Adamello 8 0ttobre 2006 E’ arrivata, finalmente, la vetta che anche senza dirlo era la mia prima meta. Adamello, quando i miei compagni la scorsa settimana hanno definito che fosse lei nei programmi ho avuto una scossa. Non ero preparata, ovvio, forse non si è mai pronti a questa vetta, ed infatti ho avuto dei grossi dubbi che l’amico Davide ha dissolto bonariamente via mail. Cominciamo dalle piccole cose, partenza alle cinque meno un quarto del sabato da Sarezzo, arrivo a Valmalga verso le sette, dopo una sosta per un pasto frugale ed un caffè altrettanto di corsa. Si doveva arrivare al rifugio Gnutti per la notte ed il tempo stringeva. La serata era stupenda, il percorso piuttosto difficile al buio, le scale del Miller non sono poi così agevoli, nemmeno se le hai già percorse a scendere la settimana prima come è capitato a noi, ma dopo due ore scarse il rifugio era in vista delle nostre pile frontali. Rifugio tutto per noi, non capita spesso, snobbiamo il bivacco e ci accampiamo sotto la tettoia dell’ingresso, i nostri sette sacchi a pelo trovano un accoglienza perfetta e sono da poco passate le nove che ci addormentiamo sotto ad un immenso cielo stellato, dominato dalla luna più tonda e luminosa che volta celeste abbia mai ammirato, con un sottofondo di ruscello che scorre ed il silenzio assoluto. Questa la colonna sonora, che ho avuto la fortuna di sentire totalmente per qualche tempo prima di addormentarmi. Era completata dal leggero respirare dei miei compagni di avventura che, dopo accomodamenti e brontolii vari, si sono assopiti come angeli quasi veri. Sveglia alle 4,30, terribile, nessuno aveva veramente voglia di alzarsi, pareva una domenica mattina con le pantofole a casa propria e ci è voluto un bel momento per realizzare quanto si andava veramente prospettando. Finalmente tutti a posto, si lascia il non necessario nel bivacco e, alle cinque si parte felici dello zaino alleggerito anche se non di molto. La luna ci guida, è talmente luminosa da non lasciare molti dubbi sul percorso che, seppur abbastanza difficoltoso si fa quasi pianeggiante, dopo la diga ed il suo muro di cemento che sale ed attraversa l’acquitrino del Miller che ci vede costretti a grandi gimcane per evitare torrentelli e pozzanghere sparse ovunque. La salita si fa decisa, i ghiaioni più pronunciati e, dopo poco, comincia a vedersi la neve; ci dà subitamente un incentivo a camminare, che quella parte della salita era stata fatta quasi svogliatamente ed in silenzio, forse per la fatica e l’orario molto mattiniero. Progressivamente lo spettacolo dell’alba si fa largo tra le ombre della notte e si offre ai nostri occhi con colori e luminosità che ci fanno capire che è l’inizio di una stupenda giornata di sole. Svanita quindi la notte che lascia come unico pegno una luna che non si decide a scolorare. La neve piuttosto alta obbliga alcuni di noi ad alternarsi a fare tracce fino all’inizio della Via Terzulli, solitaria ed innevata esattamente come sognavamo. Si attacca quindi la via, il sole si fa sempre più alto dietro di noi, mentre la nostra gelida parete rimane in ombra. Due cordate da due ed una da tre, siamo in sette, cominciamo a salire su quelle placche di granito completamente sommerse dalla neve. All’inizio vedo un po’ di titubanza sui volti dei miei compagni poi, pian piano i ramponi prendendo confidenza con le rocce lisce ed il ghiaccio nascosto, hanno fatto si che la salita diventasse fluida e godibile. Fortunatamente i fittoni piantati sulla via erano parecchi e ben visibili, questo ci ha permesso, nei tratti più semplici di andare in conserva, mentre nei momenti più difficili ci siamo premurati di fare soste sicure. Non facile la salita, spesso bisognava spazzare via la neve per vedere fessure, appigli e gradini, molte le placche un poco difficili, ma con dei suggerimenti e l’abilità che sto lentamente maturando, sono salita abbastanza agevolmente e senza rallentare i tempi di marcia stabiliti. Ora si ricomincia a ridere e raccontare aneddoti e sciocchezze, anche se parte del nostro gruppo soffre di una stanchezza che di solito non accusa mai, la nostra condivisione fa comunque in modo che nessuno di noi soffra di abbandono, l’unione del nostro gruppo è così grande che, talvolta pare di pensare con il cervello del tuo compagno e ti sorprendi di questa vicinanza mentale. Si saliva abbastanza rapidamente, roccia dopo roccia, e se chiedevo dove era la cima dell’Adamello mi dicevano sempre che, da lì, non era possibile vederla, tanto che mi pareva che quella vetta fosse una fantasia e non realtà, pazienza. Dopo tanto camminare, ci si divertiva finalmente, rocce con camini, piccoli diedri ed altre difficoltà che davano filo da torcere, coperti come erano da ghiaccio e neve alta, salita in tutti i casi fluida anche perché guidati dai miei incomparabili compagni. Si scorge il passo Adamello, era ora, ancora un poco lontano ma lì, siamo stanchi, molte ore sono passate ed ancora tante sappiamo ci aspettano, ma vedere le lunghissime folate di vento che trasportano violentemente il pulviscolo di neve sullo sfondo dell’azzurro scuro del cielo con il sole che fiammeggia, fa in modo che quasi si corra su per arrivare al ghiacciaio. Si arriva all’ultimo tiro prima del passo, la via normale è sconsigliata dalle condizioni del traverso probabilmente liscio e senza chiodi. Si decide quindi di proseguire dritti sulla variante che porta direttamente sopra al passo. Finalmente ci siamo! Non ci sono parole che possano veramente descrivere quanto l’occhio vede arrivando alla spianata del ghiacciaio, nemmeno le fotografie lo possono fare, certo è che mi sono sentita una privilegiata a poter ammirare la spettacolare forza della natura dispiegata in tal modo, la Punta Miller completamente coperta di neve che declinava dolcemente verso il ghiacciaio in un tutt’uno e poi la distesa bianca, talvolta violentemente segnata da crepacci grandi e piccoli ma leggiadra a suo modo, delimitata dall’azzurro del cielo e dalle rocce spruzzate di neve dei monti circostanti, un’immensità che scuoteva. Scendiamo sul ghiacciaio e lo costeggiamo per evitare i crepacci che si intuiscono più che vedersi e pare di commettere un delitto fare tracce su quell’uniformità bianca e soffice. Ed ora si intuisce la vetta, nella confusione e nella fatica non riesco ancora a capire dove è, là mi dicono ma i cenni non mi bastano e non posso far altro che lasciare come gli altri gli zaini in fondo alla salita di massi e neve e ripartire, ho sete e ansia e lacrime e poca lucidità, Giovanni non sta bene e alcuni altri sono molto affaticati, anzi forse tutti, pare quasi impossibile riuscire ad arrivare alla famosa campanella. Una roccia dopo l’altra che pare di arrivare ed invece sono solo falsi allarmi. Sono ovviamente l’ultima anche perché non posso impedirmi dallo scattare immagini di quel paradiso. E’mezzogiorno ed il sole è selvaggio, fa caldo ma quando si alza il vento è forte e gelido. Durante la salita, c’è stato un momento, uno solo in cui abbiamo scorto degli alpinisti alla base del ghiacciaio provenienti dal Bivacco Gianantoni, ritornano presto sui loro passi, probabilmente i crepacci nascosi dalla neve o l’orario avanzato li fa desistere. Piccolo attimo di trionfo, ora abbiamo la certezza matematica che la cima è solo nostra; i nostri obiettivi sono raggiunti, vetta, certo, ma vetta solitaria è il massimo. Butto l’occhio sulla corona di monti che ci circonda, l’orizzonte è infinito tanto che non hai più misura di ciò che stai fotografando. E’quando sono in vetta, vicino alla croce di lamiera sottile e traballante ed alla più grande con la campanella che realizzo veramente che sono li, ora posso pensare liberamente a quanto macinavo dentro di me, mio padre è stato qui, tanto tempo fa, quando aveva solo mia sorella da avvicinare ai posti più belli del mondo perché io ero troppo impegnata a non capire nulla, lui ha visto tutto questo e sono felice ed anche arrabbiata; vorrei lanciare un grido e dirgli che ora sono cambiata, che ho capito veramente e che so cosa voleva dire ma non lo posso fare. Complimenti di rito tra noi sette, casco nelle braccia di Davide e tocca a lui raccogliere le mie lacrime. Certo, sto diventando prevedibile, ma tutto questo era forse inevitabile per il mio cuore pesante e lui capisce, è un vero amico. Qualche foto, un poco di cibo, qualche risata ed ora si deve tornare. Mi dicono che ci aspettano un bel pò di doppie per superare rapidamente la salita appena sperimentata Si torna sui propri passi, il tempo di discesa è inferiore e la fatica pare minore, gli zaini vengono ripresi e ci incamminiamo nuovamente sul ghiacciaio, il tragitto è breve e non riesce a darmi sensazioni che siano più forti di quelle che mi stanno stilettando il cuore, sono piena di ricordi che solitamente evito e ripenso ad una bella foto di mio padre che guarda il Pian di Neve ed è felice. Ora il passo Adamello, da qui il ghiacciaio comincia già ad essere un ricordo. Le discese, sei corde doppie non contando i tratti percorsi senza corda perchè non parevano difficili, si passa il tempo d’attesa tra una discesa e l’altra parlando e ridendo e raccontandosi, nulla è inutile in montagna, anche i tempi morti possono divenire attimi da non scordare. Il sole abbagliante ci sta progressivamente abbrustolendo e noi abbiamo sete, manca poco oramai. Finite le doppie altre piccole cose, di ripercorrono gli sfasciumi e si torna alla diga rivedendo il percorso conosciuto. Salutiamo il rifugio Gnutti che ci ha visto partire mattinieri, ancora un paio d’ore scarse e siamo alle macchine. Carlo, Claudio, Davide, Giovanni, Stefano, Loredana ed io torniamo “a terra” in mezzo agli esseri umani, siamo stanchi, sono le sette di sera e desideriamo solo bere e mangiare, desideri terreni per noi che non ci sentiamo ancora proprio tali. L’ultima immagine che rimane indelebile è quella di mio padre in Adamello magro e bello che guarda i monti davanti a lui e non pensa al domani ma alla gioia del momento. Ciao papà.Marina Livella
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