Ovest Carè Alto 16 luglio 2006 Strano fine settimana, tempo molto incerto in questa metà di luglio che non promette nulla di buono, la partenza è spostata fino alla sera del sabato, ore otto, si dorme al parcheggio di Malga Bissina e poi si vedrà. Viaggio tranquillo, si arriva che è già buio ma siamo allegri e carichi, nonostante tutto, si montano le tre tende alla luce delle frontali e verso le dieci e mezza si dorme. Nottata agitata da pioggia e grandine, il cielo fa di tutto per dissuaderci dall’intraprendere quella salita che tanto desideriamo, ci si sveglia ad intermittenza e c’è chi non dorme per niente, disturbato dalle turbolenze del tempo. Sveglia alle quattro e quindici, insonnoliti smontiamo le tende e ci prepariamo. Il buio è fitto ma già si scorge l’alba in agguato ed è lei, lei sola, ad intravedere i nove spettri solitari che camminano svelti per i sentieri della Val di Fumo. Raggiunto il rifugio Val di Fumo buio e silenzioso, dopo una bella ora e mezza, si attacca il sentiero che si svolge ripido al fianco destro della valle, già le cime dei monti sono illuminate da un sole prematuramente aggressivo. Presto si raggiungono i ghiaioni di granito chiaro che sbarrano la strada ad alberi e cespugli, l’orizzonte diventa fatto di roccia e già si pregusta l’arrivo al Passo delle Vacche. Pian piano con l’alzarsi del sole anche noi cominciamo a “svegliarci”, i ragazzi ci precedono di parecchio, hanno buona gamba e camminano molto svelti ma l’accordo tra noi è talmente collaudato che non esiste nessun problema se io e Paola, con gli ottimi Carlo e Claudio, nostre grandi guide oltre che grandi amici, teniamo un passo più lento. Spesso alzando la testa li vedevamo appollaiati su qualche ripa ad attenderci, e quando li raggiungevamo erano grandi sorrisi che ci attendevano, Riccardo, Andrea, Alessio, Davide jr. ed Enrico, ragazzi meravigliosi, alpinisti in erba ma non troppo, già veri uomini comunque. Sulla cima troviamo alcuni alpinisti che si aggirano per le rocce, senza fermarci attacchiamo il sentiero sulla sinistra che porta al bivacco Segalla , è un bel percorso a volte fatto su traversi ed a volte su di un sentierino stretto, divertente e non difficile. Si cominciano poi ad affrontare alcune piccole paretine sempre sul secondo grado di difficoltà che non essendo complicate divertono molto. La salita è comunque faticosa, tutto un su e giù e la cresta pare non finire mai. Anzi, alzando gli occhi e vedendo la curva lunghissima della stupenda cresta che prosegue quasi fino all’orizzonte mi veniva da pensare, “speriamo che non sia finita li”, non capendo che era veramente impossibile percorrerla tutta! Pazienza, sono pensieri da inesperta. Cresta sottile su cui camminare come dei funamboli sulla corda, in bilico tra la terra ed il cielo, quasi sospesi sul nulla, e vaghi sentimenti di onnipotenza nascono dentro di me, assieme al desiderio assurdo di non voler “scendere” più e dover ridiventare piccola e uguale al resto dell’umanità. E’ fatica dover abbandonare il privilegio di un’esperienza simile. Si prosegue, ci sono cordini d’aiuto che non paiono in perfette condizioni ma si usano comunque ed anzi, tengono benissimo. C’è chi pensa che la cosa migliore sarebbe toglierli tutti e far ridiventare la via come era un tempo. Io mi oppongo energicamente, i cordini e i chiodi sono un vero aiuto psicologico più che reale e, quindi, ben vengano. Il tempo miracolosamente tiene, pare incredibile ma le soffici nubi che sono ovunque appoggiate sulle creste dei monti che ci attorniano paiono lì semplicemente per tenerci compagnia e non per spaventarci. Finalmente la vetta, il famoso Carè Alto è qui, a portata di mano, frettolosi di arrivarci, l’ultimo tratto lo percorriamo felici lasciando indietro gli zaini e ci ritroviamo sulla cima a baciarci ed abbracciarci entusiasti di essere lì abbagliati da un sole inaspettato e bellissimo. La cerchia dei monti è nascosta da nubi bianche che paiono panna montata e ci si aspetta di vedere piccole ciliegine insieme a sommità di cime che spuntano a tratti sull’orizzonte, quasi fosse una buffa torta di compleanno. La sosta è breve, pare che le nubi che ci hanno tenuto compagnia fino ad allora si facciano più cupe, i nostri impagabili “maestri di roccia”, Claudio e Carlo, si fanno più premurosi, decidono che si debba tornare svelti. Ci distolgono quindi dal nostro riposo soleggiato e ci fanno ripartire. Nuovamente la via dell’andata, troppo bella, il fatto di ripercorrerla non è un peso, anzi, pare che sia tutta diversa, ed il rivedere il divenire della cresta è solo che una sorpresa continua. Non sembra vero ma, come sempre, mi tocca ripetere che, in montagna, le sorprese sono dietro ogni piccolo frammento di roccia, di ghiaccio od ogni zolla di terra. Avanti i ragazzi, come un motore trainante, che, silenziosi, affrontano sorridendo le difficoltà della via, noi dietro affrettandoci, un poco timorosi del tempo che pare peggiorare, chiacchierando di cose piccole e grandi, confrontandoci e scherzando per rimpicciolire la fatica del ritorno che pare enorme da percorrere. Incredibilmente si arriva al bivacco senza problemi di maltempo e poi si scende dopo il passo sempre avanti un poco dalla nebbia che tanto temiamo e che pare ci segua benevolmente quasi a “tenerci d’occhio” che il ritorno sia tranquillo, e non per spaventarci. Scendiamo, i ragazzi avanti e noi, ottima retroguardia, indietro di poco. Ci si ferma al rifugio a bere qualche cosa e commentare la camminata del giorno, ormai siamo quasi alla fine di questa esperienza e l’euforia dell’andata lascia il posto alla stanchezza tranquilla del ritorno. Il sentiero piano della valle lascia il posto alla strada che porta alla diga, ed alle cinque del pomeriggio siamo nuovamente riuniti, ripuliti e sorridenti. Il sorriso è il meraviglioso regalo della montagna, già, niente premi reali ti aspettano mai alla fine di una esperienza sulle vette, solo un sorriso, il cuore leggero ed una felicità che non sai spiegare. Questo è il premio vero che ti accompagna e ti rende la vita più semplice e ti fa dire che tutto va per il meglio e che non desideri altro al mondo, piccolo essere umano, ma grandissimo nelle tue imprese. Si finisce dal Placido, che con l’arrivo del caldo ha eliminato la perenne berretta dell’inverno e ci sorride benevolo complimentandosi per la gita, si mangia un panino, si raccontano esperienze e si ride di niente, ci si sente leggeri e, accompagnati da un sole caldo, si torna a casa.
Marina Livella
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