita. Ora ci siamo tutti, anzi no, Sauro è già ripartito, ma lui è diverso, è il nostro compagno silenzioso che ci accompagna senza darlo a vedere, carattere ostico come le rocce ed il ghiaccio che ama tanto, compagno difficile da capire ma per noi del GAL le difficoltà non esistono. E’ ora di ritornare verso valle; due le possibilità di rientro. La scelta cade su di un canale che pare fattibile e veloce, quindi si parte. Parlarne ora non è facile. Subito al primo passaggio ci sono problemi, pochi appigli ed anche quelli gelidi e scivolosi. Ci siamo ritrovati appesi ad una parete quasi verticale totalmente in ombra con tratti riempiti da cumuli di neve e traversi da brivido. Molti massi sono pericolanti e si staccano senza preavviso nonostante siano molto grossi. Rinaldo è silenziosamente partito all’attacco ed è arrivato giù per primo, veramente bravo. Solamente per la perizia dei nostri ottimi compagni l’arrivo è stato una certezza perché alcuni passaggi si sono rivelati veramente difficili. So per certo che il tempo occorso per percorrere quel tratto di 150 metri di dislivello mi è parso lungo come un mese di vita di tutti di giorni. L’impegno di Davide e Giovanni per aiutare tutto il gruppo è stato grande e vedere le immagini dei loro sorrisi mi gratifica anche ora che guardo le foto scrivendo. Certo è che quando anche Davide che chiudeva la fila ha appoggiato gli scarponi alla base del muro che segnava la fine di quella “scorciatoia di rientro” ho tirato un sospiro di sollievo. Ora si poteva tornare tranquilli. Nuovamente si ripercorreva la via del ritorno. Mi ritrovavo ogni tanto a buttare lo sguardo sulla parete appena scalata chiedendomi come diavolo avevo fatto ad arrivare in fondo. Anche il ritorno a gruppi, i primi partiti di corsa mentre Giovanni, Rinaldo ed io più lentamente quasi per smaltire ridendo, l’accumulo esagerato di adrenalina. Quindi foto buffe e riprese altrettanto divertenti e piccole soste per riposarci. Un guaio da me procurato, ovvero la perdita di una giacca, poi ritrovata, ci ha fatto perdere altro tempo, quindi un poco di apprensione per il ritardo era nell’aria. Fatto sta che all’arrivo, verso le 4 e mezza, abbiamo trovato solo Davide ad aspettarci tranquillamente addormentato nell’auto. Si è svegliato con il suo solito sorriso tra il timido e l’ironico felice di vederci e dopo il breve tempo necessario per cambiarci , sbocconcellando pezzi di torta, abbiamo raggiunto il resto del gruppo al paese. Qualche abbraccio e poi la partenza mentre il buio già si impossessava di quanto restava di quella giornata indimenticabile. Marina Livella
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