Salimmo e Calotta dell'Adamello 2 luglio 2006 Eccomi qui con l’ennesima piccola, empirica, sentimentale relazione alpinistica. Questa avventura cominciò nel tardo pomeriggio del sabato, ci incontrammo verso le otto di sera, bisognava arrivare a Ponte di Legno per poi andare a pernottare al rifugio Corno d’Aola. Arrivo al rifugio che era già buio tra chiacchiere e risate fragorose generate da una allegria tranquilla che ti fa dimenticare tutto il resto del mondo. Dormire all'addiaccio non è poi sempre semplice come potrebbe sembrare, bisogna trovare il posto giusto per dormire all’addiaccio, quindi, inforcate le frontali, c’è sempre uno a cui si sono scaricate le batterie (sic!), ci aggirammo per i dintorni del rifugio per trovare un riparo. Finalmente si trova, al coperto, incredibile, e persino dei morbidi materassini gialli da stendere sull’ondulato di quella specie di magazzino semichiuso per accomodarci sopra i sacchi a pelo. Io vengo trattata da principessa e mi spetta la macchina, spettacolo, i ragazzi non erano ancora sistemati del tutto che io già dormivo profondamente, ancora sorridente e coccolata dai discorsi dei miei eccezionali compagni di viaggio. Sveglia alle 3 e mezza, ancora assonnati ci avviammo violando il buio di una notte silenziosa e fresca. L’alba ci illuminò mentre camminavamo e ci permise di intravedere la nostra gigantesca meta, Cima Salimmo, parve talmente lontana da non parere concepibile riuscire ad arrivarci con i nostri piccoli piedi. Piedi comunque molto testardi. Passata la Conca di Pozzuolo e quasi sotto il Salimmo la certezza che il Canale Faustinelli non fosse fattibile, poca neve, troppo poca. La meta divenne quindi il canale senza nome che saliva a destra del Faustinelli, parve ben innevato e non ci pentimmo della scelta. La decisione ci diede ulteriore energia, con passo allegro arrivammo al canale, era veramente bello e persino troppo facile, lo scalammo velocemente, e la selletta non si fece aspettare molto, dopo di che delle divertenti roccette ci portarono alla vetta. E’ quasi inutile cercare di descrivere l’orizzonte che, a 365 gradi, era possibile ammirare in quella mattinata di sole insperato e fiammeggiante, continuo a pensare che, quando il GAL vuole divertirsi il sole gli regali sempre giornate eccezionali. Quando ci scuotemmo dalla magia di quelle montagne che ci circondavano, ci rendemmo conto che erano solo le 9 del mattino, stavamo veramente bene e sapere che non era finita ci pareva veramente eccitante, tanto che, persino la mia caviglia un poco dolorante per una ramponata non ebbe il potere di fermarci. Da li ammiravamo la Calotta, la nostra prossima meta, una meraviglia! Dalla cima scendemmo alla Bocchetta della Calotta facendo un’infinità di roccette per la verità un poco cedevoli ma non impossibili. Alla base del vallone si dovette decidere la via, pareri discordi ed indecisioni poi ci dividemmo, due temerari, Davide e Sergio, decisero di provare l’appetitosa cresta di roccia che si ergeva alla sinistra, mentre io e Giovanni ci incamminammo verso la maestosa salita di neve e ghiaccio che si trovava più avanti. Quantunque io avessi totale fiducia nei miei grandi compagni di viaggio in quel non lungo tempo in cui ci trovammo separati io provai una inspiegabile paura. Non erano li fianco a me e pensare a ignoti pericoli che potevano trovarsi sul loro percorso mi rendeva inquieta, ero molto certa delle loro capacità, ma probabilmente il mio dilagante “istinto materno” faceva in modo che mi ritrovassi ad affrettarmi sul pendio per arrivare in vetta e riunirci. L’amico Giovanni mi seguì come un’ombra anche nelle piccole difficoltà, sempre rassicurandomi sulla sorte dei nostri compagni, e per un tratto mi permise di “fare le tracce”, affare faticoso ma che da tempo che volevo provare. Provare la fatica grossa, pare una pazzia ma sulle montagne, sostanzialmente è quello il motore che ti stimola, cercare il tuo punto di rottura o, per lo meno, il massimo delle tue capacità. Il fatto è che l’alpinismo è fatto di poche cose ma sostanziali, cuore, nervi e cervello, un fisico che ti deve supportare sempre, molto cuore, perché è l’amore che ti spinge avanti, non c’è altro, solo un enorme amore per la roccia, il ghiaccio, la neve e gli esseri umani, tutti, senza distinzione, una enorme benevolenza verso il genere umano ed un cervello lucido e pronto a sorprese e cambi di programma repentini. Fu sulla cima che ci riunimmo, scoprii che le roccette erano sicure e non esistevano i pericoli che io avevo immaginato; quando fummo seduti sulle rocce della vetta ci potemmo rilassare, eravamo tutti assieme finalmente. L’anfiteatro che avevamo davanti era incredibile, fatto di ghiacciai e montagne innevate sotto un sole caldissimo e benevolo. Parevamo villeggianti in spiaggia, se non fosse stato per il baratro che ci volava sotto i piedi dalle roccette dove eravamo appesi, al di là della cima della Calotta. Eravamo finalmente alla seconda cima, nuovamente sopra i 3000, che eccitazione e felicità, i miei compagni mangiarono ma io non riuscii a fare altro che sbocconcellare qualche cosa, non sapevo stare ferma, l’adrenalina era ai massimi livelli, perfino nei ramponi. Scattammo alcune foto e si ripartì, dopo aver salutato tre ragazzi che si trovavano sulla stessa cima con noi, cosa strana perché, solitamente, i posti che cerchiamo sono sempre privi di altri alpinisti. La nostra massima aspirazione, Giovanni è sicuramente la nostra guida in proposito, è di scalare montagne isolate, è un piacere infatti raggiungere una vetta e non trovarci sopra nessuno. E’ un sentimento molto ambivalente, desiderare la solitudine della montagna ma, allo stesso tempo, condividere con altri il piacere infinito di quello che si trova lassu’. Eravamo alla discesa, lunga ma divertente, sempre lo stesso percorso, ma all’inverso si trova sempre qualche cosa di non visto all’andata, frettolosi ed affaticati. I paesaggi stupendi che immortalammo con molte fotografie, e fiori e nostre immagini, certo, era bello scattare foto ai compagni di avventura; riprendere i visi di chi ha scalato con te è un modo di fermare il tempo,domani rivederti è sempre una gioia. Certo, discesa molto lunga, ma il tempo clemente facilitò tutto. L’arrivo alla macchina, un’altra avventura finita, andando verso casa parlavamo già della prossima …….incorreggibili!
Marina Livella
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