Ore 7.30 siamo già in coda all’apertura della funivia che da Courmayeur porta al Rifugio Torino nel massiccio del Monte Bianco. Due sono gli obiettivi, il primo giorno attraversare il ghiacciaio, risalire fino in cima alla Gengiva e, se possibile, scalare il Dente del Gigante. Da lì poi avremmo potuto vedere e valutare le condizioni del secondo itinerario, la Cresta di Rochefort, non troppo difficile, ma di eccezionale bellezza.
Avendo dormito nei sacchi a pelo al parcheggio siamo abbastanza riposati e, risalita velocemente la scala che congiunge il rifugio vecchio al Torino, alle 8.30 ci troviamo già in cordata sul ghiacciaio. Io, Stefano e Gino formiamo la prima, Amilcare, Norma e Cristian la seconda.
Come inizio non è dei migliori; fa freddo, tira vento e la visibilità è scarsa. Fortunatamente però il tempo migliora rapidamente e ben presto riusciamo a vedere l’imponenza del Dente del Gigante sopra di noi. Sembra lì a due passi, ma ci accorgiamo subito che la salita alla cosiddetta Gengiva non è certo banale e, forse a causa delle recenti nevicate, i passaggi tra le rocce non s’individuano facilmente.
Alle 10 siamo ai piedi della via. C’è già una cordata all'attacco, ma dopo aver salito i primi metri d’arrampicata preferisce rientrare per il troppo freddo alle mani ed ai piedi. Decidiamo di tentare ugualmente usando gli scarponi e lasciando, in caso di necessità, le scarpette da arrampicata nello zaino. 
Effettivamente il primo impatto con la roccia è traumatico, il vento tiene bassa la temperatura e le dita delle mani sono abbastanza rigide. Per fortuna il primo tiro è ben chiodato e non troppo difficile. Salgo io e in poco tempo, aggirando il torrione verso ovest, arrivo in sosta. Il vento si calma un poco, le mani fanno male, ma so che si scalderanno quando inizierò a fare le manovre con la corda. Inizio a recuperare Gino, ma a metà tiro decide di farsi calare per il troppo freddo e per la difficoltà di arrampicare con gli scarponi. Quando Stefano arriva in sosta e riparto per il secondo tiro stranamente non vedo nessun chiodo (la relazione, neanche a dirlo, era rimasta nello zaino di Gino!). Proseguo nel diedro assicurandomi a degli spuntoni, qui gli scarponi fanno comodo dal momento che in alcuni punti ci sono ghiaccio e neve. Probabilmente ho saltato la sosta perché i 50 metri di corda stanno quasi per finire quando intravedo dei canaponi poco più in alto. Un ultimo passaggio delicato sulla neve e poi finalmente esco su un terrazzino e mi assicuro ai chiodi delle corde fisse. E’ tutto un altro mondo, c’è il sole e la via che mi trovo davanti è tutta su placca e costeggiata da grossi canapi bianchi. Con il terzo tiro raggiungiamo tre spagnoli. La cordata è molto lenta, attendiamo quasi mezzora prima di ripartire, ma sul tiro successivo ci accordiamo e li superiamo senza creargli disagi. L’arrampicata fino in vetta è molto divertente su roccia solida e ben fessurata, utilizziamo i canaponi solo nei pochi passaggi più verticali. Ci troviamo sulla punta di sinistra, mi ricordo che la relazione indicava il rientro sulla via di salita oppure con delle calate verticali sul lato sud. La guida spagnola sotto di noi, intuendo la nostra indecisione, ci fa cenno di proseguire. Seguendo il suo consiglio ci portiamo sull’altro versante e vediamo la guglia di destra. Bisogna scendere una decina di metri, attraversare una stretta cresta e poi risalirne altri 20. Sul traverso, con un certo dispiacere vedo, i nostri amici alla base del Dente; sicuramente il freddo li ha bloccati, ma sono sicuro che domani avranno certamente la loro rivincita. Dalla cima lo sguardo spazia a 360 gradi su un’infinità di montagne, la maggior parte a me sconosciute, e la soddisfazione è grande.
Mi congratulo con il mio compagno e, trovato un comodo posto al riparo del vento, ci godiamo il panorama pregustandoci l’escursione del giorno dopo che si trova proprio sotto di noi, una cresta di neve zigzagante e affilatissima, sarà sicuramente molto emozionante.
                    Davide M.
Ore 7.30 siamo già in coda all’apertura della funivia che da Courmayeur porta al Rifugio Torino nel massiccio del Monte Bianco. Due sono gli obiettivi, il primo giorno attraversare il ghiacciaio, risalire fino in cima alla Gengiva e, se possibile, scalare il Dente del Gigante. Da lì poi avremmo potuto vedere e valutare le condizioni del secondo itinerario, la Cresta di Rochefort, non troppo difficile, ma di eccezionale bellezza.
Avendo dormito nei sacchi a pelo al parcheggio siamo abbastanza riposati e, risalita velocemente la scala che congiunge il rifugio vecchio al Torino, alle 8.30 ci troviamo già in cordata sul ghiacciaio. Io, Stefano e Gino formiamo la prima, Amilcare, Norma e Cristian la seconda.
Come inizio non è dei migliori; fa freddo, tira vento e la visibilità è scarsa. Fortunatamente però il tempo migliora rapidamente e ben presto riusciamo a vedere l’imponenza del Dente del Gigante sopra di noi. Sembra lì a due passi, ma ci accorgiamo subito che la salita alla cosiddetta Gengiva non è certo banale e, forse a causa delle recenti nevicate, i passaggi tra le rocce non s’individuano facilmente.
Alle 10 siamo ai piedi della via. C’è già una cordata all'attacco, ma dopo aver salito i primi metri d’arrampicata preferisce rientrare per il troppo freddo alle mani ed ai piedi. Decidiamo di tentare ugualmente usando gli scarponi e lasciando, in caso di necessità, le scarpette da arrampicata nello zaino. 
Effettivamente il primo impatto con la roccia è traumatico, il vento tiene bassa la temperatura e le dita delle mani sono abbastanza rigide. Per fortuna il primo tiro è ben chiodato e non troppo difficile. Salgo io e in poco tempo, aggirando il torrione verso ovest, arrivo in sosta. Il vento si calma un poco, le mani fanno male, ma so che si scalderanno quando inizierò a fare le manovre con la corda. Inizio a recuperare Gino, ma a metà tiro decide di farsi calare per il troppo freddo e per la difficoltà di arrampicare con gli scarponi. Quando Stefano arriva in sosta e riparto per il secondo tiro stranamente non vedo nessun chiodo (la relazione, neanche a dirlo, era rimasta nello zaino di Gino!). Proseguo nel diedro assicurandomi a degli spuntoni, qui gli scarponi fanno comodo dal momento che in alcuni punti ci sono ghiaccio e neve. Probabilmente ho saltato la sosta perché i 50 metri di corda stanno quasi per finire quando intravedo dei canaponi poco più in alto. Un ultimo passaggio delicato sulla neve e poi finalmente esco su un terrazzino e mi assicuro ai chiodi delle corde fisse. E’ tutto un altro mondo, c’è il sole e la via che mi trovo davanti è tutta su placca e costeggiata da grossi canapi bianchi. Con il terzo tiro raggiungiamo tre spagnoli. La cordata è molto lenta, attendiamo quasi mezzora prima di ripartire, ma sul tiro successivo ci accordiamo e li superiamo senza creargli disagi. L’arrampicata fino in vetta è molto divertente su roccia solida e ben fessurata, utilizziamo i canaponi solo nei pochi passaggi più verticali. Ci troviamo sulla punta di sinistra, mi ricordo che la relazione indicava il rientro sulla via di salita oppure con delle calate verticali sul lato sud. La guida spagnola sotto di noi, intuendo la nostra indecisione, ci fa cenno di proseguire. Seguendo il suo consiglio ci portiamo sull’altro versante e vediamo la guglia di destra. Bisogna scendere una decina di metri, attraversare una stretta cresta e poi risalirne altri 20. Sul traverso, con un certo dispiacere vedo, i nostri amici alla base del Dente; sicuramente il freddo li ha bloccati, ma sono sicuro che domani avranno certamente la loro rivincita. Dalla cima lo sguardo spazia a 360 gradi su un’infinità di montagne, la maggior parte a me sconosciute, e la soddisfazione è grande.
Mi congratulo con il mio compagno e, trovato un comodo posto al riparo del vento, ci godiamo il panorama pregustandoci l’escursione del giorno dopo che si trova proprio sotto di noi, una cresta di neve zigzagante e affilatissima, sarà sicuramente molto emozionante.
                    Davide M.
Ore 7.30 siamo già in coda all’apertura della funivia che da Courmayeur porta al Rifugio Torino nel massiccio del Monte Bianco. Due sono gli obiettivi, il primo giorno attraversare il ghiacciaio, risalire fino in cima alla Gengiva e, se possibile, scalare il Dente del Gigante. Da lì poi avremmo potuto vedere e valutare le condizioni del secondo itinerario, la Cresta di Rochefort, non troppo difficile, ma di eccezionale bellezza.
Avendo dormito nei sacchi a pelo al parcheggio siamo abbastanza riposati e, risalita velocemente la scala che congiunge il rifugio vecchio al Torino, alle 8.30 ci troviamo già in cordata sul ghiacciaio. Io, Stefano e Gino formiamo la prima, Amilcare, Norma e Cristian la seconda.
Come inizio non è dei migliori; fa freddo, tira vento e la visibilità è scarsa. Fortunatamente però il tempo migliora rapidamente e ben presto riusciamo a vedere l’imponenza del Dente del Gigante sopra di noi. Sembra lì a due passi, ma ci accorgiamo subito che la salita alla cosiddetta Gengiva non è certo banale e, forse a causa delle recenti nevicate, i passaggi tra le rocce non s’individuano facilmente.
Alle 10 siamo ai piedi della via. C’è già una cordata all'attacco, ma dopo aver salito i primi metri d’arrampicata preferisce rientrare per il troppo freddo alle mani ed ai piedi. Decidiamo di tentare ugualmente usando gli scarponi e lasciando, in caso di necessità, le scarpette da arrampicata nello zaino. 
Effettivamente il primo impatto con la roccia è traumatico, il vento tiene bassa la temperatura e le dita delle mani sono abbastanza rigide. Per fortuna il primo tiro è ben chiodato e non troppo difficile. Salgo io e in poco tempo, aggirando il torrione verso ovest, arrivo in sosta. Il vento si calma un poco, le mani fanno male, ma so che si scalderanno quando inizierò a fare le manovre con la corda. Inizio a recuperare Gino, ma a metà tiro decide di farsi calare per il troppo freddo e per la difficoltà di arrampicare con gli scarponi. Quando Stefano arriva in sosta e riparto per il secondo tiro stranamente non vedo nessun chiodo (la relazione, neanche a dirlo, era rimasta nello zaino di Gino!). Proseguo nel diedro assicurandomi a degli spuntoni, qui gli scarponi fanno comodo dal momento che in alcuni punti ci sono ghiaccio e neve. Probabilmente ho saltato la sosta perché i 50 metri di corda stanno quasi per finire quando intravedo dei canaponi poco più in alto. Un ultimo passaggio delicato sulla neve e poi finalmente esco su un terrazzino e mi assicuro ai chiodi delle corde fisse. E’ tutto un altro mondo, c’è il sole e la via che mi trovo davanti è tutta su placca e costeggiata da grossi canapi bianchi. Con il terzo tiro raggiungiamo tre spagnoli. La cordata è molto lenta, attendiamo quasi mezzora prima di ripartire, ma sul tiro successivo ci accordiamo e li superiamo senza creargli disagi. L’arrampicata fino in vetta è molto divertente su roccia solida e ben fessurata, utilizziamo i canaponi solo nei pochi passaggi più verticali. Ci troviamo sulla punta di sinistra, mi ricordo che la relazione indicava il rientro sulla via di salita oppure con delle calate verticali sul lato sud. La guida spagnola sotto di noi, intuendo la nostra indecisione, ci fa cenno di proseguire. Seguendo il suo consiglio ci portiamo sull’altro versante e vediamo la guglia di destra. Bisogna scendere una decina di metri, attraversare una stretta cresta e poi risalirne altri 20. Sul traverso, con un certo dispiacere vedo, i nostri amici alla base del Dente; sicuramente il freddo li ha bloccati, ma sono sicuro che domani avranno certamente la loro rivincita. Dalla cima lo sguardo spazia a 360 gradi su un’infinità di montagne, la maggior parte a me sconosciute, e la soddisfazione è grande.
Mi congratulo con il mio compagno e, trovato un comodo posto al riparo del vento, ci godiamo il panorama pregustandoci l’escursione del giorno dopo che si trova proprio sotto di noi, una cresta di neve zigzagante e affilatissima, sarà sicuramente molto emozionante.
                    Davide M.