IL CASTELLO DELLE STREGHE

Maniva / Corna Blacca      9 settembre 2006

Pare quasi incredibile, ma questa storia delle parole scritte si sta trasformando in un vizio; infatti ogni piccola avventura di montagna mi fa precipitare a tavolino per cercare con pazienza le parole adatte a raccontare quanto ho vissuto.

            Daccapo quindi, a cercare di descrivere immagini. Quelle di ieri, un sabato qualsiasi, che altrimenti era buttato tra spese, ore di sonno e lavoro che si potevano saltare senza troppe conseguenze, un sabato insolito su cui ho cominciato a sognare ancora venerdì sera tardi quando Giovanni, inaspettatamente mi ha parlato del suo desiderio di “fare un salto sul Dosso Alto”.

            Premetto che io era da un pezzo che desideravo salire sul Dosso Alto, cima da nulla per molti, ma che mi piaceva, forse solo per il nome, o forse perché era un’idea che non riuscivo a tramutare in realtà.

            Ho subito accettato, tantopiù che gli itinerari di Giovanni, solitamente, sono veramente interessanti e abbastanza lunghi da piacermi e farmi arrivare alla fine del percorso senza fiato e senza forze di riserva.

            Partenza alle 13 e 30 circa, con un sole caldo ed implacabile sopra di noi, poco traffico quindi velocemente al parcheggio del Passo Maniva e via verso il desiderato Dosso Alto accompagnata dal sorriso divertito ed ironico di Giovanni che mi reguardiva dicendomi di non arrabbiarmi se trovavo la salita troppo facile.

            Certo, oramai ho il palato fino, sono usa a cime stupende e difficili, ma, come dicono i miei fratelli di montagna, è inutile cercare esperienze percorrendo il mondo quando hai dietro l’angolo tutto quanto ti serve per essere felice.

            Bello il Dosso Alto, percorso dal sentiero per esperti, salita facile, anche perché compiuta tra risate, lamponi gustosi e roccette divertenti che si scalavano solo per divertimento e non per necessità attorniati da un panorama di monti niente male e sotto un sole caldo.

            Certo, una cima per noi del GAL non è sufficiente, arrivati alla vetta quindi ho visto la meta successiva in programma che mi è parsa lontanissima, la Corna Blacca.

            Come al solito ho pensato che non ci sarei assolutamente arrivata, fortunatamente sono sempre con chi sa per certo quali sono i miei limiti e sa spingermi a ricercarli.

            Si prosegue, quindi, con il cammino, si deve arrivare alla Capanna Tita Secchi passando parte del sentiero dei mughi e poi svoltare prendendo per il sentiero rapido verso il Passo Portole e la Corna Blacca.

            Molte le sorprese su quella via. Le rocce candide si trasformano in sottili pinnacoli che si slanciano verso il cielo ricamati da ciuffi d’erba, piccoli cespugli e perfino sottili larici cresciuti non tenendo assolutamente conto della gravità terrestre.

            Le cime Caldoline infatti sono una serie di rocce che richiamano alla mente delle Dolomiti in miniatura, che ti parrebbe di rinchiudere in una campana di vetro e tenere sopra il caminetto per ricordo.

            Stupenda la bizzarria delicata e vertiginosa di quelle montagne e di quelle rocce ardite che ti fanno prendere la voglia di arrampicare ed allungarti verso il cielo in loro compagnia.

            Si prosegue il cammino tra silenzi e risate annusando il profumo di questa ardente coda d’estate che sa d’erba, di mughi e fatica e sudore voluti con passione e determinazione.

            Non ci si stanca di montagna mai, anzi, si è posseduti da un’ansia che non passa e ti spinge a pensare continuamente alla prossima avventura.

            Basta infatti un canalone spelato per progettare una salita fattibile quando la neve avrà trasformato completamente la morfologia di quei monti e sarà possibile riprendere ramponi e piolet.

            Avanti, tra strapiombi e piccole creste fino alla prima cima e poi da lì discesa e su alla seconda, pensando alla fortuna capitata, una montagna con due vette. L’amico Giovanni infatti è un vero collezionista di vette, hobby veramente non da poco e soprattutto molto faticoso se ci si pensa.

            Piccola pausa, l’unica in quel lunghissimo pomeriggio, per mangiare un poco e poi nuovamente in cammino che mi aspetta un’altra piccola, inaspettata, sorpresa offerta dalla montagna “sopra casa”. Si torna infatti sui propri passi verso la capanna Secchi osservati da capre curiose e per nulla intimorite dalla nostra presenza.

            Oltrepassiamo la capanna ammirando le vie di arrampicata attrezzate sulle pareti attorno, bellissime e veramente difficili, certamente non pane per i miei denti.

            Si attacca quella specie di ferratina che partendo da lì aggira tutta la montagna per poi ritornare al sentiero dei mughi. Bel percorso a volte un poco strapiombante, soprattutto se si cercano delle divertenti varianti tra le rocce, un poco discoste dal sentiero principale, e che mostrano altre angolature delle guglie che si innalzano inaspettatamente tra un sentiero immerso tra i mughi e l’altro.

            E poi una simpatica ed inaspettata gincana compiuta immmersi tra enormi cespugli di mughi offesi dal nostro passare e dal nostro divertimento, quasi ostili tanto che in ogni modo contrastavano il nostro cammino organizzando un labirinto degno di un famoso architetto settecentesco.

            Sbucati ridendo sulla cima del dosso ci è parso di essere quasi respinti come un corpo estraneo dalla montagna. Ci siamo sorpresi sotto due enormi grumi di roccia che si innalzavano gemelli e che, per gioco, sono diventati le porte che dividevano noi dal mondo civile e tra cui ci siamo divertiti a sostare come moscerini tra i giganti; abbiamo scattato belle immagini mentre il sole lasciava il posto ad un tramonto rosseggiante.

            Nuovamente il sentiero piano dei mughi e poi la strada costellata di rocce franate andando velocemente verso il passo mentre il tramonto giocava a cancellare gli ultimi raggi di sole.

            La piccola, innocua, scommessa della partenza ci era riuscita alla grande; passare tutto il pomeriggio senza incontrare anima viva era quasi impossibile in quei monti, ovviamente le capre non contano, quello era il gioco che speravamo di vincere e arrivando alla macchina abbiamo scoperto che nelle sette ore abbondanti appena terminate non avevamo incontrato nessuno. Eravamo raggianti, che orsi vero!

                                                           Marina Livella