Siamo Davide, Giovanni, Stefano ed io per questa avventura, il sole ci assiste, chiacchierando allegri filiamo veloci verso Madonna di Campiglio, lo superiamo, ed alle cinque del pomeriggio giungiamo al Velon a circa 1300 metri di altitudine; abbandoniamo l’auto e ci avviamo a piedi con i nostri zaini pesanti verso il rifugio Denza.
Passiamo un tratto facile, anche se abbastanza lungo, vivacizzato dal passaggio in una piccola galleria buia ed in una cascata bizzarra costituita da lamiera, acqua, neve e ghiaccio dove siamo costretti ad una breve doccia gelata.
Calpestando sull’ultima parte del sentiero residui di neve fradicia, poco prima delle otto siamo alla meta, una sorpresa, il rifugio Denza/Stavel a 2300 metri di altitudine è veramente aperto. Bella storia si dorme al caldo, brutta storia è carico di gente, le nostre facce non sono felici, era forse meglio un’invernale solitario popolato da anziani ed enormi acari polverosi.
Ci adattiamo, troviamo un minestrone caldo ed un albergatore musicista che ci fa passare dei momenti allegri.
Nonostante il vento intenso usciamo all’aperto e, mentre il crepuscolo si avvicina colorando le nubi di rosa, osserviamo il panorama costituito da una maestosa cerchia di monti innevati e commentiamo la parete nevosa che quella notte ci apprestiamo ad affrontare. Sveglia alle 2 e 30 di notte, come fantasmi ci attrezziamo ed alle tre si parte, il buio è totale e come sempre mi spaventa.
La neve è molto buona, non si sprofonda e camminare è facile anche se faticoso; tra uno sbadiglio e l’altro, verso le quattro, guidati da Giovanni che pare un gatto e procede come avesse un satellitare in testa, arriviamo all’attacco del canale Vermiglio; proseguiamo svelti, non c’è tempo da perdere e dobbiamo battere il sole in velocità.
Siamo già un poco avanti quando, buttando lo sguardo alle nostre spalle, vediamo una luce arancio squarciare il nero della notte e rivelare lunghe strisce di blu che progressivamente si fanno più chiare sino ad illuminare i monti alla nostra sinistra e spingere via un vivido quartino di luna; ecco finalmente l’alba.
E’ un’immagine che da sola vale tutta la fatica che stiamo provando e che avanzando pare opprimerci sempre più; il giorno è fatto, archiviamo le frontali, ed alzando lo sguardo vediamo, nitida in alto,  la sella che ci attende.
Non fa freddo, la neve è uno spettacolo, dura e solida, tanto che i ramponi e le picche faticano a scalfirla; infatti i colpi devono essere robusti e decisi, ma una volta dentro regge come il cemento armato.
Siamo al primo gruppo di rocce, c’è una bella sorpresa, Giovanni punta un muretto quasi verticale e lo scala gridando che è molto divertente, pure io dietro Davide mi cimento ed è una sensazione fantastica; ricordo per un attimo le cascate di ghiaccio, ma purtroppo è un tratto breve e finisce troppo presto.
Ridiamo eccitati e dimentichiamo la fatica, in alto la sella pare a portata di mano mentre è ancora molto distante; procediamo di fianco alle rigole che segnano il canale con temibili scanalature ampie, profonde e ghiacciate; cerchiamo di evitarle perchè possono essere molto pericolose. La pendenza aumenta progressivamente e la neve ha molti tratti in cui è talmente dura da non consentire a chi avanza per primo di segnare tracce che facilitino agli altri la progressione della salita.
Una pausa, ci voleva, riparto nuovamente in forma, Giovanni sta riprendendo il panorama e chiedo a Davide di poterli precedere un poco, quelle rigole mi attirano e con i suggerimenti dei miei compagni percorro un bel tratto alzandomi in traverso verso sinistra per superarle.
E’ veramente entusiasmante, paiono onde immobili, 30