periamo e con mio stupore non trovo più il ponte di ghiaccio che dieci giorni prima permetteva di proseguire; ha lasciato il posto ad una voragine di due metri circa.
Ecco le cordate che ci avevano superato,
     sono lì dubbiose a cercare un passaggio che permetta di superare l’ostacolo, per la verità, più a valle, c’è un altro ponticello, pare un poco sfondato anche se ghiacciato, reggerà o non reggerà?
Giovanni lo utilizza per passare veloce e lo seguiamo subito, regge tranquillamente, ora ci attendono quindici metri circa di percorso un poco ripido lungo la traccia originale e, finalmente scaldati dal sole, affrontiamo l’ultimo tratto su roccette semplici di secondo grado.
Il percorso si fa più esposto man mano che ci alziamo, e l’ultimo tratto di tre o quattro metri consiste in un piccolo traverso sopra ad un salto di duecento metri circa, lo supero senza pensarci su, arrivo in vetta a 4061 metri di quota, una foto, un bacio alla madonnina e torno dai miei amici che sono restati un poco indietro e con loro risalgo in vetta; sono le otto e venti, baci ed abbracci, foto e riprese; siamo veramente soddisfatti poiché siamo stati il terzo gruppo a raggiungere la vetta quella mattina.
Ci guardiamo attorno, il panorama è stupendo, a nordest la catena del Rosa col Cervino che spunta dalla nebbia, a nord-ovest il Monte Bianco svetta maestoso, mentre più in basso a sud il trittico di vette del Gran Paradiso; Tresenda, Ciarforon e Becca di Monciair.
Ora dobbiamo tornare, ci leghiamo visto che ci attendono una crepaccia e degli scivoli belli ghiacciati; il primo ostacolo lo superiamo con delicatezza e precauzione facendoci sicura a vicenda, poi iniziamo i ripidi.
Di fronte alla Becca di Moncorvè decidiamo di fare una piccola sosta per mangiare e ci installiamo quindi su delle rocce calde di sole, poi ripartiamo ed alle dieci e trenta siamo alla Schiena d’Asino che superiamo velocemente.
Ora ci attendono gli scivoli ghiacciati che hanno però subito delle variazioni, in alcuni tratti la neve è infatti diventata simile a granatina facile da penetrare con i ramponi e scendendo anche le discesine più ripide mi diventano semplici poiché utilizzo le tecniche che ho imparato ai corsi d’alpinismo.
Il peggio è passato, arriviamo in fondo alle difficoltà, via corda e ramponi, non resta che il nevaio e gli sfasciumi ed alle dodici e quarantacinque siamo al rifugio dove facciamo una piccola sosta. Qui ci salutiamo con grandi abbracci e complimenti poiché Giovanni e Marina scendono tranquilli e poi partono per il mare mentre io ho voglia di vedere le mie donne ed in un’ora circa sono all’auto.
Dopo 2111 metri di dislivello percorsi in undici ore e mezza tolgo lo zaino, salgo in auto e soddisfatto me ne vado a Tignet a pranzo.
Un grazie ai miei amici Marina e Giovanni per essere venuti a trovarmi in questo angolo di Paradiso e per avermi dato fiducia nel condurre la gita.

                                             Stefano P.
periamo e con mio stupore non trovo più il ponte di ghiaccio che dieci giorni prima permetteva di proseguire; ha lasciato il posto ad una voragine di due metri circa.
Ecco le cordate che ci avevano superato,
     sono lì dubbiose a cercare un passaggio che permetta di superare l’ostacolo, per la verità, più a valle, c’è un altro ponticello, pare un poco sfondato anche se ghiacciato, reggerà o non reggerà?
Giovanni lo utilizza per passare veloce e lo seguiamo subito, regge tranquillamente, ora ci attendono quindici metri circa di percorso un poco ripido lungo la traccia originale e, finalmente scaldati dal sole, affrontiamo l’ultimo tratto su roccette semplici di secondo grado.
Il percorso si fa più esposto man mano che ci alziamo, e l’ultimo tratto di tre o quattro metri consiste in un piccolo traverso sopra ad un salto di duecento metri circa, lo supero senza pensarci su, arrivo in vetta a 4061 metri di quota, una foto, un bacio alla madonnina e torno dai miei amici che sono restati un poco indietro e con loro risalgo in vetta; sono le otto e venti, baci ed abbracci, foto e riprese; siamo veramente soddisfatti poiché siamo stati il terzo gruppo a raggiungere la vetta quella mattina.
Ci guardiamo attorno, il panorama è stupendo, a nordest la catena del Rosa col Cervino che spunta dalla nebbia, a nord-ovest il Monte Bianco svetta maestoso, mentre più in basso a sud il trittico di vette del Gran Paradiso; Tresenda, Ciarforon e Becca di Monciair.
Ora dobbiamo tornare, ci leghiamo visto che ci attendono una crepaccia e degli scivoli belli ghiacciati; il primo ostacolo lo superiamo con delicatezza e precauzione facendoci sicura a vicenda, poi iniziamo i ripidi.
Di fronte alla Becca di Moncorvè decidiamo di fare una piccola sosta per mangiare e ci installiamo quindi su delle rocce calde di sole, poi ripartiamo ed alle dieci e trenta siamo alla Schiena d’Asino che superiamo velocemente.
Ora ci attendono gli scivoli ghiacciati che hanno però subito delle variazioni, in alcuni tratti la neve è infatti diventata simile a granatina facile da penetrare con i ramponi e scendendo anche le discesine più ripide mi diventano semplici poiché utilizzo le tecniche che ho imparato ai corsi d’alpinismo.
Il peggio è passato, arriviamo in fondo alle difficoltà, via corda e ramponi, non resta che il nevaio e gli sfasciumi ed alle dodici e quarantacinque siamo al rifugio dove facciamo una piccola sosta. Qui ci salutiamo con grandi abbracci e complimenti poiché Giovanni e Marina scendono tranquilli e poi partono per il mare mentre io ho voglia di vedere le mie donne ed in un’ora circa sono all’auto.
Dopo 2111 metri di dislivello percorsi in undici ore e mezza tolgo lo zaino, salgo in auto e soddisfatto me ne vado a Tignet a pranzo.
Un grazie ai miei amici Marina e Giovanni per essere venuti a trovarmi in questo angolo di Paradiso e per avermi dato fiducia nel condurre la gita.

                                             Stefano P.
periamo e con mio stupore non trovo più il ponte di ghiaccio che dieci giorni prima permetteva di proseguire; ha lasciato il posto ad una voragine di due metri circa.
Ecco le cordate che ci avevano superato,
     sono lì dubbiose a cercare un passaggio che permetta di superare l’ostacolo, per la verità, più a valle, c’è un altro ponticello, pare un poco sfondato anche se ghiacciato, reggerà o non reggerà?
Giovanni lo utilizza per passare veloce e lo seguiamo subito, regge tranquillamente, ora ci attendono quindici metri circa di percorso un poco ripido lungo la traccia originale e, finalmente scaldati dal sole, affrontiamo l’ultimo tratto su roccette semplici di secondo grado.
Il percorso si fa più esposto man mano che ci alziamo, e l’ultimo tratto di tre o quattro metri consiste in un piccolo traverso sopra ad un salto di duecento metri circa, lo supero senza pensarci su, arrivo in vetta a 4061 metri di quota, una foto, un bacio alla madonnina e torno dai miei amici che sono restati un poco indietro e con loro risalgo in vetta; sono le otto e venti, baci ed abbracci, foto e riprese; siamo veramente soddisfatti poiché siamo stati il terzo gruppo a raggiungere la vetta quella mattina.
Ci guardiamo attorno, il panorama è stupendo, a nordest la catena del Rosa col Cervino che spunta dalla nebbia, a nord-ovest il Monte Bianco svetta maestoso, mentre più in basso a sud il trittico di vette del Gran Paradiso; Tresenda, Ciarforon e Becca di Monciair.
Ora dobbiamo tornare, ci leghiamo visto che ci attendono una crepaccia e degli scivoli belli ghiacciati; il primo ostacolo lo superiamo con delicatezza e precauzione facendoci sicura a vicenda, poi iniziamo i ripidi.
Di fronte alla Becca di Moncorvè decidiamo di fare una piccola sosta per mangiare e ci installiamo quindi su delle rocce calde di sole, poi ripartiamo ed alle dieci e trenta siamo alla Schiena d’Asino che superiamo velocemente.
Ora ci attendono gli scivoli ghiacciati che hanno però subito delle variazioni, in alcuni tratti la neve è infatti diventata simile a granatina facile da penetrare con i ramponi e scendendo anche le discesine più ripide mi diventano semplici poiché utilizzo le tecniche che ho imparato ai corsi d’alpinismo.
Il peggio è passato, arriviamo in fondo alle difficoltà, via corda e ramponi, non resta che il nevaio e gli sfasciumi ed alle dodici e quarantacinque siamo al rifugio dove facciamo una piccola sosta. Qui ci salutiamo con grandi abbracci e complimenti poiché Giovanni e Marina scendono tranquilli e poi partono per il mare mentre io ho voglia di vedere le mie donne ed in un’ora circa sono all’auto.
Dopo 2111 metri di dislivello percorsi in undici ore e mezza tolgo lo zaino, salgo in auto e soddisfatto me ne vado a Tignet a pranzo.
Un grazie ai miei amici Marina e Giovanni per essere venuti a trovarmi in questo angolo di Paradiso e per avermi dato fiducia nel condurre la gita.

                                             Stefano P.