IL CASTELLO DELLE STREGHE

Corno di Grevo              21 agosto 2006

Riecco il gruppo riunito per una nuova avventura,  partenza alle otto di sera di una domenica d’agosto che pareva promettere sole. Per me ultimo giorno di vacanza e poi si torna al lavoro, si spera sia un finale travolgente.

            Si arriva al parcheggio sopra Saviore verso le dieci di sera, si allestisce una tenda da tre mentre Giovanni e Sergio preferiscono una notte all’addiaccio.

            Pronti per dormire mi attardo a salutare Giovanni steso nel suo sacco a pelo vicino all’auto, guardiamo il cielo, lui grande conoscitore ed appassionato di astronomia fin da bambino, mi descrive quanto si vede in alto, pare l’inizio di una favola, è una notte incredibilmente piena di stelle e fatico a mettermi a dormire perché mi rincresce non assaporare una notte con la volta celeste sopra la testa.

            Sveglia alle cinque e mezza di mattina, la meta dovrebbe essere il Corno di Grevo in arrampicata, stupenda cresta fattibile anche come ferrata, ma il tempo non pare favorevole. Dopo molte indecisioni si prosegue con la meta iniziale, sia come sia, la salita si fa!

            Il cielo da buio diventa sempre più chiaro, poi, d’improvviso rosso fuoco frammezzato da azzurri incredibili, si spera sia il segnale giusto, la salita è ripida e silenziosa, il cielo apre ai primi raggi di sole che illuminano le cime più alte, poi il bosco si fa sempre più rado e, finalmente siamo al rifugio Lissone che mostra già finestre aperte e turisti in meditazione che guardano il sole sorgere.

            Ammiriamo il canalino Teobaldo privo di neve, certo, forse non è così affascinante come lo ricordavo, i dintorni senza il manto nevoso non paiono più lo stesso posto, bello comunque ma diverso, la Cresta è li, incombente, ci aspetta silenziosa e severa, vista da sotto pare l’escrescenza ossea sulla schiena di un drago, inquietante.

            Giornata particolare, che penso non dimenticheremo facilmente, Marco perché si è accorto all’attacco di aver scordato le scarpette d’arrampicata e tutti gli altri per la strana atmosfera che ci ha circondati.

            Non è una salita facile, nonostante gli altri l’abbiano già sperimentata, o forse proprio per quello, c’è un’aria di attesa che fa centellinare le parole tantopiù che, tra noi ormai, bastano gli sguardi per capirci tanta è l’intesa e l’amicizia.

            Si parte, il cielo è azzurro ma colmo di nubi, e la cresta frastagliata è sopra di noi. Il gioco consiste nell’arrampicare di fianco al cavo della ferrata, “Ferrata Arosio” per la cronaca,  senza toccarlo. Io certamente nei passaggi più ostici me ne sono servita, ovviamente, ma i miei compagni sono sgattaiolati su come dei funamboli, quasi giocando con le rocce che scendevano a picco nelle valli sottostanti.

            Non è facile solleticare quei lastroni e quei gradoni di granito, non ti danno molto spazio alla fantasia, li sfiori cercando suggerimenti e quando trovi maniglie o lame la felicità è raggiunta. Placche e traversi veramente delicati si susseguono, un tiro di corda dopo l’altro e pare di vivere un triller mozzafiato tanto è continua la via.

            Era eccitante trovarsi ad affrontare passaggi importanti sola e senza aiuto, cercare talvolta il passaggio facile ed un’altra intestardirsi e passare su di un lato che pareva impossibile gridando per la gioia e per l’adrenalina che era al massimo quando riuscivo, accompagnata dagli sguardi benevoli e dalle parole di incitamento degli amici che trovavo alla fine del tiro di corda.

            Vedevo i miei compagni davanti a me e non mi importava di restare indietro ed apparire, come sempre, la più lenta pur di scattare immagini a quei ragazzi che affrontavano quelle pareti determinati e concentrati come non mai, uomini ragno inverosimilmente incollati al cielo azzurro o al grigio della parete di fronte.

            Ora che vedo le mie mani ossute battere sui tasti del computer penso alle mie stesse mani che toccano felici le rocce fredde e le spalle dei miei compagni per un contatto di gioia e mi sento sola, ma penso che forse c’è veramente un lieto fine da qualche parte e mi sento felice degli attimi che mi ha regalato la montagna in quella giornata di fatica forte.

            Quando verso le tre del pomeriggio Davide, mio insostituibile primo di cordata, mi ha detto che eravamo alla fine, mi sono sentita quasi depredata da quella gioia che mi permeava. Dopo poco eravamo in cima, Giovanni, steso sulle rocce come un gatto e Sergio che gironzolava intorno ci stavano aspettando da una mezzora circa, il sole era luminoso e selvaggio come solo un sole di agosto può essere e ci siamo beati di quel tepore che avevamo atteso battuti dal un vento gelido che ci aveva accompagnato per tutta la mattinata.

            Lasciati gli zaini abbiamo finito la salita e siamo arrivati alla cima, già, con Giovanni non è possibile non toccare la cima, che è sempre la sua vera meta al di la di tutti i percorsi.

            Bella vetta, piccola e discreta la croce e bello spettacolo guardando il panorama a 365 gradi, il cielo terso e frammentato solo dalla grossa nube che ci seguiva dalla mattina ma lasciava spazio al sole ed all’azzurro più intenso. Era possibile ammirare tutti i monti che i 3000 metri della cima lasciavano vedere.

            Ripresi gli zaini e dopo aver mangiato qualche cosa di fretta, siamo scesi accompagnati dal sole caldo e dall’implacabile vento freddo verso il rifugio. Discesa non facile con cavi e passaggi che divertivano nonostante la stanchezza data dalle sei ore di arrampicata continua. Le roccette che abbiamo affrontato ci hanno dimostrato quanto il rientro non fosse poi dietro l’angolo.

            Al rifugio abbiamo ritrovato il sorridente Marco che aveva passato il tempo salendo la bella via che portava al bivacco Ceco Baroni, altro percorso che ci ripromettiamo di fare prossimamente.

            E nuovamente giù, saltellando tra una roccia e l’altra, assaporando l’acuto odore dei prati e del bosco ed il suono degli scarponi che fanno da contrappunto ai pensieri ed al respiro della discesa.

            Un sorriso, una parola e tutto pareva a posto, durante quella giornata ho capito quanto l’amicizia vera fosse importante,  poche parole per questa ascensione, vero, ma mi hanno dato la possibilità di comprendere il nostro gruppo e capire quanto sia forte e vibrante, ed è stata probabilmente la prova più bella e più intensa che abbia mai avuto la possibilità di sperimentare fino ad ora.

                                                  Marina Livella